martedì 25 dicembre 2007

“E il Verbo si fece carne…”


Il prologo di Giovanni sostituisce tutta quella parte che nei vangeli di Luca e Matteo descrive l’infanzia di Gesù, ma mette subito in chiaro, forse meglio degli altri evangelisti, il centro della novità cristiana:
In principio era il Verbo,
ed il Verbo era presso Dio,
ed il Verbo era Dio.
… e il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi 
(Giovanni 1,1;14)

L’incarnazione del Verbo è un evento talmente sconvolgente che perfino i cristiani faticano a credere. “Noi predichiamo Cristo crocifisso – dice san Paolo - scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani” (1 Cor. 1,23). Lo scandalo non è che un tale di nome Gesù sia stato crocifisso, in fondo si trattava di una esecuzione usuale presso l’Impero Romano; il fatto duro da digerire era che quel crocifisso là, fosse il Messia atteso dalle genti. Come noi infatti fatichiamo a pensare il Messia come un vero uomo, i suoi contemporanei faticavano a pensarlo come il vero Dio. L’evangelista riporta la reazione di quelli che lo ascoltavano quando parlava di sé come del “pane della vita”: “Questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?” E poi: “Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con Lui”. (Giovanni, cap. 6)
Questa vicinanza, questa “toccabilità” di Dio era difficile da concepire sia per i giudei che per greci e romani. Quando il Cristianesimo comincerà a diffondersi lo farà più per la testimonianza ed il sangue dei suoi testimoni e martiri, che per l'aspetto dottrinale, anzi uno dei principali problemi che la Chiesa dei primi secoli dovette affrontare al suo interno fu quello dell'influenza di una corrente detta gnosticismo, che tendeva a trasformare il Cristianesimo in una filosofia, una sapienza sofisticata che con l'aiuto di Gesù l'uomo trovava all'interno di sé stesso. In questa corrente nascono tanti vangeli apocrifi che poi la Chiesa tenderà ad eliminare proprio perché diversi nella sostanza dall'annuncio dei discepoli.
Questo Cristo così concreto, questa carne così simile alla nostra, scandalizza anche noi, è stoltezza anche per noi cristiani di oggi.
Non prendiamo come esempio un uomo malato, prendiamone uno più o meno normale: anche lui ha avuto pensieri di vendetta, di sopruso, ha detto qualche volta delle sciocchezze, coi compagni di scuola in alcune occasioni sarà arrivato alle mani, è influenzato dalla sua cultura, dalla religione, dalle mode, le regole sociali. Possiamo pensare che Gesù fosse normale in questa maniera? E’ ben difficile. Il massimo che riusciamo a concedere all’annuncio evangelico è che Gesù fosse un uomo, sì, ma diverso dagli altri. E nel momento in cui diciamo: Lui era Dio, Lui era senza peccato, ecco che immediatamente rischiamo di allontanarlo dalla natura umana facendo di Lui un super uomo, un Dio travestito da uomo, un essere superiore che per 30 anni finge di essere un israelita normale e poi manifesta la sua vera natura con miracoli, guarigioni ed esorcismi.
Il fascino che il Cristianesimo sta recuperando in Occidente, in seguito a tutti i problemi di convivenza con l'Islam, mostra in lontananza questo medesimo pericolo: abbracciare il Cristianesimo non per quello che dice, ma per quello che rappresenta a livello culturale.

La reazione gnostica
Non è questa la sede dove soffermarsi su questioni di sociologia della religione moderna. Quello che invece vorrei sottolineare è la novità dottrinale apportata dal Cristianesimo nell'orizzonte del Giudaismo da una parte e della filosofia greca dall'altra.
Il Vangelo dice che Gesù era un vero uomo “essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato” (Ebrei 4,15), e i Concili della Chiesa Cattolica tornarono più volte su questo argomento, nei primi secoli, per definire in modo definitivo questo assunto, tale era lo scandalo che l’umanità di Gesù arrecava anche all’interno della Chiesa .
Noi oggi proclamiamo tranquillamente il Credo durante la messa, senza problemi. Per noi è tanto vero che “visse sotto Ponzio Pilato” quanto il fatto che Egli è “generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”. Ma la Chiesa, per arrivare a inserire queste affermazioni di fede nel suo Credo ha dovuto patire e non poco. I primi secoli sono stati il tempo delle persecuzioni, come tutti sanno, ma anche della lotta interna alla Chiesa perché tutti si mettessero d'accordo su chi fosse Gesù, e su cosa dire di lui ai pagani.
Lo “gnosticismo”, dicevo, nasce proprio dalla fatica a comprendere come un uomo potesse essere veramente Dio, e viceversa, come Dio, potesse essersi fatto veramente uomo. Il pensiero greco, appunto tramite la gnosi, reagì a modo suo al dilagare del messaggio cristiano, cercando di renderlo comprensibile secondo le proprie categorie. E la Chiesa, che pure ancora non sapeva bene neanche lei come interpretare tante frasi dei vangeli dovette lottare, condannare, espellere quella filosofia che tendeva a trasformare Gesù in un maestro che indicava la strada di una illuminazione interiore, di una ascesi, che con i suoi insegnamenti permetteva all'uomo di elevare il proprio spirito per vivere secondo una morale che con i soli istinti non sembrava raggiungibile. Questo Gesù molto simile a Socrate, maestro del “conosci te stesso”, “rientra in te stesso”, e slogan simili, non era quello tramandato dagli apostoli. Si dovette fare una scelta tra i tanti vangeli che erano in circolazione, proprio perché la maggior parte di essi, di dubbia origine, dava maggior spazio al Gesù maestro e mistagogo che impartisce insegnamenti, mentre altri, quelli che oggi conosciamo e che la Chiesa indicò come canonici, indicavano che non le parole di Gesù erano la via all'illuminazione, ma Lui stesso, la sua presenza, la sua persona. E questo emerge in modo inequivocabile soprattutto nel vangelo di Giovanni.

