sabato 22 febbraio 2020

Quello che penso sul celibato, una volta per tutte

E’ da un pò che ho tralasciato questo blog. L’esperienza mi ha portato a comprendere che ad un contributo mentale, o “concettuale”, preferisco di gran lunga dedicare le mie energie al contatto diretto, alla qualità del mio sentire, e alla cura della spiritualità, troppo spesso soffocata dallo stare  alla finestra, a guardare cosa fa la Chiesa istituzionale.
Nel tempo, lavorando su di me, ho fatto pace con lei, anche perché poi la Chiesa è fatta di persone concrete e queste sono molto più interessanti ed importanti dei documenti ufficiali. 

Recentemente, sull’onda del dibattito che sta avvenendo all’interno del mondo cattolico rispetto alla possibilità di aprire il sacerdozio a uomini sposati, un giornalista locale mi ha telefonato per una intervista sul celibato dei preti. Lì per lì ho pensato avesse sbagliato numero perché sono tanti anni che ho lasciato, e anche a suo tempo il motivo scatenante non fu il celibato. Ho però trovato una persona ben disposta ad ascoltare, che sembrava prendere appunti su tutto quello che dicevo, e io ne ho dette tante, anche perché mi sembrava una buona occasione per mostrare finalmente una visione più serena e rappacificata con l’istituzioni cattolica. Ho detto che su diverse cose la penso diversamente, ma non me la sento di condannare la Chiesa, tanti errori li ho fatti anch’io. Riconosco tutt’oggi il suo ruolo sociale, il bene che fa, e anche i suoi cambiamenti interni, forse lenti, ma comunque reali. Riconosco anche il fatto che ai cambiamenti si debba dare il tempo necessario per maturare dal basso, perché i cambiamenti imposti dall’alto ottengono poco, e talvolta cadono in fratture scismatiche.

Sul celibato dei preti, che era il motivo principale per cui mi avevano chiamato, ho detto che a mio parere non è quello il problema principale della Chiesa. Che il celibato è solo la punta dell’iceberg di questioni più profonde, e che in realtà è necessaria una revisione più seria della visione del sacerdozio, affinché ci si incammini verso una figura di prete meno sacralizzata, meno centrata sul rifiuto dell’esercizio della sessualità, e capace di ripartire dalle intuizioni del Concilio Vaticano II. Insieme al ruolo del sacerdote va conseguentemente riveduta la loro distribuzione per parrocchie e pensare a forme nuove di presenza sul territorio, meno legate alla presunzione di essere detentori della religione ufficiale e più sorretti da un desiderio di evangelizzazione. 

In realtà il celibato in sè non è un problema, questo va messo in chiaro. Il celibato è una possibile scelta di vita, e vi sono molte testimonianze di persone che hanno raggiunto alte vette spirituali e di felicità interiore nella consacrazione. Alcuni poi non trovano qualcuno con cui vivere e sono celibi di fatto, e la loro vita non è meno dignitosa o intensa di altri. Il problema del celibato dei preti si pone solo come questione specifica se è giusto imporre il celibato a chi vuole farsi prete. Tutto qui. Per esperienza ho conosciuto molti ragazzi che si sono fermati di fronte a tale scelta spaventati dalla rinuncia ad una compagna. Certo è pur vero che per la Chiesa diventerebbe molto più difficile gestire dei preti che non sono più a loro completa disposizione, ma devono fare i conti anche con le esigenze di mogli e figli. Detto questo, ripeto quello che è il mio pensiero da sempre: non è questo il problema. Almeno, non è il problema di fondo. 
Voler cambiare la Chiesa partendo dal celibato sarebbe come tentare di cambiare una persona cambiandole vestito. Certo, sarebbe qualcosa, ma sarebbe un livello troppo superficiale per poter parlare di vero cambiamento. Il celibato a mio parere, non è il problema e non è la soluzione; non è da imporre e non è da togliere (vi immaginate un sacerdozio in cui vige l’obbligo di essere sposati?!). 

