mercoledì 30 aprile 2008

Il caso Medjugorje


Il fatto
Dal 24-25 giugno 1981 nella cittadina di Medjugorje, situata in Bosnia-Herzegovina, 6 persone affermano di vedere ed udire la Madonna. Sembra che in 25 anni i veggenti abbiano ricevuto all’incirca 30.000 messaggi. Tra questi vi sarebbe anche la consegna di 10 misteriosi segreti ancora da svelare ed alcuni messaggi di discutibile sintonia con il contenuto delle Sacre Scritture.
I visitatori mossi da queste presunte apparizioni sono difficili da quantificare, ma il fatto è certamente di proporzioni più che ragguardevoli. Per dare solo una vaga idea apprendiamo dal sito www.medjugorje.hr che solo le comunioni distribuite dalla suddetta parrocchia nell’anno 2006 sono 1.451.100.
La posizione ufficiale della Chiesa Cattolica è, per ora, contenuta nel testo redatto dai vescovi locali, chiamato "Dichiarazione di Zara" dell’11 aprile 1991, dove sostanzialmente si dice: «In base alle investigazioni finora condotte, non è possibile affermare che si tratti di apparizioni o rivelazioni soprannaturali».
Il vescovo di Mostar – diocesi in cui è situata Medjugorje -, mons. Ratko Peric, ha sollecitato (luglio 2006) i sei veggenti a smettere di sostenere che Maria li sta visitando. Il presule, in sintonia con le posizioni del suo predecessore monsignor Pavao Zanic, ha detto che la chiesa "non ha accettato, come soprannaturale o come Mariana, nessuna delle apparizioni". Ha inoltre invitato i veggenti a "dimostrare l'obbedienza ecclesiastica e cessare con queste manifestazioni pubbliche e messaggi in questa parrocchia." Tale invito è rimasto inascoltato.
La Congregazione della Dottrina della Fede, che sempre nell’estate 2006 ha comunicato l’intenzione di provvedere al più presto alla costituzione di una nuova commissione di studio e approfondimento del fenomeno, deplora, per il momento, che alcuni vescovi si rechino a Medjugorje “ed è rammaricata anche che migliaia di sacerdoti accompagnino i pellegrini”. Allo stesso tempo però non proibisce ai singoli cattolici il pellegrinaggio a Medjugorje se visto come un semplice santuario in cui esercitare la propria devozione mariana.
Radio Maria, che solo in Italia raggiunge ogni giorno 2/3 milioni di ascoltatori, appoggia da sempre le apparizioni di Medjugorje, senza dare alcuno spazio a voci contrarie. Il responsabile, Padre Livio Fanzaga, anzi ritiene che Medjugorje rappresenti il culmine di tutte le apparizioni mariane di tutti i tempi, e ha detto più volte che dopo Medjugorje non vi saranno più apparizioni.

Il ruolo di Radio Maria in questa vicenda non è affatto marginale. La sua ampia diffusione la rende uno strumento di grande impatto soprattutto nei confronti degli anziani che stando in casa se ne servono per pregare. Radio Maria si regge sulle apparizioni mariane a Medjugorje e le riprende continuamente, non mancando di sostenerle anche da un punto di vista scientifico e razionale. Cosa sulla quale ci sarebbe un po’ da discutere, come infatti qualcuno fa (vedi ad esempio l’interessante dossier con video di http://marcocorvaglia.blog.lastampa.it/mcor/le-ovvie-meraviglie-di-me.html )
All’inizio del 2005 il Cardinale Tarcisio Bertone è intervenuto alla trasmissione televisiva “Porta a Porta”, esprimendo il suo scetticismo in merito alle apparizioni di Medjugorje e di Civitavecchia. La reazione del popolo di Radio Maria è stata incontenibile. Migliaia di proteste arrivarono alla sua redazione e ad esse l’emittente diede ampiamente voce e appoggio.
A fronte di tante polemiche don Andrea Gallo intervenì dicendo riguardo a Radio Maria: “Fa propaganda martellante, una crociata. Ma che cosa aspettano a richiamarla? Se io raccomando ai ragazzi il preservativo, mi convocano subito in tribunale ecclesiastico. Se loro usano la Madonna per chiedere soldi, nessuno fa nulla”.

