sabato 29 agosto 2009

Etica laica?

E' di pochi giorni fa l'articolo di Mancuso di cui riporto un passo centrale.
"Sono i nostri stessi giorni a rivelare che un umanesimo ateo si rivela alla lunga teoreticamente impossibile. Attenzione, non sto sostenendo che non vi siano atei dal comportamento eticamente cristallino; so bene che ce ne sono, io stesso ne conosco non pochi. Sto sostenendo piuttosto che persone così manifestano con la loro assolutezza etica un livello dell' essere che non è conforme con la loro negazione di un' assolutezza a livello ontologico. E quanto alla prospettiva specifica dell' umanesimo, io ritengo che sia possibile sostenere un primato dell' uomo all' interno della natura solo da una prospettiva spirituale, solo cioè da parte di chi riconosce lo spirito quale dimensione dell' essere non riducibile alla materia, perché è esattamente lo spirito ciò che fa dell' uomo qualcosa di diverso rispetto a tutti gli altri esseri viventi."

E' un argomento a me molto caro che fa da sfondo a molte delle mie pagine. 
Può un ateo, o un agnostico, avere un fondamento etico per il proprio agire? O meglio, come credenti, possiamo ammettere un fondamento etico per i non credenti? 
Non me lo chiedo per amore della filosofia o del puro ragionamento astratto. Me lo chiedo perchè la mia fede deve aprirmi gli occhi sulla realtà, non chiudermeli orientandoli solo verso il cielo. Io non vedo differenze sostanziali di comportamento, quindi etiche, tra credenti e non credenti. Tra gli uni e gli altri si trovano slanci di generosità pura, rispetto delle norme, ma anche falsità, egoismo, ipocrisia. Non posso negare, come credente, questa omogenea distribuzione del bene tra credenti e non credenti.
Ratzinger dice che l'agire morale deve necessariamente fare riferimento a Dio (vedi il recente intervento in cui si accosta il nichilismo al nazismo). Anche Mancuso dice di no, pur ammettendo che esistono atei virtuosi.
Io non ne sono del tutto convinto.
Ciò che più mi blocca sono le conseguenze del pensiero di Mancuso e ancor più del pontefice: la prima inevitabile conseguenza è quella di guardare il non credente dall'alto al basso.
La seconda è quella di non mettersi in discussione.
Terzo, la dimensione spirituale non è affatto in declino, moltissimi cercano spiritualità in gruppi esoterici, esercizi yoga, tecniche orientali... i più deboli purtroppo finiscono nelle sette. Ora se vogliamo vedere un pericolo per il mondo cattolico, io non mi fisserei tanto sui non credenti, perchè alla fine è molto difficile non credere in niente; farei invece attenzione a quel mondo di spiritualità che, con tutto il rispetto, dimentica la parte ecclesiale, comunionale della fede e trasforma il rapporto con il divino in una questione privata, intima, individualistica.
Questa spiritualità sta spopolando perchè nella chiesa non c'è. E la gente va a cercarla dove c'è.
Ma se qualcuno ha risposte più coerenti dica pure...

lunedì 10 agosto 2009

Rifondazione della fede


Considero Vito Mancuso uno dei teologi più interessanti del nostro tempo. Ho già avuto occasione di parlarne in una lunga lettera che ho pubblicato su questo blog, commentando il suo testo “L'anima ed il suo destino”. Torno ora su quegli stessi temi dopo aver letto la nuova edizione di “Rifondazione della fede”, testo che come spesso accade ha fatto discutere più per la presunzione del titolo che per gli effettivi contenuti.
Perchè impelagarmi in questioni piuttosto difficili, sofisticate, che presuppongono una base filosofica buona, quando restando terra terra ci sarebbero tanti argomenti su cui ragionare in modo più diretto e semplice su chiesa, vaticano e coerenza cristiana?
Mi pongo questa domanda perchè so che articoli lunghi che faticosamente arrivano ad una conclusione non piacciono a nessuno. D'altra parte credo che scrivere e leggere serve per fare un passo avanti, non per confermarci in quanto già sappiamo. Scrivere per scrivere, per attirare più gente, con effetti speciali e un linguaggio spregiudicato, non mi interessa. Quando non sei pagato sei veramente libero di scrivere quello che ti pare, ed io ho scelto in questo ambito di non inseguire il numero o il consenso, ma solo la coerenza con me stesso e con le mie domande.
Quando Mancuso parla di rifondare la fede fa lo sforzo di andare al di là delle solite critiche alla chiesa, si solleva da un piano puramente orizzontale, per andare ad intaccare le fondamenta, l'impianto teologico e dogmatico da cui la chiesa attinge le proprie linee guida.
Mancuso attualmente è uno dei pochi teologi che critica la chiesa per il bene della chiesa, con la passione di chi vuole cambiarla dall'interno, proponendo in modo costruttivo (e questo davvero pochi lo fanno) una alternativa possibile. E', in fondo, lo stesso spirito che anima questo blog.