Le domande dell’intervista sono poi scese su un piano personale, cosa che mi ha sempre infastidito, perché un conto è quello che penso e un conto è la mia vicenda personale, che racconto casomai ai miei amici, ma non ad un quotidiano. Ho detto comunque che non è stato l’obbligo del celibato a farmi lasciare il sacerdozio, ma una certa fatica a condividere la pastorale ordinaria di quel momento (anni ’90). I miei tentativi di esporre il mio disagio a quel tempo non trovarono il necessario ascolto e così, di fronte a segnali preoccupanti che cominciavano a pervenire anche dal mio stato di salute fisica, ho scelto, non senza fatica, di lasciare. 
Questo molto sinteticamente. Poi mi sono raccomandato di non usare un tono rancoroso o arrabbiato, che volevo lanciare un messaggio di distensione e che prima della pubblicazione avrei voluto assolutamente rivedere il testo.
Alle 16,55 dello stesso giorno, mentre stavo uscendo di casa, mi arriva la telefonata del giornalista che mi chiede di rileggere la intervista, appena girata nella mia email. Lo farò in serata, rispondo. Mi dice, no, entro le 17 occorre chiudere il giornale e mandare in stampa. Comincio a sentire odore di pressione. Gli dico, guardi, già oggi ho dedicato molto tempo a parlare con lei, adesso non posso, e comunque 5 minuti non mi basterebbero. Faremo domani. Lui non risponde. Comprendo che è chiaramente contrariato, ma non dice nulla, e mi lascia chiudere civilmente la telefonata.
In serata vedo nella posta elettronica un articolo orrendo, domande e risposte secche e lapidarie. Nelle parole a me attribuite non c’è un ragionamento, non un sentimento, solo odio e voglia di vendetta.
La mattina successiva volevo subito mandare le mie numerose e sostanziali correzioni. Poi mi viene un dubbio, …non sarà che lo ha pubblicato lo stesso? Apro il sito del quotidiano ed eccomi là in prima pagina. Con tanto di titolo e sottotitolo provocatori, non condivisi con me, ovviamente studiati per stuzzicare chiacchiere e risatine. Con una prefazione del giornalista sul celibato sacerdotale piena di strafalcioni e falsità. Con informazioni sulla mia persona eccessivamente personali e pure sbagliate, cosa sulla quale avevo detto di fare la massima attenzione.
Scrivo di getto al giornalista queste parole:

Buongiorno
vedo on line che ha fatto tutto senza il mio consenso. Mi dispiace, perché ci sono diverse cose che non avevamo condiviso. Innanzi tutto il fatto di finire in prima pagina, poi il sottotitolo secondo il quale io avrei "scelto l'amore", cosa che non le ho mai detto e molto ambigua a mio parere, visto che anche diventare prete era stata una scelta d'amore. Molto più corretto il titolo in cui si dice "la tonaca mi pesava, ho scelto la salute" anche questo comunque non condiviso.
Di quanto le ho detto in mezz'ora di telefonata vedo che è rimasto ben poco, le avevo detto in particolare di sottolineare che la mia non è una battaglia contro la chiesa, che penso faccia del bene, ma che abbia bisogno di un ripensamento dalle fondamenta della figura del prete. 
All'inizio del suo articolo lei dice che nella chiesa cattolica esistono eccezioni sul celibato dei preti, come ad esempio tra gli anglicani. Ma è una inesattezza abbastanza grave, infatti gli anglicani sono appunto anglicani, e non cattolici. Capirà che spiace veder affiancato il proprio volto a certe affermazioni.
Per il resto capisco che non poteva dilungarsi troppo e ha prevalso la sintesi, ma accennare ad argomenti come il sacerdozio comune, la sacralizzazione del sacerdozio, la paura nei confronti della sessualità, liquidandoli con una riga mi sembra un pò troppo..
Anche l'ultima domanda, sulla mia vita di oggi, nella risposta non corrisponde a quanto le avevo detto.
Insomma, le scrivo per dirle che posso capire i tempi vostri di stampa, ma in fondo è lei che mi ha cercato ieri stesso, e se non riesce a fare in tempo a pubblicare senza prima farmelo leggere è un problema suo, non mio. Invece ora, per la sua fretta, è diventato un problema mio. E questo non è corretto perché ero stato chiaro sul fatto che avrei voluto prima leggere l'intervista. Come vede questa mattina ero già pronto a darle le mie osservazioni. La saluto e mi aspetto almeno le sue scuse

Nessuna risposta. 
Vi risparmio in resto. Ho avuto giorni in cui il cellulare ha squillato in continuazione. E ciò che è peggio, è successo anche per i miei familiari. A tutti, compresa la Curia della Diocesi di Rimini, ho chiesto scusa, sottolineando che quello che emerge sul giornale non rappresenta il mio pensiero e tantomeno i miei sentimenti.

