sabato 21 marzo 2009

Quale formazione per il celibato?


Leggendo numerose storie di relazioni clandestine in cui sono coinvolti preti, spesso si finisce per incriminare il celibato come causa di tutti i mali, nemico dell’amore e del vangelo. Queste storie, perlopiù raccontate dalla parte femminile, sembrano cercare un colpevole, un nemico da definire e colpire senza pietà, e la cosa è comprensibile, perché quando si è dentro a situazioni stagnanti, immersi in un conflitto senza via d’uscita, senza neppure la possibilità di poterlo dire, è chiaro che con qualcuno o qualcosa bisogna prendersela.
Altrettanto ragionevole però penso sia il tentativo di andare un pochino oltre, da parte di chi non si trova nel centro del ciclone e vuole però andare oltre al livello emozionale di chi è troppo coinvolto.
Ed è per questo che propongo questa riflessione.

Conoscere la realtà
I preti vengono formati a “stare attenti” alle donne, alla tentazione, ecc... Non vengono però formati a conoscere i meccanismi psicologici che sottostanno all’avvicinamento tra un uomo ed una donna. Li vediamo spesso che aiutano, ascoltano, accolgono evangelicamente le pecorelle che spinte da sante intenzioni li cercano, ma non si rendono conto che la loro persona passa molto di più dei loro contenuti e delle loro parole. Sono così addestrati alla dimensione verbale dell’annuncio, al “dire” la verità che non conoscono affatto la comunicazione non verbale, che invece è molto più efficace e veritiera di quella verbale.
Pensano che la gente che va in chiesa ci vada perchè cerca Dio. Ma mica è facile incontrare Dio, molto più facile incontrare un prete ...che parla di Dio, ma intanto lì con te c'è lui, il prete. Questi preti sono così candidi ed innocenti nei loro intenti! Sono così buoni e disponibili a "dare a tutti una parola buona" e non sono per niente furbi da capire che tante volte si usano Dio, la bibbia, i sacramenti, per cercare qualcos'altro. Affetto, per esempio. Essere apprezzati, considerati, …visti.
Una donna che passa un brutto momento come madre, come figlia, come moglie e si sente sfruttata e scontata come donna… è una realtà frequentissima, te la devi aspettare, è quello che accade in tantissime case. E un prete lo deve sapere. Deve sapere che oltre ad essere prete, come gli dicono milioni di volte, è anche un bel single, e che la sua disponibilità può essere fraintesa. Non può cadere dal melo un bel giorno ritrovandosi a provare sentimenti nuovi per una persona in particolare, senza aver fatto nulla di male.
Dicevo in un’altra riflessione:
L'uomo “sacralizzato”, investito del ruolo di mediatore con il divino, esercita un fascino particolare del quale molto spesso non si rende conto. Lui, agli occhi della donna, è diverso dagli altri maschi, quelli che vanno subito al sodo... per intenderci, lui appunto è “spirituale”, ha dei valori elevati, è quindi uomo, non semplicemente maschio e una donna che ha le spalle piegate da una vita pesante e molto concreta, dove tutti, marito, figli e genitori, passano troppo spesso al fare, al “sodo”, senza chiederle cosa prova e cosa pensa, rimane facilmente folgorata da questa figura misteriosa, rivestita di profondità, non superficiale, che ha studiato e che magari la ascolta e la capisce.
Il problema, il più delle volte, è che scatta una scintilla tra una donna ferita, fragile, che si immagina quel prete migliore e più sacro di quello che in realtà è, e un uomo che è un immaturo, che ha subìto il celibato senza sceglierlo per amore, che ha sublimato il suo bisogno di affetto con il piacere che provoca il mettere le mani sul SACRO. Dio che ti sceglie, che viene tramite le tue mani, che perdona con le tue parole... è un piacere profondo, molto pericoloso, che invade tutta la persona e ponendola a metà strada tra il cielo e la terra, le risparmia la fatica di crescere.