Il mio commento
E’ proprio dall’affermazione di don Gallo che vorrei prendere spunto per una breve riflessione. Come abbiamo visto vi sono casi in cui il Vaticano lascia il problema in sospeso, e giudica i fatti invisibili basandosi sui frutti visibili che da quelli discendono. E’ una prassi saggia e millenaria adottata in particolare nei confronti delle apparizioni o delle statue piangenti e sanguinanti.
Bene, mi sembra un’ ottima prassi anche se sugli effetti di questo silenzio/assenso si potrebbe discutere, visto che si lascia che milioni di fedeli credano tranquillamente ed esplicitamente alle apparizioni e questo porti masse di pellegrini in una terra che ne ha bisogno come il pane. Ma sorvoliamo: perché, mi chiedo, allora non fare così anche per questioni meno miracolose, ma altrettanto incerte? Mi riferisco a problematiche quali il celibato obbligatorio, l’ordinazione delle donne, i pacs, la scelta dei vescovi “dal basso”, la creazione di organi democratici decisionali, i rapporti prematrimoniali, il dibattito sull’inizio e la fine della vita, ecc… Perché tanta premura, tanta pazienza, saggia attesa prima di arrivare a dichiarazioni definitive sulle apparizioni, e all’opposto solo dictat, leggi infallibili calate dall’alto con fredda prontezza sui problemi più quotidiani dei fedeli?
E poi, come si pone il Magistero con la sua pressante intenzione di affiancare sempre più la fede alla ragione, con fenomeni come questo, dove la ragione, senza offesa, è lasciata nel cortile?
Sarebbe davvero bello che mezzi di comunicazione potenti come Radio Maria venissero utilizzati maggiormente come strumenti di confronto, di dialogo interno, di approfondimento di tematiche scottanti con spazio per voci diverse, che partendo dallo stesso vangelo arrivano anche a conclusioni distanti tra loro. Sarebbe bello vivere in una chiesa che appassionatamente discute, ragiona, dibatte su come tradurre il suo “deposito” dentro le problematiche del mondo odierno; e vedere pure un Vaticano che permette questo dialogo, che umilmente tace, fa un passo indietro e aspetta la voce dello Spirito che emerge nella chiesa, in tutta la chiesa, non solo nei suoi responsabili.
Maria, umile e silenziosa ancella del Signore, come ci viene descritta nei vangeli, forse, in questa chiesa, tornerebbe a parlarci più per le sue qualità che con i suoi misteriosi segreti.