Ora, cercando di non rispondere con odio all’odio, ripongo qui questa breve spiegazione di come sono andate le cose e pure di cosa penso sul celibato (che come vedete non è niente di straordinario, perché ci sono preti che dicono cose ben più “spinte” di quello che dico io). 

Spero solo che questa storia finisca qui. Ho fatto un errore che sto pagando severamente. Ho imparato la lezione. Mai più interviste telefoniche. Mai più su giornali locali, esperti di cronaca, ma incapaci di approfondire qualsiasi argomento. Mai più in pasto ai commenti cretini sui social. Mai più rancore, odio o frasi che possono essere interpretate in tal senso. 

lunedì 21 dicembre 2015

Cosa significa essere colpito dalla GRAZIA?

Non significa che improvvisamente crediamo che Dio esiste, o che Gesù è il salvatore, o che la Bibbia contiene la verità. Credere che qualcosa è, è quasi il contrario di ciò che significa la GRAZIA. Inoltre, la grazia non significa che facciamo dei progressi nel nostro autocontrollo morale, nella lotta contro la società. Il progresso morale può essere un frutto della grazia; ma non è la grazia vera e propria, e può addirittura impedirci di ricevere la grazia. Ed è certo che la grazia non ci investe... finchè pensiamo nella nostra vanità, di non averne bisogno.
La grazia ci colpisce quando siamo oppressi da grande dolore ed irrequietezza. Ci colpisce quando attraversiamo la valle oscura di una via insignificante e vuota. Ci colpisce quando il disgusto per noi stessi, la nostra indifferenza, debolezza, ostilità, e mancanza di una direzione e della padronanza di noi stessi ci sono divenute intollerabili. Ci colpisce quando, un anno dopo l'altro, la sognata perfezione della vita non compare, quando gli antichi impulsi ci dominano come è accaduto per anni, quando la disperazione annienta tutta la gioia ed il coraggio. Talvolta in quel momento, un raggio di luce si fa strada nelle nostre tenebre ed è come se una voce dicesse: "SEI ACCETTATO, accettato da ciò che è più grande di te e il cui nome non sai. Ora non chiedere il nome; forse lo scoprirai più tardi. Ora non cercare di far nulla; forse più tardi farai molto. Non cercare nulla, non compiere nulla, non proporti nulla. Semplicemente accetta il fatto che sei accettato!"
Se ci capita una cosa del genere, ci è data l'esperienza della grazia. Dopo una tale esperienza può darsi che non siamo migliori di prima, e può darsi che non crediamo più di prima, ma tutto è trasformato. In quel momento la grazia vince il peccato e la riconciliazione getta un ponte sull'abisso dell'isolamento. E quell'esperienza non richiede nulla, nessun presupposto religioso o morale o intellettuale, nulla tranne l'accettazione.
Alla luce di questa grazia, diveniamo consapevoli della forza della grazia nei nostri rapporti con gli altri e con noi stessi. Proviamo l'esperienza della grazia di riuscire a guardare con franchezza negli occhi di un altro, la grazia miracolosa della riconciliazione, della vita con la vita.
Paul Tillich, Nuovo Essere