Certamente il fatto che i preti siano obbligati a scegliere il celibato rimane una questione aperta, ma ciò non basta a spiegare tante storie sommerse. Esiste il problema di una formazione che non sia tempestata di soli buoni propositi e devote intenzioni. La vera spiritualità non dimentica l’umanità. Spesso tendiamo a puntare il dito contro il celibato obbligatorio che però non è l’unica causa, perché il prete resterà tale e quale anche dopo, quando i preti si potranno sposare: il matrimonio infatti non li preserverà da tradimenti, cotte, avventurelle, esattamente come succede a tutti gli altri uomini. Un prete sposato incontrerà, come quello celibe, tante donne, tante realtà di sofferenza dove con il solo istinto viene naturale intervenire, risolvere, dire “ci penso io”… e dimenticare che non è quello il tuo ruolo. Per questo penso che il celibato non più obbligatorio sarà certo una buona cosa, ma sposterà il problema affettivo dei preti, senza risolverlo.

Che significa “formazione”?
Dire che esiste un problema di formazione dei preti, significa accettare innanzitutto nei seminari la dimensione affettiva non come un problema da arginare, ma come una energia da indirizzare. Il celibato è una scelta estremamente dignitosa, feconda, che merita tutto il rispetto possibile. Certo però, una volta stabilito che un seminarista ha la vocazione al celibato (e sarebbe interessante andare a fondo sui criteri che portano a questa certezza) non ci si illuderà che per salvaguardare questa vocazione sarà sufficiente “non guardare e non toccare”. In realtà ci si può sempre innamorare, da celibi come da sposati. Uno può davvero essere portato per il celibato ed innamorarsi, così come ci si può sposare, avere figli, sognare una famiglia felice e poi avere un momento in cui non se ne vuole sapere più niente e si desidera solo rimanere soli. La crisi, ovunque arrivi, non significa dippersè che la scelta fatta in precedenza sia sbagliata. Quindi affrontare la questione del celibato dicendo in continuazione che non deve essere obbligatorio è fuorviante, semplicistico. Perché liberalizzando il celibato i problemi resteranno gli stessi, per chi lo sceglie e per chi non lo sceglie.
Formare al celibato significa non evitare la tentazione chiudendo gli occhi e sgranando rosari, ma scegliere, tra due beni, quello più adatto a sé. Quando li ho conosciuti e ho capito dove posso sentirmi più a posto, allora scelgo. Ma scelgo cosciente che offerte per passare sull’altra sponda me ne arriveranno sempre, e che un momento di difficoltà non necessariamente lo risolverò con un cambio radicale delle mie scelte di vita antecedenti. A volte potrà bastare uno stacco, una pausa, una presa di distanza da una realtà in cui siamo troppo dentro o dentro da troppo tempo.

Il seminario
Per fare questo occorre che gli anni di preparazione al sacerdozio siano una presa di coscienza della propria sessualità e delle proprie potenzialità, anziché una protezione dai pericoli che questa può procurarsi. Occorre accettare il rischio che la maggior parte dei seminaristi, entrati con le più buone intenzioni, se ne vadano. Occorre infine imperniare maggiormente la formazione sul potenziamento delle capacità della singola persona e meno sulla disciplina e la rinuncia non motivata, fine a sé stessa e a rafforzare la volontà.
Il seminario, roccaforte in cui si costruisce l’uomo celibe coi mattoni della volontà, in realtà troppo spesso non cura affatto il celibato, e si preoccupa dell’apparenza, di quello che il singolo fa o non fa pubblicamente, e non delle motivazioni che vi stanno dietro.
Occorre poi che, al di là dei seminari, la chiesa smetta di vedere nel sesso la porta per far entrare il diavolo nel mondo. Il diavolo di porte ne conosce quante ne vuole, e chiusa una ne trova subito un’altra. Liberare la sessualità non significa concedere tutto e non avere più inibizioni: significa potersi esprimere come ci si sente dal di dentro e non solo come ci viene richiesto dal di fuori, perché se uno può far questo non è vero che diventerà un pervertito. Nella maggioranza dei casi io credo sarà una persona più fedele a quanto sceglie, proprio perché lo sceglie veramente.