Perchè credere?
La questione potrebbe essere così espressa: come mettere insieme le verità della fede con quelle della scienza? Come conciliare i dogmi cattolici con le poche certezze che la ragione ha raggiunto a proposito del mondo, della natura, dell'universo?
Il papa attuale non ha dubbi: elogia in continuazione la ragione, quale via privilegiata per giungere a Dio. E del resto lo stesso Concilio Vaticano I si era già espresso in modo definitivo su questo. Qualche problema rimane sul metodo, perchè a fianco di questo martellante elogio della ragione, non si tirano le dovute conseguenze come invece Mancuso tenta di fare con tanta cura e senza timore di andare a mettere in discussione anche verità di fede mal poste o nei secoli mal interpretate.
Vediamo allora come procede.
Come suo stile non parte dall'alto, non pratica un ragionamento discendente, da Dio verso noi, (come continuano a fare i documenti del magistero) ma al contrario parte dal basso, dalla realtà che vede, e di lì sale, come in una ferrata di montagna, utilizzando alcuni agganci offerti dalla fede e criticandone altri inutili per l'uomo concreto.
La domanda di partenza è sul senso e il fondamento della fede. “Perchè credere?”, un cristiano può e deve chiederselo senza timore, perchè la ragione ci dice che dobbiamo sempre cercare una spiegazione e spesso purtroppo la fede nasce dalla paura di vedere le cose come sono. Dobbiamo chiederci perchè crediamo, a che bisogno va in soccorso il nostro credere, se ci rende più obbedienti o più liberi. Vi è infatti una fede fondata sull'obbedienza ed un'altra fondata sulla libertà.
La fede originata dall'obbedienza è rassicurante e non aiuta l'uomo a crescere, ma solo a delegare ad altri il compito di pensare. La fede che nasce dalla spinta verso il bene che l'uomo ritrova in sé, comporta un cammino di ricerca e liberazione interiore.
Al fondo del suo ragionamento sta l'idea che il BENE, la volontà del bene “è l'unica ragione per aderire alla fede”. Altre ragioni sono fuorvianti e portano a conclusioni disumane. “La vera questione dei nostri giorni non è l'esistenza del male, ma l'esistenza del bene”. Del male nessuno dubita: E' sotto gli occhi di tutti. Su cosa sia il bene siamo meno d'accordo, ed è su questo che una religione gioca la propria identità. Il bene è il concetto chiave di Mancuso. Non va pensato in modo semplicistico come forza contrapposta al male alla quale aderire dopo aver ben riflettuto da una posizione equidistante. Il bene è una forza, una legge, che sta oltre la natura, più forte delle leggi di natura. E' una forza trascendente della quale solo l'uomo sente il richiamo, e tra gli uomini solo coloro che hanno la possibilità di maturare una propria libera autocoscienza, dopo aver rispettato quei bisogni di base (nutrimento, sonno, affetto...) che la natura detta per tutte le creature viventi.
Il bene, non Dio, è scritto nel cuore dell'uomo: Dio è davvero il Dio cristiano solo se vuole il bene dell'uomo.
La legge della natura, si afferma nel capitolo intitolato “Il mondo”, non è in sé bene o male, è spinta all'autoaffermazione, ed è chiaro che rispondendo a logiche di forza governa tutto ciò che avviene in natura come una lotta, una selezione naturale, dove per forza appunto, la vita mia significa la morte tua e viceversa. Dagli atomi alle galassie, fino ad arrivare alle emozioni degli uomini. Ma la natura è fatta in modo da svilupparsi e organizzarsi in modo sempre più complesso. Sempre più la materia si trasforma in energia, e l'apice di questo processo è l'uomo stesso, che per la prima volta nella storia dell'universo è capace di pensare e fare il bene, cioè qualcosa che addirittura và contro le leggi di natura.
Prima di affrontare nello specifico la forza opposta ed irrinunciabile del bene, l'autore si sofferma su un elemento dottrinale che nel cattolicesimo pone un impedimento alla retta comprensione del cammino dell'uomo verso il bene. E' il dogma del peccato originale.