sabato 19 dicembre 2015

Il G-A-B e la religione

(G-A-B sta per  Genitore, Adulto, Bambino, termini chiave simbolici dell’Analisi Transazionale)
Il dogma è nemico della verità e degli individui. Il dogma dice “Non pensare! Non essere una persona”. I concetti racchiusi nel dogma possono comprendere idee valide e assennate, ma il dogma intrinsecamente è un male perché la sua validità viene accettata acriticamente.
Quasi tutte le religioni poggiano sull’accettazione da parte del  Bambino del dogma dell’autorità come atto di fede, con una partecipazione dell’Adulto limitata, per non dire inesistente. Cosicchè quando la moralità è incorporata nella struttura della religione, essa è essenzialmente del  Genitore. E’ arcaica, spesso accettata passivamente e il più delle volte contraddittoria. La moralità del Genitore, invece di favorire l’idea di un’etica universale, a cui tutti gli uomini debbono sottostare, ne impedisce la formulazione. L’atteggiamento IO SONO OK – TU SEI OK è irrealizzabile se dipende dalla tua conversione alle mie credenze.
Il concetto di GRAZIA, nell’interpretazione di Paul Tillich è una versione teologica del “IO SONO OK – TU SEI OK”. Non “TU PUOI ESSERE OK”, oppure “TU SARAI ACCETTATO SE”, ma piuttosto “TU SEI ACCETTATO”, senza alcuna condizione.
Per molte persone religiose questo concetto è incomprensibile, perché solo l’Adulto può comprenderlo, mente quelle persone sono dominate dal Genitore. Il dialogo interiore di molti credenti è prevalentemente Genitore – Bambino e sono di continuo occupati a tenere una contabilità ossessiva delle azioni buone e cattive che compiono, senza sapere mai se il bilancio sia attivo o passivo. La moralità religiosa sostituisce all’esperienza liberatoria della Grazia (IO SONO OK – TU SEI OK) il timore ossessivo di commettere uno sbaglio.
La trasmissione delle dottrine cristiane non avvenuta sotto il controllo dell’Adulto è stata la maggiore nemica del messaggio cristiano della Grazia. In tutto il corso della storia il messaggio è stato distorto perché potesse adattarsi alla struttura della cultura in cui veniva introdotto. Il senso del messaggio IO SONO OK – TU SEI OK è stato ripetutamente snaturato e trasformato in un atteggiamento NOI SIAMO OK – VOI NON SIETE OK, in nome del quale gli ebrei sono stati perseguitati, l’intolleranza razziale ha ricevuto sanzione morale e legale, si sono combattute guerre di religione, bruciate streghe e assassinati eretici.
I sacerdoti Adulti, che escono dai seminari, ispirati a Bonhoeffer, Tillich e Buber, si sentono rattristati e disillusi quando si rendono conto di essere stati ingaggiati per fare da arbitri nei giochi della chiesa, fare i babysitter, organizzare belle festicciole per i giovani e impedire alle ragazze di restare incinte. La clausola del contratto dice che IN REALTA’ NON DOBBIAMO CAMBIARE, DOPOTUTTO SIAMO GENTE COSI BRAVA.
Se la liberazione dell’individuo è la via maestra per giungere a cambiare la società, e se la verità ci rende liberi, allora la funzione principale della chiesa è di fornire un luogo in cui la gente possa venire ad ascoltare la verità. La verità non è qualcosa che sia stata decisa una volta per tutte ad un convegno delle massime autorità ecclesiastiche o raccolta in un libro nero. La verità è un insieme di dati, sempre crescente, consistente in ciò che constatiamo essere vero.


Liberamente tratto da Thomas Harris, Io sono ok, tu sei ok

sabato 9 maggio 2015

Caro cristiano

Caro cristiano,
prova per un attimo a pensare di non dover convincere nessuno, non dover annunciare nessuna ricetta della felicità. Il tuo messaggio sei tu, non le tue parole, non le tue convinzioni. Prova a lasciar fare a Dio e rilassati. Prova a chiudere gli occhi e guardarti dentro. Fa silenzio, incontra il tuo vuoto interiore, non esprimere giudizi, stacci e basta. Non giudicare le persone, lascia che facciano il loro percorso. Non le hai incontrate per cambiarle, non le devi migliorare, non le devi convertire; sono lì perché vi diate la mano, perché possiate costruire qualcosa insieme nella vostra diversità. Stai dentro di te, fa attenzione a cosa succede a te, a come le tue emozioni muovono il tuo pensiero e a come il tuo pensiero a sua volta rischi di ripetersi e a cadere sempre sulle stesse questioni. Fai questo lavoro interiore e non ti occupare degli altri, e vedrai che se cambi tu cambieranno anche gli altri.
Prova a immaginarti senza colpa. Da quando sei nato tu stai facendo del tuo meglio. Sei nato buono, amabile, bello. Sei quello che sei per la storia che hai avuto, per le persone che ti hanno istruito, educato, amato. Per l’ambiente che hai visto e respirato, per il cibo che hai mangiato. E poi anche per le scelte che hai fatto e che se non ti piacciono puoi sempre cambiare. Non hai sbagliato, hai fatto una strada che ti ha portato qui, così come sei. Se ti vuoi cambiare, prima di tutto accettati, apprezza il fatto di essere riuscito ad arrivare qui, così come sei. Ama te stesso, stimati, valorizzati, e il cambiamento seguirà come un fiume in piena.
Quando vai in chiesa entra dentro di te e pensa che è quella la chiesa che Dio abita. Entra nel tuo cuore, ed è quello il tabernacolo. Non ti preoccupare di capire, imparare, memorizzare… non sei a scuola.
Quando ti confessi, perdonati. Se non ti perdoni tu, è del tutto inutile il perdono di Dio. Non usare neppure l’incontro con Dio come uno smacchiatore. Non si tratta di pagare una tassa per sentirsi a posto con la coscienza. O un sbaglio è davvero vissuto come uno sbaglio nel tuo cuore, e non perché te lo hanno insegnato altri, oppure non lo è. Il tuo errore, se è davvero tale, se lo vivi come tale, se lo potevi evitare, è un danno che hai fatto a te stesso prima che a Dio o agli altri. E se una cosa, che per qualche motivo pensi sia sbagliata, non puoi fare a meno di continuare a farla, falla. Evita magari il più possibile di danneggiare altri, ma falla. Accettala, non ti giudicare male. Non sono le azioni che ci rendono puri. Non è il fare o non fare una determinata cosa che ti rende degno dell’amore di Dio. Dio ti ama comunque. E comunque Dio guarda sempre al cuore. Il difficile non è farsi amare da Dio, ma è amare sé stessi.