domenica 27 aprile 2008

Il viaggio del papa negli USA


La prima cosa che mi ha colpito ancor prima che questo viaggio del papa avesse luogo, è stata l’attenzione che un simile evento ha catalizzato su di sé.
Eravamo tutti pronti, con gli occhi su qualche video per sapere cosa avrebbe detto, chi avrebbe incontrato, e poi per approvare o disapprovare con mail, blog, e quant’altro.
Questo papacentrismo, o meglio, questa papa - dipendenza, a mio parere deve farci riflettere. Perché sinceramente penso che così facendo siamo i primi a creare il mito attorno alla sua persona a discapito dell’attenzione che dovremmo, in quanto cattolici, alla Chiesa intera.
Io credo che il papa sia una figura importante, non intendo dire che dobbiamo fregarcene di ciò che fa e dice. No, però vorrei che si guardassero le cose un po’ più dall’alto, con un orizzonte più ampio.
Se penso che questo pontefice viene dopo un mostro della comunicazione con le folle come Woitila, e che ha passato la vita sui libri e nelle università, ecco che diventano per me meno interessante le sue gaffe nei rapporti con i musulmani o con gli ebrei. E’ un uomo che ragiona in un certo modo, procede in modo logico e diciamo “didattico”. Ama una fede ragionata e dimostrata e si mostra così come è: non è colpa sua in fondo, se altri lo hanno vestito di bianco. Penso che non abbia voluto lui la sedia che occupa, e che faccia del suo meglio; soprattutto mi ripeto spesso che io non farei meglio al posto suo.
E’ un tipo che non si rende conto in tempo che quando si parla al mondo intero occorre un linguaggio adeguato, e anche una virgola messa al posto sbagliato può provocare rivoluzioni e incidenti.
Il papa non è la Chiesa, non finirò mai di dirlo. Nessuno da solo è la Chiesa, e Ratzinger è il primo a dirlo (vedi il testo “Perché sono ancora nella Chiesa”, dei primi anni ’70, se interessa lo posso mettere on line). Possiamo continuare a rivoltare la sua vita privata come un calzino, analizzare i suoi discorsi cercando il pelo nell’uovo, ma non so quanto tutto questo possa servire. Il rischio è di rendere questa figura (il papa in sè, non il singolo papa) sempre più grande e decisiva. Ci sono fenomeni che invece meriterebbero più attenzione e che rimangono al margine:
Come si spostano geograficamente i cristiani nel mondo, e perché?
Come viene recepito o tollerato il Magistero, ad esempio sulla morale sessuale?
Cosa pensano i cattolici di questo tipo di sostentamento economico della Chiesa?
Cosa significa per un cristiano essere cristiano oggi?
Che differenza c’è tra il cristiano d’Irlanda, quello delle Filippine e quello del Brasile?
Come si può ben immaginare rispondere a queste e altre domande simili non significa dimenticare il papa, ma metterlo in un contesto più ampio, come un elemento tra gli altri, non il più importante e soprattutto non l’unico degno di nota.
Date queste premesse volgo velocemente lo sguardo al viaggio negli Stati Uniti.

La prima impressione è positiva, per quel che mi riguarda.
Intanto penso che questo viaggio in sé sia una cosa buona. E’ importante che il maggior rappresentante del mondo cattolico si faccia vedere e vada a vedere. Non si può chiedere più di tanto in spostamenti ad un uomo di 81 anni, ma qualcosa sì.
Mi ha colpito la decisione di affrontare in modo esplicito e ripetuto la questione dei preti pedofili.
Questa la dichiarazione fatta durante il volo d’andata:
'Mi vergogno profondamente': Il Papa assicura che la chiesa 'farà di tutto per sanare le ferite' causate dallo scandalo dei preti pedofili. 'Vicende del genere non accadranno piu'', ha promesso Ratzinger durante il volo che lo porta in Usa, esprimendo la sua 'profonda sofferenza', la sua incredulità per quanto è successo. 'La pedofilia è del tutto incompatibile con il ministero sacerdotale. I pedofili saranno completamente esclusi dal sacerdozio'.
Ricordo che quando Giovanni Paolo II nel 2000 ha fatto la sua pubblica richiesta di perdono per i peccati dei figli della Chiesa un esercito di farisei ha lanciato le proprie pietre dicendo “Facile chiedere scusa dopo 400 anni!”
Beh, ora abbiamo un “mi vergogno” per qualcosa di grave che riguarda i nostri giorni. Credo che la cosa andrebbe apprezzata, e spero davvero che finalmente il Vaticano inizi a curare più la qualità che la quantità dei propri preti.
Certo non nego che queste affermazioni suscitano in me anche un po’ di irritazione. Questo cader dalle nuvole, questa visione angelica del sacerdozio, dopo che da cinquant’anni diciamo in ogni modo che i seminari non funzionano…

Poi ha ricordato un’altra questione che ha diviso spesso gli storici e il Vaticano: “… le 'ingiustizie' compiute dai colonizzatori nei confronti dei nativi del continente e poi nel commercio degli schiavi dall'Africa”. E anche per dire questo credo ci sia voluto un po’ di coraggio.