Il peccato originale
E' un argomento già affrontato nel libro sull'anima, sul quale Mancuso torna, e a ragione, considerandolo l'equivoco degli equivoci, l'errore di partenza da cui ripartire per tentare appunto di rifondare la fede cattolica. Anch'io mi sono soffermato su questo argomento (cfr post del 17 maggio 2008).
Il peccato originale, impone al cattolico una visione negativa della vita, macchiata ancor prima dell'uso della ragione di una colpa che viene trasmessa per generazione dagli albori dell'umanità, e di cui ci si può liberare solo tramite il battesimo. Mancuso torna a contestare l'interpretazione cattolica di Genesi 3 che sta alla base di tale dogma. Il brano biblico della caduta dei progenitori sarebbe stato letto alla luce del Cristianesimo ed in particolare per giustificare la morte in croce di Gesù. Da ciò se ne è dedotto l'atto di disobbedienza di Adamo ed Eva come peccato che solo la croce del Figlio di Dio poteva risanare (Romani 5,12-21) ed il serpente come Satana: conclusioni però, non ratificate nelle interpretazioni che l'Antico Testamento fa di sé stesso. Conclusioni colpevolizzanti per l'uomo dalla nascita, che lo mettono di fronte al battesimo come ad una pezza inventata all'ultimo momento perchè ogni nato non andasse dritto dritto nelle fauci del demonio, una specie di antidio, o Dio del Male, uguale e contrario al Dio buono.
Mancuso dice che, stando alle interpretazioni mitologiche dell'epoca, il serpente è la vita così come è, con le sue contraddizioni e fatiche, e la “caduta” non va slegata dal contesto biblico della creazione. Secondo una corretta esegesi, Creazione e Caduta sono un tutt'uno, nel senso che l'uomo è così, e lo è da sempre, e non ha colpa di essere fatto così e di essere dominato dalle leggi della natura e della forza. Cristo certamente interviene in tutto questo, dando con la croce all'uomo la possibilità di seguire una legge ancor più forte (ed opposta) alla legge di natura: la legge dell'amore, del dono, del bene dell'altro. Ma questo non deve portarci a concludere che l'uomo nasca con una colpa da redimere, quanto piuttosto con un cammino da fare, con una maturazione da compiere. Il dogma del peccato originale non va distrutto, dice Mancuso, ma rifondato. Lui preferisce chiamarlo “peccato del mondo”, come fa l'evangelista Giovanni (Gv 1,29) “che non ha nulla a che fare con il peccato di un singolo uomo storicamente accaduto, ma che è la condizione dell'essere, la necessità sotto cui si nasce”. Poco prima “L'errore della concezione teologica tradizionale sul peccato originale sta nel chiamarlo peccato. Non abbiamo nessun peccato, non abbiamo nessuna colpa che preesiste sulle nostre vite indipendentemente da noi. E' la vita che è fatta così” (cfr L'anima …, par. 61).
Se tutti nasciamo bisognosi di una madre, non significa che abbiamo una colpa nei confronti di quella madre. Il fatto che ci partorisce non è un gesto di allontanamento e inimicizia, ma di faticosa maturazione. Così è con Dio: abbiamo bisogno di Lui, ma questo non deve portarci a credere che vi sia una colpa, una Lite primordiale che rende Dio contrariato verso ogni essere umano già alla sua nascita, addirittura a causa della sua nascita.

