giovedì 27 novembre 2008

Canto notturno


E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono?

Giacomo Leopardi

martedì 11 novembre 2008

Perché non chiedo la dispensa dal celibato

Da tempo ho maturato la consapevolezza che pur avendo una certa divergenza di vedute nei confronti della gerarchia è importante per me far parte della Chiesa attivamente, senza remare contro con prese di posizioni rabbiose, ideologiche, né pretendere da essa cambiamenti che realisticamente richiedono anni, se non secoli.
La mia appartenenza alla Chiesa è spinta da convinzioni profonde, da un mio lavoro interiore. Non da amicizie, calcoli, né tanto meno dai meriti della Chiesa particolare con la quale ho contatti. Sono convinto che essa sia effettivamente fondata da Gesù Cristo, o meglio mi sforzo di credere questo, e “questo” mi basta per sapere che in base al battesimo, alla cresima e perché no, al sacerdozio, il mio è un legame di sangue, direi parentale, con lei. Potrà avere tutti i difetti del mondo, ma come appunto accade per un parente, non la puoi scegliere, né tanto meno abbandonare nel momento del bisogno.
Questo lavoro interiore, non poco faticoso e sorretto dalla lettura dei vangeli, mi ha portato in questi ultimi anni a ricontattare preti, vescovo, ambienti ecclesiali nella speranza di poter un po’ alla volta farmi accettare per quello che sono, più che per quello che sono stato. Inutile dire che molti cattolici rimangono confusi, disorientati alla presenza di un prete che ha lasciato quando lo si incontra in un ambiente parrocchiale o comunque cattolico. Ben altra accoglienza, certo, se ci si incontra per strada, ma nei luoghi tipicamente ecclesiali, lì no, la faccia dei più pone sempre la stessa domanda: ma che ci fa qui?
Di fronte ad un mio esplicito intento di entrare, collaborare, mettermi a servizio della comunità, anche se non più come prete, la risposta altrettanto esplicita delle autorità preposte è stata: chiedi prima la dispensa dal celibato.
All’inizio pensavo di non essermi spiegato bene: come, pensavo, io ti dico che sono disposto a darti una mano e tu mi rispondi di …chiedere la dispensa dal celibato? Ma che c’entra?
Poi invece ho capito che c’entra, eccome.
Il celibato, è lui l’unico vero scoglio. Non è per quello che ho lasciato la veste, ma pur essendo attualmente non sposato, né convivente, sembra che senza dispensa non si possa andare da nessuna parte.
Allora mi sono andato a rileggere il codice di diritto canonico per capire in quali casi viene data la dispensa e ho scoperto che i casi sono due e sono confermati, anzi sottolineati da una lettera circolare dell’agosto 2005 che il neo pontefice Benedetto XVI ha fatto inviare dalla Congregazione per il Culto Divino a tutte le Conferenze episcopali:
1.il primo caso riguarda i preti che “avendo abbandonato già da molto tempo la vita sacerdotale, desiderano sanare una situazione nella quale non possono ritirarsi
2.il secondo caso, più grave, riguarda “coloro che non avrebbero dovuto ricevere l’Ordinazione sacerdotale, perché è mancata la necessaria attenzione alla libertà o alla responsabilità, oppure perché i superiori competenti, al momento opportuno, non sono stati in grado di valutare prudentemente e sufficientemente se il candidato fosse realmente idoneo a condurre perpetuamente la vita nel celibato consacrato a Dio”.
Ora, il primo caso non è di certo il mio, perché non sono in una situazione da cui non posso ritirarmi. Ho una compagna, è vero, ma non siamo legati da matrimonio civile, né da figli, né conviviamo. Da un punto di vista anagrafico, civile, e canonico sono ultracelibe. Certo non sono disposto a perderla, ma a ben guardare non è questo che il diritto canonico mi chiede e le relazioni segrete di tanti sacerdoti stanno lì a sottolinearlo.
Mi rimane il secondo caso. Quello in cui dovrei ammettere di essere stato circuito, sottovalutato, di aver fatto una scelta sbagliata e immatura.
Niente di più falso. Sapevo bene quello che stavo facendo, ero molto motivato e tanti possono confermarlo. Ero entrato in seminario al liceo e quindi il tempo per verificare la mia vocazione non mi era mancato, né ai miei superiori per fare le loro verifiche su di me. Ho ricevuto il parere favorevole all’ordinazione dal Rettore del seminario Regionale di Bologna, dal Direttore spirituale di Bologna, nonché dal Rettore di Rimini e dal mio confessore che mi seguiva da parecchi anni. Nessuno in Diocesi ha messo in discussione la mia candidatura al sacerdozio, avvenuta quattro anni prima dell’ordinazione stessa. E nessuno in cattedrale si è opposto quando all’inizio del rito dell’ordinazione il vescovo ha chiesto al rettore “Sei certo che ne è degno?” ed il rettore ha risposto come da rituale: “Dalle informazioni raccolte presso il popolo cristiano e secondo il giudizio dato da coloro che ne hanno curato la formazione, posso attestare ne sia degno”.
Che si siano sbagliati tutti?
Ogni commento mi pare superfluo. Dico solo che in questi anni io sono stato capace di mettere da parte rabbia e rancore verso una gerarchia ecclesiastica che all’epoca non mi ha saputo capire, né valorizzare, né ascoltare; ma ora dover addirittura chiedere scusa, e prostrarmi fino a dover dire che ero immaturo, non adatto al sacerdozio, e che hanno sbagliato i miei superiori a valutarmi, questo mi pare un po’ troppo.
A proposito di parole dette in chiesa, visto che è quello il momento del non ritorno, ho ricordato anche che nel rito dell’ordinazione sacerdotale non si parla affatto di promesse esplicite di celibato. Ebbene sì, quel giorno vengono fatte al candidato tante domande e lui deve fare tante promesse, ma non quella del celibato. E questo secondo me sarebbe già un cavillo mica da poco per discutere con gente che anziché guardarti in faccia consulta il codice di diritto canonico a colazione pranzo e cena. La promessa in realtà a quel punto è già avvenuta e precisamente nel momento dell’ordinazione diaconale. Si potrebbe obiettare che visto che ho smesso di fare il prete sarebbe giusto riguardare quello che ho promesso quando sono diventato prete, non quando sono diventato diacono, ma sorvoliamo. E andiamo allora a rivedere il rito dell’ordinazione diaconale. In quel giorno mi sono state fatte queste domande:
1.Vuoi esercitare il ministero del diaconato con umiltà e carità in aiuto dell’ordine sacerdotale, a servizio del popolo cristiano?
2.Vuoi, come dice l’Apostolo, custodire in una coscienza pura il mistero della fede, per annunziarla con le parole e le opere, secondo il Vangelo e la tradizione della Chiesa?
3.tu che sei pronto a vivere nel celibato: Vuoi in segno della tua totale dedizione a Cristo Signore custodire per sempre questo impegno per il regno dei cieli a servizio di Dio e degli uomini?
4.Vuoi custodire e alimentare nel tuo stato di vita lo spirito di orazione e adempiere fedelmente l’impegno della Liturgia delle ore, secondo la tua condizione, insieme con il popolo di Dio per la Chiesa e il mondo intero?
5.Tu che sull’altare sarai messo a contatto con il corpo e sangue di Cristo vuoi conformare a lui tutta la tua vita?
6.Prometti a me e ai miei successori filiale rispetto e obbedienza?