Ovviamente ci sono anche tante cose che non mi hanno convinto. A partire dal momento in cui è avvenuta la visita: proprio in piena campagna elettorale… quando sono facili le strumentalizzazioni, e poi la questione del Tibet: il mondo bolle ad est e noi guardiamo tutti ad ovest per vedere cosa dice il papa e cosa fa il dollaro.
Non mi piace poi la spettacolarizzazione della visita papale, che sempre più spesso viene accolto come una star, che viene messo al centro quasi il suo messaggio fosse sé stesso, che ha tutte le telecamere puntate su di sé, e tutti i presenti in cerchio attorno a lui, anche quando prega in silenzio (“quando pregate non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa”. Matteo 6,5)
Certo non è bello vederlo andare a braccetto con Bush alla Casa Bianca, vederlo seduto davanti alle guardie armate che marciano, vedere potenti a cui non interessa niente della fede cattolica, dargli la mano e applaudire ai suoi discorsi sul relativismo etico.
Non è chiaro il comportamento del papa nei riguardi di Bush. All’uscita dell’incontro personale ha voluto dare l’idea di una totale consonanza, ma poi nel discorso alle Nazioni Unite ha denunciato “l’evidente paradosso di un consenso multilaterale che continua ad essere in crisi a causa della sua subordinazione alle decisioni di pochi…”.
L’impressione generale che ne deriva è di aver soppesato bene le parole, di aver fatto bene attenzione a dire e non dire, a dire qui ma non dire la stessa cosa là e viceversa. Un equilibrista bisognoso di recuperare consensi, insomma.

Questo papa probabilmente sta facendo del suo meglio, nelle sue condizioni, e nella Chiesa di oggi non può fare molto di più, ma soprattutto: il nostro disprezzo non lo aiuta minimamente.

sabato 19 aprile 2008

Mio nonno rivoltava il cappello


Mio nonno è morto quando ero solo un bambino, ma il suo sguardo sereno e stanco è riuscito a trasmettermi un sacco di domande e sensazioni. Ho saputo dai miei che quando il nonno era giovane – e il fascismo andava per la maggiore – aveva inventato un modo di protestare del tutto singolare: una forma di protesta silenziosa, visto che era troppo rischioso protestare a parole, ma altrettanto eloquente. Si rovesciava il cappello. Lui vedeva qualcosa che non andava, qualcosa che non approvava, che so, il sequestro di un normale cittadino… e si rovesciava il cappello. Rovesciarsi il cappello era lecito, in fondo.
Ecco, io oggi posso parlare più di lui, posso scrivere su internet, posso votare qualcuno che mi rappresenti in Parlamento, posso fare obiezione di coscienza… ma non credo in sostanza che le cose siano cambiate poi così tanto.
Una volta bisognava tacere, perché “il nemico ti ascolta”, oggi si usa il metodo inverso: ci affogano di parole, emozioni, notizie in cui viene mischiato l’attentato in Irak con il gossip più squallido. E “la” notizia muore nel mare di parole inutili.
Ho come l’impressione di essere imbalsamato, messo sottovuoto, reso impermeabile alle notizie. E questa sensazione mi deriva non dal contenuto dei notiziari, ma da quello che non dicono.
Sotto elezioni sembra esistano solo le elezioni: i Tg si curano di dare tot secondi a uno e altrettanti all’altro, poi il piagnisteo su quanto sia ingiusta la par condicio e per concludere l’ultimo terribile incidente stradale… e nessuno si cura del fatto che intanto passa mezz’ora e non ci hanno detto niente! Niente. Ci hanno fatto un spot elettorale: non mi danno notizie, in realtà fanno promesse a me perché l’unica vera notizia che a loro interessa è il mio voto.

Internet
Uno può sempre rispondere: cercati le notizie su internet. Già, ma internet a mio parere è ancora troppo succube della televisione. Internet è ancora in una fase primitiva, in cui attinge dalla tv, come un fratello minore osserva il maggiore. Riprende quello che la tv dice per diffonderlo o anche contestarlo, ma sempre come un affluente che resta legato al corso del fiume principale. Non è ancora arrivato a fregarsene della non informazione televisiva.

