sabato 22 febbraio 2020

Quello che penso sul celibato, una volta per tutte

E’ da un pò che ho tralasciato questo blog. L’esperienza mi ha portato a comprendere che ad un contributo mentale, o “concettuale”, preferisco di gran lunga dedicare le mie energie al contatto diretto, alla qualità del mio sentire, e alla cura della spiritualità, troppo spesso soffocata dallo stare  alla finestra, a guardare cosa fa la Chiesa istituzionale.
Nel tempo, lavorando su di me, ho fatto pace con lei, anche perché poi la Chiesa è fatta di persone concrete e queste sono molto più interessanti ed importanti dei documenti ufficiali. 

Recentemente, sull’onda del dibattito che sta avvenendo all’interno del mondo cattolico rispetto alla possibilità di aprire il sacerdozio a uomini sposati, un giornalista locale mi ha telefonato per una intervista sul celibato dei preti. Lì per lì ho pensato avesse sbagliato numero perché sono tanti anni che ho lasciato, e anche a suo tempo il motivo scatenante non fu il celibato. Ho però trovato una persona ben disposta ad ascoltare, che sembrava prendere appunti su tutto quello che dicevo, e io ne ho dette tante, anche perché mi sembrava una buona occasione per mostrare finalmente una visione più serena e rappacificata con l’istituzioni cattolica. Ho detto che su diverse cose la penso diversamente, ma non me la sento di condannare la Chiesa, tanti errori li ho fatti anch’io. Riconosco tutt’oggi il suo ruolo sociale, il bene che fa, e anche i suoi cambiamenti interni, forse lenti, ma comunque reali. Riconosco anche il fatto che ai cambiamenti si debba dare il tempo necessario per maturare dal basso, perché i cambiamenti imposti dall’alto ottengono poco, e talvolta cadono in fratture scismatiche.

Sul celibato dei preti, che era il motivo principale per cui mi avevano chiamato, ho detto che a mio parere non è quello il problema principale della Chiesa. Che il celibato è solo la punta dell’iceberg di questioni più profonde, e che in realtà è necessaria una revisione più seria della visione del sacerdozio, affinché ci si incammini verso una figura di prete meno sacralizzata, meno centrata sul rifiuto dell’esercizio della sessualità, e capace di ripartire dalle intuizioni del Concilio Vaticano II. Insieme al ruolo del sacerdote va conseguentemente riveduta la loro distribuzione per parrocchie e pensare a forme nuove di presenza sul territorio, meno legate alla presunzione di essere detentori della religione ufficiale e più sorretti da un desiderio di evangelizzazione. 

In realtà il celibato in sè non è un problema, questo va messo in chiaro. Il celibato è una possibile scelta di vita, e vi sono molte testimonianze di persone che hanno raggiunto alte vette spirituali e di felicità interiore nella consacrazione. Alcuni poi non trovano qualcuno con cui vivere e sono celibi di fatto, e la loro vita non è meno dignitosa o intensa di altri. Il problema del celibato dei preti si pone solo come questione specifica se è giusto imporre il celibato a chi vuole farsi prete. Tutto qui. Per esperienza ho conosciuto molti ragazzi che si sono fermati di fronte a tale scelta spaventati dalla rinuncia ad una compagna. Certo è pur vero che per la Chiesa diventerebbe molto più difficile gestire dei preti che non sono più a loro completa disposizione, ma devono fare i conti anche con le esigenze di mogli e figli. Detto questo, ripeto quello che è il mio pensiero da sempre: non è questo il problema. Almeno, non è il problema di fondo. 
Voler cambiare la Chiesa partendo dal celibato sarebbe come tentare di cambiare una persona cambiandole vestito. Certo, sarebbe qualcosa, ma sarebbe un livello troppo superficiale per poter parlare di vero cambiamento. Il celibato a mio parere, non è il problema e non è la soluzione; non è da imporre e non è da togliere (vi immaginate un sacerdozio in cui vige l’obbligo di essere sposati?!). 