giovedì 30 aprile 2015

Ti permetto di far parte di me

"Tutti i nostri visceri o detti anche organi (reni, fegato, pancreas, polmoni, cuore...) hanno la capacità di percepire e memorizzare il divenire del mondo che li circonda (...) Ciò ci sta inducendo a pensare come ricercatori, che gli organi o visceri abbiano la capacità di comunicare tra loro, indipendentemente dal nostro sentire razionale conscio; il linguaggio che li accomuna sono le emozioni, il sentire emotivo, e hanno la capacità di collegarsi anche con organi di altri individui, indipendentemente dalla specie cui appartengono.
Tali organi di senso viscerali sono collegati al sistema nervoso intestinale (che è molto simile al sistema nervoso delle meduse) e al tronco encefalico (che è molto simile al sistema nervoso rettiliano)...
Gli organi di senso viscerali hanno un ruolo nella vita di relazione, che forse non è la nostra vita oggettiva quotidiana (mangiare, dormire, lavarsi, procurarsi il cibo...), ma è la gestione dell'insieme di noi come animali immersi con tutte le altre forme viventi e l'ambiente in cui viviamo (...)
La macchina umana io la immagino come un sistema che entra in contatto con gli gli sta attorno, nel momento storico in cui sta vivendo. (...) Io sono però sono anche, in qualche modo, in accordo con chi mi ha preceduto, con coloro che sono nati prima di me, e in qualche modo, con chi nascerà dopo di me. (...)
Io mi vedo un Sistema Biologico in accordo con chi vive contemporaneamente la mia epoca storica; io modifico e induco qualcosa in loro e loro inducono e modificano qualcosa in me. Io mi vedo un Sistema Biologico in accordo con chi mi ha preceduto e con chi verrà dopo di me; ogni qual volta nel mio vivere la mia epoca, io modificherò il mio sentire emotivo, inevitabilmente modificherò il sentire emotivo di chi vivrà al mio fianco e di chi verrà dopo di me. Ogni qual volta io modificherò l'immagine emotiva dei miei Genitori e dei miei Antenati, io donerò una memoria emotiva del passato differente ai miei discendenti. Modificando il mio sentire emotivo, modifico sia in me e sia in chi vive intorno a me, il suo interagire emotivo verso il mondo e verso gli altri".


Andrea Penna, Ti permetto di far parte di me


sabato 26 luglio 2014

Cristologia indiretta


Propongo una riflessione di Andrea Torres Queiruga tratta da “La resurrezione senza miracolo”.