Le notizie importanti
Io per esempio sarei curioso di sapere perché se l’economia europea và male quella statunitense cresce, e se invece quella statunitense và male porta nel baratro anche la nostra. A me non sembra un sistema molto giusto. Vorrei sapere come sta il nostro pianeta: mi intontiscono di statistiche che si contraddicono a vicenda: qualcuno dice che và malissimo, qualcuno che non và poi così male. Insomma io non posso credere che sappiamo leggere il genoma umano, sappiamo mandare un computer su saturno, a 15 milioni di km di distanza, e non sappiamo ancora niente di certo sul nostro pianeta! Io vorrei capire se per il nostro pianeta siamo troppi o è solo un problema di stile di vita, perché di pianeti al momento ne abbiamo solo uno e c’è poco da scherzare. Se con questo stile di vita non si può andare avanti occorre fare una informazione seria, globale. Vorrei che si parlasse in modo semplice e non di parte di ogm, di desertificazione, di acqua, di virus resistenti agli antibiotici. Se l’energia e l’acqua sono un problema vero, bisogna affrontarlo e non correre ad accaparrarsi l’ultimo barile mentre và in onda Sanremo, Affari tuoi o Miss Italia.
Io vorrei capire cosa succede in paesi di cui si parla poco e in cui succede tanto: Africa, America Latina, Messico, India. Il mondo è sempre più globale per scambio di merci, per migrazioni di popoli, per impatto ambientale, non è possibile continuare a sentir parlare solo dell’ultimo botta e risposta di Berlusconi e Veltroni.
Vorrei che mi arrivassero notizie, non veline. Fatti, non interpretazioni di parte: datemi i fatti che poi a interpretarli mi arrangio io!

Informazione religiosa
Questa mancanza di informazioni, o se vogliamo, questo convoglio, incanalamento delle informazioni in una direzione stabilita di prepotenza da “qualcuno” che non si vede, colpisce, purtroppo anche la Chiesa. E questo per un cattolico è ancor più doloroso. Perché questo potrebbe davvero essere un campo in cui essere profeti e gridare nel deserto “convertitevi!” con tutta l’urgenza di cui parla il vangelo.
La Chiesa accondiscende ad una informazione religiosa in cui si parla all’80 % di ciò che il papa ha detto e fatto (più detto che fatto), per il resto ci sono alcuni interventi di vescovi e i semplici preti trovano spazio solo quando fanno qualche cazzata (pedofili, omosessuali, doppia vita…) o se vengono ammazzati (e così diventano martiri). Per i laici non c’è proprio spazio neppure in questi casi.
Io ricevo da un po’ Avvenire ed è un agenda dei movimenti del papa. Guardo come se ne parla in Tv e scopro programmi su miracoli, santoni che sanguinano, preti che parlano del papa.
Si può uscire da questo medioevo mediale?
La Chiesa si lamenta perché l’anticlericalismo è dilagante sui media, - e secondo me ha ragione – e i radicali si lamentano che la Chiesa è dilagante in Tv, e anche loro hanno ragione perché davvero in certi momenti in particolare sembra esista solo il papa e la folla che lo segue.
Il mondo è un’altra cosa, la Chiesa è un’altra cosa, la fede è un’altra cosa. E noi per primi dobbiamo contestare questo bavaglio che ci viene imposto, o meglio, le parole che il Grande Fratello ci mette in bocca perché il nostro Verbo sia sempre più simile al suo.
Quando sono in casa di amici, ultimamente, chiedo di spegnere la Tv, e se questo per qualche motivo non accade, uscendo, rivolto il cappello all’in sù.