Ecco, io a queste domande ho risposto “si, lo voglio”. Sono tutte domande importanti allo stesso modo, non sono in ordine crescente o decrescente. Oggi posso dire che ho rispettato quattro promesse su sei. Lasciando il sacerdozio infatti ho tralasciato la promessa sul celibato e soprattutto l’ultima, quella sull’obbedienza al vescovo (non sul rispetto). Anzi sottolineo il fatto che se cinque/sei anni dopo quel giorno ho fatto fagotto non è stato per una ribellione nei confronti del celibato, ma proprio per quell’obbedienza “verso me e i miei successori” che ad un certo punto non sono più riuscito a sopportare. La rottura del celibato è stata immediatamente seguente, o se vogliamo conseguente, perché la vita continua e dal momento che non facevo più il prete venivano a cadere i presupposti per mantenere una promessa che a suo tempo avevo accettato solo per fare il prete (come gran parte di coloro che desiderano diventare preti). E comunque non è documentata da nessun atto ufficiale o matrimonio civile, se non dalle mie stesse ammissioni di adesso.
Nessuno, questo è il punto, mi ha invitato a chiedere una dispensa dal filiale rispetto e obbedienza, né tanto meno a rivedere le mie posizioni di dissenso. E nessuno ha tenuto in alcun conto che ci sono altre quattro promesse, nel rito, altrettanto solenni, alle quali non ho mancato. Nessuno ha fatto obiezioni su quanto da anni vado scrivendo in vari siti internet, neppure laddove metto in discussione alcuni elementi dottrinali, quali l’infallibilità del papa, la verginità e l’assunzione in cielo di Maria, le apparizioni mariane e molti elementi morali-pastorali, che non sto qui a ridire.
No, solo la questione del celibato conta. Una promessa fatta fuori dall’ordinazione sacerdotale, che conta però quando è un prete ad infrangerla, infatti non fanno tutte queste storie ad un diacono che la infrange.
Per questo io non chiedo alcuna dispensa, non per devoto attaccamento verso quel celibato che – mi rendo conto – ho promesso pubblicamente ed ora nei fatti non sto rispettando, ma per ciò che quella firma implica. Addossarmi tutte le colpe e far cadere in piedi i soliti noti prelati. Tanto per cambiare.

Cara Chiesa, io sono qui. E sono a tutti gli effetti un tuo figlio: battesimato, cresimato, comunicato e validamente ordinato prete, dopo aver ricevuto il ministero del lettorato e dell’accolitato e l’ordine del diaconato. Su alcune cose la vedo in modo un po’ diverso dal papa o dal magistero, ma non su questioni di fede fondamentali e non più di quanto non pensino già tanti cattolici impegnati nelle parrocchie, nei movimenti e negli stessi uffici diocesani. Non puoi continuare ad evitarmi, né a mettere le tue leggi umane davanti alla carità che pure insegni con tanta insistenza. Non puoi farlo per quello che sei e per la missione che hai.