L’idea corrente di rivelazione è quella di un intervento straordinario e miracoloso di Dio nei confronti di un intermediario per fargli conoscere qualcosa mediante un dettato interiore, come l’audizione di parole, o mediante apparizioni o prodigi che mostrino la sua volontà. In questo modo all’ispirato sono rivelate verità inaccessibili alla ragione umana che altri devono credere perché “egli dice che Dio glielo ha detto”. Di conseguenza gli altri non hanno alcun accesso diretto alla sua verità, né dispongono di alcuna possibilità per verificarla da loro stessi. (…) In questo modo la rivelazione giunge completamente da fuori, è autoritaria dato che bisogna crederla fidandosi unicamente del rivelatore.
Uno sguardo però, appena un po’ critico alla rivelazione biblica ci avverte che le cose non sono e non potrebbero essere andate così. Non solo perché allora bisognerebbe attribuire direttamente a Dio l’aver dettato ordini  mostruosi, come quello di sterminare intere popolazioni, o dettato i numerosi errori di tipo storico, astronomico e perfino morale, di cui è popolato nel suo procedere, il cammino biblico; ma anche tutta la Bibbia stessa mostra e dimostra il contrario. Tutto in essa fa vedere che, allo stesso modo che Dio opera nel mondo attraverso le leggi fisiche, così lo fa anche nella rivelazione attraverso le leggi dello psichismo umano.
Non è che in un dato momento Dio entri nel mondo per rivelare qualcosa con un intervento straordinario. Egli è sempre presente e attivo nel mondo, nella storia e nella vita degli individui, e sta sempre cercando di far conoscere la sua presenza, affinchè riusciamo a interpretarla in modo corretto.  Per quanto una certa retorica teologica continui a ripeterlo, non è Lui che “tace” o si “nasconde”; siamo noi che, per il nostro stadio culturale, la nostra cecità e perfino la nostra colpa, non riusciamo a scoprirlo, oppure interpretiamo male il senso della sua presenza. (…)
In sé stesso Dio era amore e perdono fin dall’inizio, ma la nostra vita e la nostra storia cambiarono radicalmente quando, grazie alla rivelazione di Gesù di Nazareth, si rompe l’idolo di un dio giustiziere e vendicativo e siamo capaci di riconoscerci come figli e figlie. (…)
Solo nella concreta e realissima umanità di Gesù diventa possibile svelare il mistero della sua divinità. L’esegesi attuale sa che questa non si dischiude grazie ai “miracoli”, né a proclamazioni dirette della propria divinità da parte di Gesù. Insiste, al contrario, sulla “cristologia indiretta”, fondata sugli indizi leggibili nel modo di vivere, di parlare e di comportarsi di Gesù che presuppongono una tale realizzazione dell’umano, da “svelare” in lui una presenza unica del divino. (…)
Appare ovvio che anche la resurrezione chiede di essere studiata alla luce di questa nuova logica. (…) il divino deve essere letto nella sua umanità, nel suo modo concreto di vivere e di morire. E la resurrezione non deve essere cercata nella “spettacolarità” e “oggettività” di un interventismo divino che la consegna ai dati empirici di un positivismo storico, isolandola dalla vita e dalla morte degli altri esseri umani. (...)
La resurrezione non è una "seconda vita", nè un semplice prolungamento di quella presente, bensì la fioritura piena di questa vita, grazie all'amore potente di Dio.


L’educazione alla fede che io ho ricevuto è impastata di “interventismo” fin dalla culla. Grazie a Dio, oltre alla dottrina, ho sempre ricevuto anche amore, sostentamento, libertà, e sono questi i canali che hanno permesso lo scorgere delle profondità date dall’ esperienza spirituale. Oggi sono consapevole dell’impossibilità e dell’inutilità di un intervento divino che forzi le leggi della natura. Allo stesso tempo trovo estremamente affascinante la possibilità del cambiamento là dove ogni valutazione razionale sembra indicare “ragionevolmente” la direzione contraria. Trovo molto più affascinante del miracolo che va contro natura, la possibilità di un intervento divino che rispetta le leggi della natura, un miracolo che avviene nel cuore umano, dandogli una esperienza interiore di moltiplicazione dei pani e dei pesci, di trasfigurazione, di camminare sulle acque,  di risurrezione … Se questo avviene la natura è salva, la fede è salva, e i miracoli accadono sotto i nostri occhi pur non obbligando nessuno a credere.
Ho detto che ritengo l'intervento "diretto" divino impossibile e inutile. Impossibile, perchè non ha senso che lui vìoli le leggi naturali che lui stesso ha stabilito. O la natura è creatura anch'essa, e quindi buona, o non lo è, e allora dobbiamo lottarci contro e invocare qualcuno che la possa aggirare. Inutile, perchè l'intervento dall'alto verso una singola persona non modifica la vita di tutti gli altri, compresa la resurrezione di Lazzaro, o anche quella di Gesù stesso. Anzi forse crea una sorta di ingiustizia.
Pensando alla resurrezione del corpo fisico di Gesù mi chiedo anche un'altra cosa. Se questo corpo è risorto, fisicamente, e poi non è più morto, dove è ora? Se è fisicamente risorto e vivo, deve esserci per forza da qualche parte in questo universo. E' nei "cieli"? E se anche sapessimo dove è, a che ci serve la sua presenza lì? Mi pare evidente che seguendo questo percorso logico si rischi di finire nel ridicolo.
Se però il Dio a cui credo rispetta la natura e non "salva" l'uomo forzandola ogni tanto, così pure in qualche modo interviene. Non è un Dio che una volta creato il mondo con le sue leggi, lo lascia andare per la sua direzione occupandosi di altro. Dio continuamente crea, continuamente interviene, continuamente salva, ma in modo misterioso, in modo cioè da non violare la natura, da non obbligare con prove schiaccianti a credere a chi non vuole credere, eppure interviene in modo sostanziale ed efficace.
Su questo mi piacerebbe trovare approfondimenti.