venerdì 11 aprile 2008

Un linguaggio che si rinnova

Gesù iniziò la sua missione "predicando il Vangelo di Dio e diceva: Il tempo è compiuto ed il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al vangelo!" (Marco 1, 14-15). Colpisce questo inizio brusco, deciso, quasi dettato dall'urgenza di un cataclisma che sta per scatenarsi sulla terra da un momento all'altro.
Colpiscono anche gli effetti di queste parole. Secondo l'evangelista funzionano, tanto che tutte le persone che Gesù incontra sono spinte spontaneamente a schierarsi: o con lui o contro di lui.
Certo un linguaggio così duro oggi è difficilmente riproponibile alla stessa maniera, ciononostante il vangelo, pur nella sua crudezza ha ancora qualcosa da insegnare a partire da quella Chiesa che nei suoi vertici appare a tanti logorroica, rigida, moralista, e nel suo popolo, all'opposto, superficiale e menefreghista. Un Gesù di poche parole, invece, quello narrato da Marco, ma efficace e capace di cogliere nel vivo le attese del suo popolo. Siamo chiamati anche noi, come i discepoli che lo hanno seguito per primi, a rendere ragione della speranza che è in noi (1 Pietro 3,15) e non è più possibile eclissare ogni discussione in un semplicistico "o ci credi o non ci credi". Credo sia superato il tempo in cui i cristiani potevano cavarsela giustificandosi con un facile "lo ha detto il papa", o "così insegna la Chiesa", come se loro fossero altro dalla Chiesa.
E' stupefacente come tante persone oggi non abbiano alcuna difficoltà a dirsi cattolici, a recitare per intero il Credo, a credere beatamente nell'Incarnazione e nella Resurrezione, senza restare minimamente turbati dal contenuto di tali affermazioni di fede. Parole che ai tempi degli apostoli erano definite "scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani" (1 Corinti 1,23) e che nei primi Concili, quelli di Nicea o di Costantinopoli, hanno dato vita a dibattiti animatissimi, protratti per diversi secoli, con scomuniche tra parti opposte e persino omicidi. Ciò significa solo una cosa: che le parole che custodiscono la nostra fede sono diventate vuote, hanno perso il loro significato, la loro spinta interiore, e svolgono il solo ruolo di addomesticare e sopire le menti.

Robinson
Non si tratta di una scoperta recente: in seguito alla svolta linguistica partita dal campo filosofico all'inizio del '900 alcuni teologi sono arrivati da tempo a mettere sul banco degli imputati il linguaggio usato dalla Chiesa. Robinson, un teologo anglicano di fine '800, si chiedeva quale fosse il valore effettivo delle nostre massime e delle nostre formule e per farsi comprendere meglio usava l'immagine del valore delle banconote. Fino quando è chiaro il rapporto tra carta moneta e la riserva aurea, - diceva - tutti l'accettano e le riconoscono valore; invece quando tale rapporto diventa misterioso allora nessuno la vuole più. (cfr. Joseph Armitage Robinson, Dio non è così, Vallecchi, Firenze 1965). Mi pare un esempio azzeccato che và a salvare lo sforzo interpretativo di chi in passato ha ideato certe formulazioni dogmatiche, e allo stesso tempo spiega come quelle stesse parole dette oggi, abbiano perso tutta o gran parte della loro forza originaria.

Kung
Un altro grande autore che ha polemizzato sul linguaggio dogmatico della Chiesa è stato il cattolico Kung. Egli sostiene che come qualsiasi altra definizione umana, anche quelle dogmatiche sono fallibili, perchè costituite da "proposizioni sempre inadeguate alla realtà, sempre equivoche, solo relativamente traducibili, sempre comprese in movimento, con tanta facilità ideologizzabili e quindi mai definitivamente chiare" (Hans Kung, Infallibile? Una domanda, Anteo, Bologna 1970). Per questa e altre affermazioni del genere, la Congregazione per la Fede nel 1973, con la dichiarazione Mysterium Ecclesiae ha riaffermato il valore perenne delle sue formule dogmatiche.
Mi sono convinto della distanza tra il mio linguaggio esistenziale e quello della mia Chiesa quando recentemente mi è capitato di leggere un passaggio di Paolo VI, il quale nel 1965 non vedeva alternative al modo di esprimersi della Chiesa: "Chi potrebbe tollerare che le formule dogmatiche usate dai Concili ecumenici per i misteri della santissima Trinità e dell'Incarnazione siano giudicate non più adatte agli uomini del nostro tempo? (...) Quelle formule esprimono concetti che non sono legati ad una certa forma di cultura (...) ma presentano ciò che la mente umana percepisce della realtà nell'universale e necessaria esperienza" (Mysterium Fidei 24).
Se così fosse perchè continuare a pubblicare documenti su documenti che ripropongono sempre lo stesso vangelo? In realtà la Chiesa si riunisce in sinodi, concili, conferenze e quant'altro perchè sa bene che ad ogni ora và detto il suo vangelo, anche se non sempre riesce a staccarsi dalle formule del passato.