Curarsi dell’amore
Andare al di là dei seminari allora significherà occuparsi non solo seriamente del celibato, ma anche del rapporto di coppia. Quel corso prematrimoniale che si sta facendo adesso non è formazione. Ben che vada è una rispolverata di catechismo. Ma chi si sposa è lasciato solo, deve capire da solo se sposarsi o no; se con quella persona o no. E se sono lasciate sole le coppie eterosessuali, figuriamoci quelle “non regolari”, con divorziati o omosessuali. La chiesa si esprime su un livello giuridico: puoi o non puoi. Ma non entra in merito al “come stai in questa relazione”, come la vivi, come ti senti, la scegli o la subisci, perché e per chi la stai facendo.
Di queste cose la chiesa non parla, non ne sa parlare. Lei che quando vieta il preservativo ricorda a tutti come vi sia un problema educativo prima ancora di profilassi, poi se ne dimentica quando vede due persone tenersi per mano o qualcuno scegliere il celibato.
Io tremo ogni volta che assisto ad un matrimonio: tremo per l’emozione ed il profondo rispetto verso una scelta così grande ed impegnativa, ma tremo anche perché non ho la sensazione che ci si renda conto di quale responsabilità, quale pazienza, forza, tenacia, autocontrollo… comporti l’amore di coppia.
Come al solito c’è tanta carne al fuoco, troppa. Mi rendo conto che faccio fatica a scindere gli argomenti e a fare un discorso ordinato, però sono davvero convinto che – per sintetizzare - il problema dei preti non sia il celibato, ma la formazione, e che parlare di formazione affettiva significhi mettere le mani anche nella vita di coppia.

lunedì 2 marzo 2009

Paolo e le donne


incontro a Sorrivoli con la biblista Rosanna Virgili, svolto il 15 febbraio 2009. Appunti non rivisti dall'autrice di Mauro Borghesi

Paolo viene spesso visto come un autore biblico misogino, poco disponibile verso il mondo femminile. Questo in particolare a causa di un versetto (1Cor 14, 34-35) tristemente famoso in cui l'apostolo impone “le donne nelle assemblee tacciano perchè non è loro permesso di parlare... è sconveniente per una donna parlare in assemblea”.
In realtà Paolo valorizza molto le donne. Come vedremo Paolo condivide l'esperienza di marginalizzazione culturale delle donne all'interno del gruppo degli apostoli, e una volta accettato come apostolo affida addirittura intere comunità alle donne o alle coppie.

Innanzi tutto una nota sul suo stile. Sa essere materno, semplice, umile (2 Corinti). Dà grande importanza al corpo (1 Corinti) e alla sua resurrezione.
Annuncia la “debolezza” della fede (1 Cor. 3,18). Sono aspetti importanti perchè nella sua formazione essere maschio e avere un figlio maschio era molto importante.