giovedì 13 febbraio 2014

Spiritualità attraverso il corpo

Le persone solitamente evitano la quiete perché in uno stato di quiete si vedono chiaramente per quello che sono. Vedersi è il presupposto per cambiarsi. E’ già entrare nella fase di metamorfosi, e questa cosa spaventa tanto. La quiete fisica è anche il presupposto indispensabile per poter sperimentare qualcosa di spirituale.
Dice Lowen: "Le emozioni sono la diretta espressione dello spirito di una persona. Si può giudicare la forza dello spirito di un individuo dall'intensità dei suoi sentimenti, la grandezza del suo spirito dalla loro profondità, la calma del suo spirito dalla loro quiete. Quando ci muoviamo con sentimento, il nostro movimento è aggraziato perchè è il risultato del flusso energetico che attraversa il corpo. Il sentimento è quindi la chiave della grazia, e della spiritualità del corpo".
La spiritualità che sembra la cosa più lontana dalla materialità concreta della nostra esistenza, se non passa per il corpo, è una parola vuota, uno sforzo mentale sterile e frustrante.
Mi sto rendendo conto che in realtà è del tutto inutile qualunque disquisizione religiosa, filosofica, morale, politica… che non passi per il corpo. Se non passiamo per il corpo, se cioè non lo interpelliamo, e non ci rendiamo consapevoli della sua partecipazione attiva o passiva a tutte le nostre elucubrazioni mentali, ciò che avviene nella sfera razionale è del tutto passeggero ed ininfluente. Per questo, progressivamente, sto iniziando a trascurare questo blog, perché mi rendo conto che per quanto mi riguarda le cose da dire sono state dette, le cose da leggere sono state lette, ed è tempo, per me, di passare alla verifica di quanto le teorie interessino alle persone reali, per raggiungere le quali ho capito essere molto utile e vantaggioso partire dalla lettura del corpo. A tal proposito il mio cammino spirituale mi ha portato in questi ultimi anni a formarmi come terapista Cranio Sacrale.
Il corpo è la porta principale per accedere alla quiete. Un corpo abituato ad una vita frenetica si struttura conformemente ad essa. La mandibola è bloccata, il collo si accorcia e si affossa nelle spalle, il torace può gonfiarsi o al contrario “sgonfiarsi” ingobbendo  la schiena per compensazione. Il respiro è ridotto al minimo, la digestione convulsa, la sessualità ridotta ad un bisogno fisiologico da espletare in fretta.  Le gambe perdono la loro naturale morbidezza, procedono a scatti e sfogano sulla colonna vertebrale tutta la loro rigidità.
Lavorare sul corpo allora è un modo per favorire lo scorrere di sensazioni e pensieri che hanno un'altra frequenza, un altro ritmo e un'altra intensità. La mente sceglie di aprire il corpo all’esperienza della quiete ed esso le restituisce scenari sublimi e sconosciuti, oltre che una visione di sé nuova, più completa. Spesso questa visione è difficile da accettare, tanto è diversa ed in contrasto con quella vittimistica, arroccata a vecchi preconcetti, che ci sosteneva prima.
Un corpo diventa un autostrada per lo spirito quando sa accedere tamite la quiete interiore alle proprie risorse interne. Quando cioè gode dell’ascolto di sé, senza giudizio. Se la mente riesce a passare dalla posizione di censore e giudice a quella di testimone di quanto accade, il corpo da nemico diventa alleato e risorsa per la stessa mente e appunto per lo spirito.
Il corpo da questo punto di vista continua ad essere un vero tabù nella nostra epoca. Per quanto ci venga propinato in tutte le sue nudità, tagliato a pezzi, gonfiato e modellato artificialmente, esso, quale via spirituale è sconosciuto e negato. Le religioni lo castigano, nascondono e inibiscono; i dissacratori lo sbandierano e profanano, fanno di esso una merce o un linguaggio non verbale per vendere prodotti. Alla fine, il messaggio degli opposti è il medesimo. Ma il corpo in quanto tale non viene ascoltato in ciò che ha da dire. Solo quando i suoi segnali d’allarme superano una certa soglia, siamo obbligati a dedicargli attenzione, altrimenti non viene considerato. Si parla di emozioni ma non si sentono le emozioni e non ci si educa al sentire. E così è per la spiritualità: si parla di Dio, ma non se ne fa esperienza.