Come faccio allora io oggi a "ridire" i misteri fondamentali della fede cristiana?
E' una domanda che sento risuonare troppo poco negli ambienti ecclesiali, mentre invece rappresenta una sfida inevitabile se non si vuole diventare "cembali che tintinnano" o "bronzi che risuonano...." come insegna l'apostolo Paolo (1 Corinti 13,1). Non so se capita anche a voi, ma spesso io provo un senso di imbarazzo ad ascoltare il papa anche se dice cose sacrosante. Le contesto se non mi trovano d'accordo e le lascio beatamente passare se invece sono - sempre secondo me - affermazioni accettabili. Perchè accade questo? Non è forse questa reazione il sintomo di una comunicazione malata, al di là dei suoi contenuti? Io penso di sì. C'è un cortocircuito da qualche parte. Troppo parlare, a lungo andare, diventa una forma di mutismo. Penso che come un malato fa una pausa nella sua attività lavorativa, se ne sta per un pò buono nel letto per recuperare le forze, così dovrebbe fare ora la comunicazione. A parte il serio problema che ci pone Grillo, secondo il quale "non ci dicono le cose importanti", e si parla di certe notizie da quattro soldi per sviare l'attenzione da quelle importanti, ve ne è un altro che è dovuto all'indigestione di notizie, all'iper comunicazione alla quale i mezzi moderni ci hanno portato. Troppe parole, ci rendono appunto come dice San Paolo “bronzi che risuonano e cembali che tintinnano”. Quella pratica antica del digiuno, che la Chiesa propone in quaresima, andrebbe proposta nei riguardi dell'informazione che sovente ci violenta, ci arriva addosso senza lasciarci il tempo di riflettere, obbligandoci a "consumarla" velocemente per attenderne altra ancora. Certo è bello, come cattolici, avere una propria televisione, la radio, il giornale, il sito internet, ma rischiamo di annacquare la nostra "buona novella" in un fiume di notizie che alla lunga diventano tutte uguali ed indifferenti. Ecco perchè provo disagio quando il papa ribadisce il suo no all'aborto o il suo sì alla famiglia. Non per quello che dice, ma perchè nell'attuale contesto quelle parole non dicono più nulla. Il nostro annuncio è troppo "verbale" e conseguentemente troppo "papacentrico", perchè la parola ha bisogno di un portavoce. Non a caso confondiamo sempre più quello che dice la Chiesa con quello che dice il papa e siamo interessati a ciò che il papa dice, più che a quello che la Chiesa fa. Di quello che poi il papa dice, prendiamo come centrale ciò che i media riprendono, che spesso non è affatto centrale.

Karol Woitjla
Eloquente a mio parere è la parabola di Karol Woitjla. Un papa che ha proclamato Cristo in tutti i modi, che lo ha annunciato a anche in modo piuttosto diretto e crudo, con urgenza, con insistenza… e che si è ritrovato ad essere “un grande uomo”, “un grande papa”, così considerato da quelle stesse persone che non lo hanno mai ascoltato e non hanno mai fatto quello che lui diceva di fare. Karol Woitjla sta diventando un essere sovrumano, diverso, miracoloso, un santino svuotato del messaggio che portava, che non era la pace, come ci vogliono far intendere, o la fine del comunismo, o dei totalitarismi… ma Cristo: credere in Lui, punto e basta.
Anche per la sua intransigenza e durezza per quel che riguarda le dispense ai sacerdoti, il celibato, i rapporti prematrimoniali, il divorzio… ci siamo dimenticati tutto: delle sue parole non è rimasto nulla, a parte quelle tre frasi in croce che lo rendono appunto un santino, un protettore celeste.
Il suo fascino, il suo carisma, ha soffocato le sue parole, e questo per certi aspetti può essere considerato un bene, ma per altri no.
In positivo quest’uomo è la dimostrazione più evidente che i fatti contano più delle parole, e quello che ha fatto è rimasto più di quello che ha detto. In negativo però vi è un uomo che con tutte le sue forze ha proclamato un messaggio fino alla fine, fino a non aver più voce, e quel messaggio è stato beatamente scartato, messo da parte come qualcosa che non era centrale.