Gnosticismo di ritorno?
La Chiesa oggi ribadisce con forza che essere cristiani significa credere in Gesù Cristo, avere un rapporto personale, di fiducia con Lui, ma lega questo annuncio a tutta una serie di conseguenze morali che distraggono dal punto centrale.
Dove sono le tracce di quello che potremmo chiamare “gnosticismo di ritorno”?
Farò solo alcuni esempi.
I gruppi gnostici adottavano una filosofia nettamente dualistica:
1. c’è il bene ed il male,
2. l’anima ed il corpo,
3. il Dio buono trascendente e quello cattivo creatore.
Il tentativo illusorio di separare tutto il bene da tutto il male, esplicitamente condannato nella parabola del grano e della zizzania (Matteo 13, 24-30) è una tentazione di onnipotenza, di anticipo della fine dei tempi, e la vedo nell’interventismo eccessivo degli esponenti ecclesiastici su questioni politiche o morali, in cui di certezze se ne hanno ben poche.
Sulla separazione tra anima e corpo credo non sia necessario fare tanti esempi: nonostante la Chiesa abbia sottolineato a parole il valore positivo del corpo, continua a temere i rapporti sessuali, ad esaltare il celibato come segno di distacco dal mondo, a tenere in posizione subordinata le donne, ad esaltare come modelli dei santi che hanno maltrattato e trascurato i piaceri corporali. Non solo, talvolta essa, al pari dei greci di un tempo, sembra quasi scandalizzata dall'umanità in Gesù, ad esempio quando insiste nel dire che Gesù era come noi, ma senza peccato. Questo annuncio, pur essendo dottrinalmente corretto, ha ottenuto l’effetto di allontanare il Gesù storico dalla sua umanità trasformandolo nel tempo in qualcosa di diverso dal Cristo della fede . Tutta protesa nel difendere l’infallibilità del suo fondatore (e giustificare di conseguenza anche la propria), la Chiesa, lo ha trasformato in un santino con l’aureola, che non si muove, non ride, non sbaglia, e sta sempre sul punto di benedire o guarire qualcuno. Le persone in questo modo non sono sollecitate ad imitarlo, ad essere anch’esse senza peccato, ma sono tornate a pensare alla vecchia maniera: lo sapevamo che non era proprio come noi, Lui è senza peccato, noi invece restiamo i soliti peccatori. In questo modo l’uomo che sbaglia, anziché pensare che Gesù lo ha redento così come è, - come è successo al figliol prodigo, a Zaccheo, a Matteo, a Pietro, a Paolo, ecc… - pensa alla distanza tra noi e Lui. Gesù è di nuovo lassù, alla destra del Padre, lontano da noi, e speriamo che chiuda un occhio sulle nostre miserie. Che siano in Tre o sia Uno solo, in fondo ci interessa poco, purchè vadano d’accordo e se ne stiano sempre vicini tra Loro.
Invece la nostra fede insegna che uno dei Tre, “pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò sé stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini…” (Filippesi 2,6-11). Ed è questo che fa del cristianesimo una religione diversa dalle altre.
Un terzo caposaldo della gnosi è quello della separazione tra il Dio buono e quello cattivo. La Chiesa ufficiale non può certo dire come facevano gli gnostici che la creazione è opera di un dio cattivo che ci butta in questo mondo per farci soffrire (demiurgo platonico), però di fatto la mentalità religiosa nella quale ci troviamo dice che prima si esce da questa “valle di lacrime” e meglio è. L’insistenza sulla lotta tra bene e male, tra potenze della luce e potenze delle tenebre, tra Dio e Demonio, ha inevitabilmente l’effetto di farci sentire come spettatori di uno scontro tra titani in cui noi possiamo fare ben poco a parte stare a guardare e sperare che vincano i buoni. Ma questa logica porta al disimpegno e alla ricerca di interventi divini e miracolosi.