Corpi compressi e arroccati non sanno cosa sia la salute e senza darsi ascolto proseguono così, anche tutta la vita. I corpi liberi invece esprimono la grazia e parlano di Dio ad ogni minimo movimento.

martedì 27 agosto 2013

La porta stretta


Passava per città e villaggi, insegnando, mentre camminava verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Rispose: Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: Signore, aprici. Ma egli vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete. Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze. Ma egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori d'iniquità! Là ci sarà pianto e stridore di denti quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e voi cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi.
Luca 13, 22-30

La domanda del tale rivela una ansia sull'al di là. Sembra dire: se si salvano in pochi, è poco probabile che io sia tra quei pochi, essendo "un tale" qualunque. Mi colpisce innanzi tutto che alla domanda diretta se ci si salvi in pochi Gesù non risponda altrettanto direttamente: non dice "sì" o "no".
"Sforzatevi" nel testo originale significa non tanto un atto i volontà quanto piuttosto conversione, capovolgimento nella mentalità. La salvezza cioè non dipende da pratiche religiose, ma da un capovolgimento di mentalità che Gesù sta chiedendo soprattutto ai suoi connazionali, a chi si sente già salvo perchè segue la religione giusta e fa le cose che essa richiede.
Spesso questo brano viene usato per contrapporre la vita fervente di colui che imbocca la porta stretta alla superficialità di chi invece va per la porta larga. In realtà il vangelo non fa alcun accenno ad una porta "larga". Non vi è alcuna porta larga. Vi è solo una porta, quella stretta, che obbliga a passare uno alla volta in uno spazio stretto. E' lo spazio stretto del capovolgimento di mentalità, perchè con la mentalità giudaica di esclusione dalla salvezza di tutto il resto del mondo, non si entra. Chi etichetta gli altri e giudica le persone più che i comportamenti, resta fuori.
Cosa dobbiamo fare per salvarci? Questa sembra la domanda di chi incontra Gesù e di ognuno di noi. Quali pratiche, quali rituali, quali comandi a cui obbedire, quali divieti da rispettare? La porta stretta è affollata di ricette per attraversarla, di parole d'ordine, di lasciapassare timbrati dalle pratiche religiose di una vita. Ma così ci si accalca inutilmente alla porta e si rischia pure di trovarla chiusa.
Viene da pensare che chi vuole passare NON DEVE FARE NIENTE,  NON DEVE MERITARE DI ENTRARE. Deve semplicemente entrare con le sue mani vuote, senza raccomandazioni, nè meriti a proprio vantaggio. Perchè la salvezza che Dio offre attraverso Gesù è gratuita e chiede solo di essere accolta. Gesù parla di una salvezza per tutti coloro che non hanno da ricambiare (vedi capitolo successivo).
Se uno comprende questo smette di angosciarsi sulle cose da fare in vista di quel passaggio, si rilassa, si gode l'amore divino, e senza quasi rendersene conto CAMBIA LA VITA.
La frase "molti verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio" lascia pensare che molti si salveranno, ma non è detto che siano proprio quelli che hanno mangiato e bevuto in sua presenza o parlato in suo nome nelle piazze.
Il messaggio evangelico sta nell'amore che Dio riversa sull'umanità attraverso il suo figlio. Non è lecito aggiungere altro. E' un prendere o lasciare. Se iniziamo a pretendere di meritare questo amore o di possedere criteri secondo i quali è possibile esserne più degni di altri, restiamo fuori. L'immagine della porta stretta a mio parere, in definitiva, è un pò fuorviante, perchè sembra rimandare ad una certa severità e difficoltà legata alla salvezza. In realtà la porta della salvezza non è stretta, è la nostra mente che è stretta e che la vede stretta, ma una volta dentro sarà confortante ritrovarci in tanti e, guardando indietro, sperare che altri ancora ne passino, perchè non c'è limite alla misericordia divina.