Quello dello spreco delle parole, dell'abbondanza di informazioni che non sanno più diventare riflessione, dell'invadenza delle notizie di cronaca, mi pare un male della nostra società. A volte rischiamo di inserirci in questa immensa "Domenica in" per aggiungere anche noi la nostra voce, che poi finisce nel calderone delle opinioni che passano e non restano. Forse, di fronte a tutto questo parlare, non sarebbe male un pò di silenzio per concentrarci più sulle cose da fare. Non credo che in questo modo si manchi di annunciare la buona novella. Prima di tutto perchè le azioni annunciano come e più delle parole, secondo perché, come ho appena detto per il papa polacco, non è vero che con i mezzi di comunicazione di oggi si comunica più di ieri, perché quando tra molte parole devi sceglierne alcune e lasciarne altre il vero comunicatore diventa colui che monta il servizio e non colui che appare nel servizio. Terzo, perchè una persona credibile non avrà bisogno di dire molte cose, o di conoscere un linguaggio sofisticato, o erudito, o moderno, per essere convincente. Sempre san Paolo diceva ai cristiani di Tessalonica: "Il nostro vangelo non si è diffuso tra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con potenza e con Spirito Santo e con profonda convinzione (...) la fama della vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, di modo che non abbiamo più bisogno di parlarne..." (1 Tess. 1,5.8).
Come certe squadre di calcio, nei momenti in cui le polemiche prevalgono sul gioco, decidono per un salutare "silenzio stampa", e talvolta a questa decisione seguono risultati brillanti (vedi mondiali 1982), così dovremmo fare noi Chiesa.
Fatti più che parole, e parole che abbiano un senso, là dove è necessario dirne.

Noi per primi dobbiamo riscoprire il senso delle nostre parole, quelle che usiamo in quanto cristiani e di cui troppo spesso non conosciamo il significato. Sarà utile chiederci a vicenda tra cristiani, "ma tu, cosa intendi dire quando dici - ad esempio - che Gesù ti ha salvato? Cosa significa che Gesù è morto per i nostri peccati? Cosa ti cambia che sia risorto o no? Che sia stato concepito da Maria senza l'intervento di un uomo o no?"
Cominciamo a chiedercelo, e cominciamo a toccare con mano quanto siano vuote le nostre dichiarazioni di fede. Poi cominciamo a selezionare quelle dove ce la caviamo meglio, se ce ne sono, e lavoriamo su quelle. Se davvero sono convinto che, ad esempio, "Gesù mi ama" è meglio che continui su quella strada, non rinnegando formule di fede che sento di meno, ma neppure sentendomi in obbligo di annunciare il catechismo intero allo stesso modo in ogni sua parte! Posso dire ad esempio, "la Chiesa dice che Gesù è risorto, ma non so bene cosa significhi, quello che so per esperienza personale invece è che ..." eccetera, eccetera.
Altra cosa da fare, nell'era in cui le parole non valgono più niente, sarebbe quella di cominciare a mettere in fila le nostre verità, o come dice più autorevolmente il Concilio Vaticano II, rendersi conto che "esiste un ordine o gerarchia nelle verità della dottrina cattolica" (Unitatis Redintegratio 11c). Certo le verità ultime non hanno gran presa sulla gente, però ciò non toglie che siano le questioni più importanti, quelle per cui la Chiesa è stata costituita dal suo fondatore. Una tentazione alla quale la nostra gerarchia cede è quella di adagiarsi su un Magistero ormai piuttosto prevedibile che si occupa di politica, di famiglia, di genetica, di 8 per 1000, in una parola di questioni "penultime", tralasciando la fatica di rendere appetibile, interessante, la questione sulle verità "ultime", relegata a documenti ineccepibili, curatamente collegati gli uni con gli altri, attenti a non contraddirsi a vicenda, attenti alla propria infallibilità. Cembali che tintinnano…

Mauro Borghesi
mauroborghesi@tele2.it