Uno come me
Ero partito in questa riflessione dal Vangelo di Giovanni, nel tentativo di riscoprire quanto sia ancora originale e da scoprire il mistero dell’Incarnazione; mi sono fatto trasportare dalla denuncia di quei pericoli che attanagliavano lo stesso Giovanni: i pericoli espressi dallo gnosticismo che tende a trasformare in morale paralizzante un contenuto puramente religioso. Ma ora, prese le distanze da chi tenta di indottrinare il vangelo e costringerlo nei meandri di un pensiero che cerca in sé stesso la propria illuminazione, mi lascio andare alla descrizione più positiva che questo annuncio, preso integralmente, ha sulla nostra vita.
Il Figlio di Dio… ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha amato con cuore d’uomo” ha detto la Gaudium et Spes n° 22, e questo modo di intendere il vangelo mi pare apra le porte a pensiero di ampio respiro.
Ha lavorato con mani d’uomo” non significa forse che si è pure ammalato, si è stancato, si è trovato alle prese con situazioni che non vanno come dovrebbero, con persone disoneste, ecc…?
Ha pensato con mente d’uomo” non significa che a volte è rimasto confuso, indeciso, che si è anche lui arrabbiato, che ha fatto nel sonno sogni inquieti, e tutto ciò che comporta il pensare come pensa un uomo?
Ha amato con cuore d’uomo”, infine, non significa che ha provato anche Lui i turbamenti dell’amore? La gioia, l’esuberanza, l’attrazione fisica, ma anche i sensi di colpa, la fatica ad incontrare certe persone, la rabbia di fronte alla perdita di persone care, la solitudine, la difficoltà a capire il punto di vista dell’altro.
Se così stanno le cose bisogna dirlo chiaramente . Sono tante le cose che non sappiamo sulla vita di Gesù, ma che fosse un uomo come noi, questo lo sappiamo, e ciò che ne consegue non è di poco conto.
Uno come noi significa che poteva essere come uno dei miei tanti amici. Uno di quelli che sento ogni tanto, uno che incontro al lavoro, un vicino di casa. Uno così normale che ti verrebbe da dire: perché lui e non io? Che ha di speciale quello lì?
Te lo immagini un Gesù che esce in bicicletta con te, che parla del più e del meno, che magari ti chiede di rallentare perché è fuori allenamento? Direi che è molto diverso da quello che sta nelle immagini sacre, nei crocifissi, nelle sculture benedicenti delle nostre chiese. Lo abbiamo messo in alto, ma così in alto, che è finito di nuovo lontano, quel Gesù di Nazaret. Invece Lui camminava per le strade poco importanti, dei paesi di confine, e parlava con le persone che non contano niente. Noi ci inginocchiamo, ci facciamo il segno della croce, lo preghiamo… e dimentichiamo che pur essendo di natura divina era anche di natura umana.
Il fatto di essere stato uomo, non significa che il Verbo di Dio abbia fatto tutte le esperienze umane. No, proprio perché era umano non ha provato tutto: non è stato combattente in guerra, sembra che non sia stato padre e marito, non è stato anziano, nonno, immigrato, malato di cancro, ecc… ma è stato umano, quindi limitato, quindi come noi. Anche Lui avrà avuto un po’ del mio mal di schiena, febbre, mal di gola, mal di denti e cose simili, altrimenti – per favore - evitiamo di dire che era umano.
Ma se Dio è stato umano come me, lo è stato per dirmi qualcosa. E cos’altro voleva dirmi se non che la mia vita è preziosa? La mia carne, la mia giornata concreta, non quella ideale, non quella a cui aspiro, ma quella del giorno che sta per tramontare: questa banale giornata uguale a mille altre, per Lui è preziosa tanto che l’ha vissuta non standosene lassù, dove tutto è perfetto e gioioso, ma venendo a vederla dalla mia parte.
Come dice Giovanni “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio…” (1 Giovanni 4,10).
E' un messaggio liberante. La mia dignità non dipende da me! C'è, è un dato di fatto, perché Dio si è fatto come me: io posso fregarmene, buttare la mia vita nei rifiuti, ma essa vale. La salvezza non è per gli intelligenti, né per i monaci, né per chi eccelle in qualunque caratteristica umana (questo sostenevano gli gnostici). Quando si tratta di andare in paradiso, o di essere preziosi agli occhi di Dio, mia nonna analfabeta conta come il papa; e un ritardato mentale gravissimo – che non conosce il significato della parola “Gesù” e probabilmente non ha mai ricevuto neppure i sacramenti – conta come un insegnante di Teologia.

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