Il bene
Il peccato originale inteso come peccato del singolo al suo concepimento significa immediatamente l'intervento divino tramite il battesimo per riparare al danno dei progenitori.
Questa interpretazione nasce dal bisogno di giustificare la morte in croce di Gesù. E' sotto questa luce che i primi cristiani rileggono il racconto della creazione e fanno l'errore di disgiungere la creazione dalla caduta.
Da qui ne esce un'idea distorta di bene. “L'errore di quella teologia consisteva nel porre il bene non come originario e assoluto, ma come sottoposto all'autorità, prima di Dio, poi della Sacra Scritura, infine della chiesa quale interprete ufficiale” (cfr Rifondazione della fede, par. 49)
Il bene, invece, secondo Mancuso è originario e assoluto.
Liberiamo la mente dai luoghi comuni, cioè da quelle affermazioni che ci sviano da una retta comprensione del bene:
1.devi fare il bene perchè sarai più felice (eudemonismo)
2.devi fare il bene perchè così vuole Dio (posizione teologica)
3.devi fare il bene perchè così vuole la struttura del mondo (via ontologica o metafisica)
Si tratta di argomenti che non funzionano più” e che non corrispondono alla realtà, dice l'autore. Non funzionano più perchè sono motivazioni esteriori: “l'unica motivazione (che tiene) è di tipo interiore, concerne il nostro intimo, e dice che il bene è meglio del male perchè noi siamo fatti per il bene”. Il bene non necessariamente mi porta più felicità, anzi... ma ugualmente mi chiama a sè. Non necessariamente mi porta ad approvare ed obbedire a tutto ciò che Dio chiede (o mi dicono che Lui chiede). Non necessariamente la natura è così razionale da risultare normativa anche per la nostra morale.
La vita dell'uomo deve essere letta come “antinomia”, cioè scontro inconciliabile tra due leggi. La legge della forza, come abbiamo detto, che governa la natura, e la legge della libertà della quale la natura è diventata capace quando è arrivata all'uomo: “solo se l'uomo si pone in ascolto di qualcosa al di fuori di sé, solo se obbedisce al richiamo di qualcosa di più alto rinunciando al suo appetito naturale, la sua libertà si compie”. La legge della libertà viene detta anche come “terza intelligenza”, una facoltà spirituale diversa dai sensi e dal pensiero razionale, che non fa a meno ma indirizza le prime due. Più in profondità ecco parlare di anima: “E' l'origine divina dell'anima dell'uomo... che può fondare l'azione che sceglie liberamente il bene”.
Ma attenzione, quest'anima di origine divina “non viene pensata da me come una sostanza separata rispetto alla dimensione materiale del corpo, una sostanza di altra origine che giunge direttamente da Dio nel preciso istante in cui la nuova vita umana viene concepita, come la dottrina cattolica ancora oggi invita a fare” (Compendio CCC art. 70). Così spiegava Mancuso nel libro precedente (L'anima ed il suo destino” par. 18). Quando si parla di anima, piuttosto, va intesa come qualcosa “che viene dal basso”, un “surplus” di energia che a vari livelli deriva dalla materia, un surplus che ha portato dapprima alle piante, poi ha fatto il salto verso gli animali, poi alla mente ed ultimamente allo spirito. “Certo che l'anima è creata da Dio, ma allo stesso modo del corpo e di ogni altro oggetto del mondo, cioè indirettamente... se si vuole evitare il pericoloso e insostenibile dualismo tra materia e spirito, si deve pensare la sua origine proprio così” (L'anima ed …, paragrafo 33).
Qui il Vaticano si straccerebbe le vesti. Si nega infatti l'intervento diretto divino che ad ogni concepimento umano crea direttamente l'anima spirituale del nascituro (Pio XII, DH 3896, e CCC 366). Per Mancuso la posizione cattolica crea dualismo, divisione tra corpo e anima, e richiede un continuo intervento miracoloso, appunto ad ogni concepimento. Questo continuo richiamo all'intervento miracoloso di Dio non è sostenibile a fronte di una scienza che ormai spiega l'evoluzione della vita come un processo lento e progressivo, senza salti improvvisi o inspiegabili. Lui invece parla dell'anima come di una maturazione che compie sia il mondo verso creature sempre più capaci di fare il salto della spiritualità, e sia il singolo uomo, che crescendo e maturando si apre progressivamente al richiamo del bene.