Paolo vive sulla sua pelle l'emarginazione della donna. Fatica a prendere la parola nell'assemblea, a ottenere autorevolezza e titolo di apostolo. L'autorità nella chiesa all'inizio si basa sul contatto con Gesù, poi diventa sacramentale. Paolo stesso ha bisogno di una comunione con la chiesa di Gerusalemme. Ciò lo renderà sensibile verso le minoranze e lo aiuterà ad associare il messaggio evangelico all'abbattimento di tutte quelle differenze sociali che portano gli uomini a fare categorie di valore.
In Galati 3,28 dice “Non c'è più giudeo né greco, non c'è più schiavo né libero, non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo”. Questa affermazione di Paolo rappresenta il DNA del Cristianesimo. Ci soffermiamo per capirla meglio:
1.giudeo/greco: Non ci si salva più per elezione. I giudei escludevano dalla salvezza tutti i pagani, erigevano un muro di appartenenza che Paolo abbatte.
2.schiavo/libero: Paolo interpreta la Legge in Galati 4,21-31 (e in questo ci indica un metodo attualmente visto con molto sospetto dalle autorità religiose). Facendo questo da una parte mostra di tenere in seria considerazione l'Antico Testamento, ma anche di leggerlo secondo una luce nuova, opposta a quella dei farisei. Essi infatti insistevano molto sul fatto di essere figli di Abramo, figli della promessa, non figli della schiava. Paolo allora riprende il discorso della discendenza per dire che la discendenza di Abramo è Gesù, e solo chi ha fede in Gesù è davvero figlio di Abramo. Paradossalmente per Paolo i figli di Agar, la schiava, sono proprio quelli che stanno nel Tempio, “schiavi” della Legge. Mentre i figli nella discendenza di Sarah e di Isacco, sono i figli della fede (la promessa ad Abramo è frutto della sua fede), figli liberi dalla Legge. Siamo noi.
3.uomo/donna: in 1 corinti 11,7-16 Paolo commenta la creazione della donna dalla costola dell'uomo. Interessante l'interpretazione che lo porta a dire che la donna non è cosa diversa dall'uomo perchè come la donna viene dall'uomo (costola) così anche l'uomo viene dalla donna per nascita. Peccato che la liturgia non citi questi versetti 11-12 ma si fermi a quelli 8-9 dove viene troncato il discorso a metà, dicendo solo della nascita della donna dall'uomo.
la chiesa di Paolo sceglieva i vescovi in maniera orizzontale, non calati dall'alto. (Parentesi: il Concilio Vaticano II ha tentato una riscoperta della “collegialità” dei vescovi, ma oggi vedono bene di starsene zitti, non hanno alcuna libertà di parola. La chiesa di oggi non ha ancora affrontato due grosse questioni: la democrazia e la donna).
I testi autentici di Paolo ci parlano di donne importanti. In Atti 16,15 Lidia dice “se avete giudicato che io sia fedele al Signore, venite ad abitare nella mia casa”. Abitare nella sua casa significa formare una chiesa nella sua casa. Questo fatto ci dice che c'erano donne che facevano lo stesso che faceva lui. Lavoratrici, “collaboratrici”. Stessa autorevolezza, stessi compiti. In Romani 16,2 vediamo Febe definita “diaconessa” (nella nuova traduzione ora tradotto con “al servizio”). Paolo invita a considerarla come lui. Sull'importanza del diacono nelle comunità di Paolo basterebbe leggere Atti 8. Esemplare è poi la descrizione di Stefana in 1 Corinti 16,15-18 come responsabile di comunità o anche Giunia in Romani 16,6-8 che con il marito è definita apostola “prima di me”.
A questo punto sorge spontanea la domanda su quel versetto che impone il silenzio alle donne in assemblea. In base a quanto detto finora in particolare osservando l'atteggiamento di Paolo verso Stefana e Giunia è difficile pensare che si tratti dello stesso autore. E' facile che quel versetto così duro e severo verso le donne sia una glossa posteriore palesemente in contrasto con lo spirito di fondo di Paolo verso le donne. La glossa è stata fatta dall'autore della lettera prima a Timoteo, lettera sicuramente non paolina, che risente di una impostazione successiva, posteriore al periodo di Paolo, in cui la chiesa si era strutturata maggiormente (anni 80/90), aveva inserito il sacerdote (figura sacra di radice ebraica) tra vescovi e popolo ed allontanato le donne da posizioni di autorità. L'autore ha un linguaggio diverso da quello di Paolo, pur spacciandosi per lui, e impone alle donne di non insegnare e non avere posizioni di autorità nelle comunità. Il contrasto fra i due paolo è forte, ma anche in questo vi è un bell'insegnamento. La Scrittura non cestina niente. Sopporta testi tanto diversi, tenendoli a fianco, senza doverne sopprimere uno a favore dell'altro. E' anche questo un aspetto che viene dalla mentalità ebraica che è inclusiva, come anche accade per i due racconti della creazione in genesi.

Efesini 5
Per concludere qualche considerazione su un altro brano piuttosto discusso a proposito di donne, che è il famoso Efesini 5. Paolo qui non intende parlare di morale domestica come erroneamente titola la bibbia di Gerusalemme, ma della chiesa.
Il concetto di fondo è “siate sottomessi gli uni agli altri”, cioè non ci sia un capo, siate legati gli uni agli altri … nel timore del Signore. Che non è paura, ma la reazione dell'uomo quando si trova a tu per tu con Dio.
Il matrimonio viene usato come metafora, e la moglie è metafora della chiesa per una ragione biblica, sempre infatti i profeti hanno usato questa immagine popolo/moglie. “Voi mogli siate sottomesse” significa “voi mogli siete come la chiesa sottomesse a Cristo, il quale Cristo però è salvatore del suo corpo. Il rapporto di dominio è scardinato alla base. Ai mariti dice “amate come Cristo”, dove l'accento di Paolo è sul “come”, non sul matrimonio. E lui ha amato “consegnando” il proprio corpo. Non dice “sacrificandosi” come siamo abituati a dire, ma “consegnando”. Cristo per Paolo fa un atto di resa, consegnare significa dire: il mio corpo ha bisogno di qualcuno che l'abbracci. L'amore è questo scambio, e non uno solo che dà e l'altro che riceve.