Le domande dell’intervista sono poi scese su un piano personale, cosa che mi ha sempre infastidito, perché un conto è quello che penso e un conto è la mia vicenda personale, che racconto casomai ai miei amici, ma non ad un quotidiano. Ho detto comunque che non è stato l’obbligo del celibato a farmi lasciare il sacerdozio, ma una certa fatica a condividere la pastorale ordinaria di quel momento (anni ’90). I miei tentativi di esporre il mio disagio a quel tempo non trovarono il necessario ascolto e così, di fronte a segnali preoccupanti che cominciavano a pervenire anche dal mio stato di salute fisica, ho scelto, non senza fatica, di lasciare. 
Questo molto sinteticamente. Poi mi sono raccomandato di non usare un tono rancoroso o arrabbiato, che volevo lanciare un messaggio di distensione e che prima della pubblicazione avrei voluto assolutamente rivedere il testo.
Alle 16,55 dello stesso giorno, mentre stavo uscendo di casa, mi arriva la telefonata del giornalista che mi chiede di rileggere la intervista, appena girata nella mia email. Lo farò in serata, rispondo. Mi dice, no, entro le 17 occorre chiudere il giornale e mandare in stampa. Comincio a sentire odore di pressione. Gli dico, guardi, già oggi ho dedicato molto tempo a parlare con lei, adesso non posso, e comunque 5 minuti non mi basterebbero. Faremo domani. Lui non risponde. Comprendo che è chiaramente contrariato, ma non dice nulla, e mi lascia chiudere civilmente la telefonata.
In serata vedo nella posta elettronica un articolo orrendo, domande e risposte secche e lapidarie. Nelle parole a me attribuite non c’è un ragionamento, non un sentimento, solo odio e voglia di vendetta.
La mattina successiva volevo subito mandare le mie numerose e sostanziali correzioni. Poi mi viene un dubbio, …non sarà che lo ha pubblicato lo stesso? Apro il sito del quotidiano ed eccomi là in prima pagina. Con tanto di titolo e sottotitolo provocatori, non condivisi con me, ovviamente studiati per stuzzicare chiacchiere e risatine. Con una prefazione del giornalista sul celibato sacerdotale piena di strafalcioni e falsità. Con informazioni sulla mia persona eccessivamente personali e pure sbagliate, cosa sulla quale avevo detto di fare la massima attenzione.
Scrivo di getto al giornalista queste parole:

Buongiorno
vedo on line che ha fatto tutto senza il mio consenso. Mi dispiace, perché ci sono diverse cose che non avevamo condiviso. Innanzi tutto il fatto di finire in prima pagina, poi il sottotitolo secondo il quale io avrei "scelto l'amore", cosa che non le ho mai detto e molto ambigua a mio parere, visto che anche diventare prete era stata una scelta d'amore. Molto più corretto il titolo in cui si dice "la tonaca mi pesava, ho scelto la salute" anche questo comunque non condiviso.
Di quanto le ho detto in mezz'ora di telefonata vedo che è rimasto ben poco, le avevo detto in particolare di sottolineare che la mia non è una battaglia contro la chiesa, che penso faccia del bene, ma che abbia bisogno di un ripensamento dalle fondamenta della figura del prete. 
All'inizio del suo articolo lei dice che nella chiesa cattolica esistono eccezioni sul celibato dei preti, come ad esempio tra gli anglicani. Ma è una inesattezza abbastanza grave, infatti gli anglicani sono appunto anglicani, e non cattolici. Capirà che spiace veder affiancato il proprio volto a certe affermazioni.
Per il resto capisco che non poteva dilungarsi troppo e ha prevalso la sintesi, ma accennare ad argomenti come il sacerdozio comune, la sacralizzazione del sacerdozio, la paura nei confronti della sessualità, liquidandoli con una riga mi sembra un pò troppo..
Anche l'ultima domanda, sulla mia vita di oggi, nella risposta non corrisponde a quanto le avevo detto.
Insomma, le scrivo per dirle che posso capire i tempi vostri di stampa, ma in fondo è lei che mi ha cercato ieri stesso, e se non riesce a fare in tempo a pubblicare senza prima farmelo leggere è un problema suo, non mio. Invece ora, per la sua fretta, è diventato un problema mio. E questo non è corretto perché ero stato chiaro sul fatto che avrei voluto prima leggere l'intervista. Come vede questa mattina ero già pronto a darle le mie osservazioni. La saluto e mi aspetto almeno le sue scuse

Nessuna risposta. 
Vi risparmio in resto. Ho avuto giorni in cui il cellulare ha squillato in continuazione. E ciò che è peggio, è successo anche per i miei familiari. A tutti, compresa la Curia della Diocesi di Rimini, ho chiesto scusa, sottolineando che quello che emerge sul giornale non rappresenta il mio pensiero e tantomeno i miei sentimenti.

Ora, cercando di non rispondere con odio all’odio, ripongo qui questa breve spiegazione di come sono andate le cose e pure di cosa penso sul celibato (che come vedete non è niente di straordinario, perché ci sono preti che dicono cose ben più “spinte” di quello che dico io). 

Spero solo che questa storia finisca qui. Ho fatto un errore che sto pagando severamente. Ho imparato la lezione. Mai più interviste telefoniche. Mai più su giornali locali, esperti di cronaca, ma incapaci di approfondire qualsiasi argomento. Mai più in pasto ai commenti cretini sui social. Mai più rancore, odio o frasi che possono essere interpretate in tal senso.