Il bene e il male
A proposito di dualismo scopro con piacere che per altre vie ero giunto a conclusioni simili in un post precedente (“Il bene ed il male”, del 19 febbraio 2009) dove sostenevo l'inconsistenza del male, e quanto fosse fuorviante contrapporlo, quasi ad armi pari al bene. Il bene esposto da Mancuso non si contrappone al male, ma alla “forza”, cioè alla legge naturale che non conosce bene o male, ma solo autoaffermazione, per cui ciò che è bene per me è male per te, e viceversa. “Il bene puro non ha a che fare con la natura” (Rifondazione della Fede, par 63). Finchè un essere animato non è stato capace di bene, non ha potuto nemmeno pensare il male. Prima dell'uomo e della aspirazione spirituale al bene vi era solo la forza della natura, non il male. Nel momento invece in cui diventiamo capaci e coscienti del bene, allora scegliegliere di rimanere al livello della forza, è male. Il male, quindi è rinuncia positiva al bene. "Il male nasce quando si vede il bene, si sente il suo richiamo, e lo si rifiuta, anzi lo si utilizza per sè. Il male è sempre un tradimento del bene e della grazia che ne ha generato il richiamo. Il male è sempre spirituale (...) Il bene è originario, il male è parassitario. Non si tratta di due realtà contrapposte, di due principi sullo stesso piano; il male lo si potrebbe chiamare il ritorno allo stato naturale dopo aver visto il bene" (Rifondazione... par. 79).
Il bene di Mancuso è in fin dei conti Dio stesso. O meglio, il bene conduce inevitabilmente a Dio, e solo il bene può condurre a Dio. Dio non può che chiedere il bene dell'uomo, e spingere al bene, e chi segue il bene puro, inteso come rinuncia a sé per l'altro, segue Dio. Questa ascesa verso il bene è il cammino di santità, è ciò che ci rende cristiani a prescindere dal fatto che a parole accettiamo o no la religione cristiana.
Sono affermazioni cariche di conseguenze se pensiamo ad una formazione cristiana più volta ad avere fede, ad accettare certe prassi rituali (la tanto invocata "pastorale ordinaria")come via principale per la salvezza, piuttosto che la pratica del bene. Una prospettiva parte dall'alto: se credi in Dio sarai nel giusto, farai il bene. L'altra dal basso: fa il bene e scoprirai Dio. I sostenitori della prima rischiano di nominare il nome di Dio invano, anzi di usarlo per giustificare vere e proprie nefandezze, perchè “Dio lo vuole” e accusano i secondi di gnosticismo e mancanza di punti fermi. I sostenitori della seconda rischiano di non arrivare a Dio, di fare a meno di Lui almeno a livello verbale/ razionale: ma senza rischio che gusto c'è?
Dunque vi è una antinomia che caratterizza le due leggi fondamentali dell'universo, quella presente a livello gravitazionale, atomico, biologico, dettata dalla forza e quella tipica dell'uomo, dettata invece dalla ricerca del bene disinteressato.

Passaggi dalla materia all'energia
Mancuso a mio parere non spiega bene il perchè in natura ad un certo punto si presenti l'esigenza di superare le proprie stesse leggi, però illustra in modo convincente come la materia si sia organizzata nel tempo arrivando periodicamente a produrre un surplus in energia (ed Einstein ha dimostrato il collegamento diretto tra materia ed energia) che ha comportato dei passaggi ontologici della materia (Mancuso le chiama “discontinuità”). Ne intravvede almeno quattro,
- il passaggio dal puntino cosmologico iniziale alla vastità dell'universo tramite il big bang
- il passaggio dalla materia inanimata alla vita
- il passaggio dalla vita all'intelligenza
- il passaggio dall'intelligenza alla morale e alla spiritualità
(cfr L'anima ed il suo destino, par. 43)

Sono passaggi per i quali si può invocare ogni volta l'intervento diretto di Dio, come fa una certa teologia. Oppure si può pensare, come fa Mancuso rispettando le incertezze e le certezze della scienza, che Dio abbia scritto già tutto nell'atto creativo e che la natura compia questi passaggi perchè... è nella sua natura. “...è l'energia stessa a contenere, nella sua capacità di produrre legami, una tendenza intrinseca all'organizzazione e alla stabilità
Questo significa per l'uomo, in definitiva, ritrovare in sè il richiamo al bene. Un richiamo che va coltivato, allenato, e che se non ascoltato può portare anche a compiere nefandezze, male, cosa che non era possibile senza l'idea del bene. Un richiamo che non può appoggiarsi a miracoli o interventi diretti di Dio, ma solo alla propria capacità di liberarsi di sé e superarsi volgendosi al bisogno dell'altro. “A chi intende conciliare l'amore per il cielo con l'amore per la terra non servono né interessano i miracoli: non parliamo neppure di apparizioni, messaggi segreti, statuette che piangono, case che volano, ecc. Questa mentalità del miracolo (e dello straordinario) fa molto male all'autentica spiritualità, e rende inevitabile che forti intelletti come quello di Nietzsche, e di molti altri prima e dopo di lui, abbiano sentito la necessità di proclamare la morte di Dio per far vivere l'uomo” (cfr L'anima ed il suo destino, par. 43)

Si tratta solo di appunti, credo però in conclusione che vi sia del buono nella prospettiva di Mancuso e magari grazie al mio interesse altri lo andranno a leggere.
Non mi è tutto chiaro, ma la sensazione finale è di aver letto qualcosa di nuovo.
Finalmente uno che và al di là dei luoghi comuni e che prova a pensare senza dover scegliere tra fede e ragione.
Finalmente un tentativo di andare all'origine dei problemi che attanagliano la chiesa.
Finalmente uno che rischia la propria faccia dicendo qualcosa di nuovo, criticabile di certo, ma nuovo. Non con la pretesa di affondare la teologia, la storia o la chiesa stessa, ma con il desiderio di fare un passo avanti tenendo in una mano il vangelo e nell'altra quel poco che sappiamo del nostro universo.