giovedì 24 gennaio 2008

GALILEO E LA CHIESA



Galileo e l’Inquisizione
Tutti noi oggi abbiamo in mente il caso Galileo come uno dei più evidenti sbagli della Chiesa Cattolica nei confronti della ricerca scientifica. Galileo, credente e devoto cattolico, viene obbligato a rinnegare i risultati delle sue osservazioni al telescopio, perché esse portano ad una immagine del cosmo differente da quella concepita dalle Scritture.
Eppure, contestualizzando meglio il fatto, le cose potrebbe essere viste anche sotto un’altra luce.
Innanzi tutto và ricordato che a essere precisi si sbagliarono entrambi. La Chiesa, tramite l’Inquisizione, si sbagliava a sostenere che la terra sta al centro del mondo ed il sole le gira attorno (sistema tolemaico), ma anche Galileo si sbagliava, seppur un po’ di meno, infatti sosteneva con la prova del suo telescopio che al centro del mondo ci stesse il sole e non la terra. Oggi in realtà sappiamo che né terra, né sole sono “al centro del mondo”, il quale si sta rivelando ai nostri strumenti moderni così vasto e sconfinato da far impallidire un pulviscolo come l’intero sistema solare. Inoltre sembra sempre più accreditata la teoria secondo la quale l’universo non ha un centro.
Siamo quindi di fronte sì, ad un errore della Chiesa, ma anche ad un limite della scienza, la quale con le sue strumentazioni si avvicina alla verità, ma deve fare molta attenzione a dire di averla raggiunta definitivamente.
Vi è poi un'altra considerazione da fare su quel famoso processo. Il cardinal Bellarmino in fondo non aveva tutti i torti. Mettiamoci un momento nei suoi panni: era così evidente il moto del sole e della luna da est ad ovest – anche questa in fondo è osservazione -, era così grande e stabile la terra, perché andare a mettere tutto in discussione? Tra l’altro anche le Scritture ci si mettevano di mezzo con brani in cui inequivocabilmente veniva detto che "la terra rimane sempre al suo posto" ed "il sole sorge e tramonta tornando al luogo dal quale si è levato". (Ecclesiaste 1, 4-5). Ecco le parole stesse del cardinale:
“Il Concilio proibisce esporre le Scritture contro il comune consenso de’ Santi Padri, e se vorrà leggere non dico solo li Santi Padri, ma li commentatori moderni sopra il Genesi, sopra li Salmi, sopra l’Ecclesiaste, sopra Giosuè, troverà che tutti convengono in esporre ad literam che il sole è nel cielo e gira intorno alla terra con somma velocità, e che la terra è lontanissima dal cielo e sta nel centro del mondo immobile. Consideri ora lei, con la sua prudenza se la Chiesa possa sopportare che si dia alle Scritture un senso contrario alli Santi Padri et a tutti li espositori greci e latini”
Tali resistenze erano dovute anche dalle implicazioni socio religiose che avrebbe arrecato una rivoluzione del cosmo. Scalzare infatti la terra dal centro dell’universo, eliminare cicli che guidano i pianeti come su rotaie, rendere il tutto più dinamico e nulla di fermo, voleva dire aprire le porte alla critica di una società a sua volta immobile e gerarchicamente organizzata da secoli.
Qualcuno potrebbe pensare che forse nel mondo protestante appena nato ci fosse maggiore libertà di giudizio, un po’ più di comprensione ed apertura verso le idee di Galileo: nient’affatto:
Calvino diceva, “Chi avrà l’ardire di anteporre l’autorità di Copernico a quella dello Spirito Santo?
E Lutero, “La gente ha prestato orecchio ad un astrologo da quattro soldi (Copernico), il quale ha cercato di dimostrare che è la terra che gira e non i cieli ed il firmamento, il sole e la luna (…) Questo insensato intende sconvolgere l’intera scienza astronomica; ma la Sacra Scrittura ci dice che Giosuè ordinò al sole, e non alla terra, di fermarsi”
Dico questo perché penso che forse io al posto loro non mi sarei lasciato convincere da Galileo al pari di loro, e quindi devo stare attento nei miei giudizi.

Dove voglio arrivare allora con questa riflessione?
Per secoli, dopo Galileo e dopo l’inevitabile sviluppo delle conoscenze scientifiche, la Chiesa si è trovata tra le mani una bella gatta da pelare. Non poteva rimangiarsi in quattro e quattr’otto la condanna alle idee di Galileo, ma neppure continuare a sostenere che il sole girasse attorno alla terra. Cosa ha fatto?
La cosa più sensata ovviamente sarebbe stata quella di fare un passo indietro. Dire: scusate, sono entrata in un campo che non mi compete. Ma questo è avvenuto con mille precauzioni solo recentemente, come spiegherò in fondo. La Chiesa fece l’errore di continuare a ritenersi depositaria di ogni forma di sapere, limitandosi solo ad aggiustare il tiro sulle proprie affermazioni cosmologiche tratte dalle Sacre Scritture. Cominciò cioè a dire che lei insegnava solennemente che la terra gira attorno al sole.
Come nel XIII secolo San Tommaso aveva “cristianizzato” il cosmo aristotelico, così ora andava cristianizzato il cosmo copernicano . Fu così che cominciarono a diffondersi tentativi teologici di dimostrare che la Sacra Scrittura fosse copernicana. Storicamente vediamo proprio in quegli anni un forte potenziamento della Compagnia di Gesù, fino a farla diventare la più grande organizzazione in Europa in materia di ricerca scientifica. Un investimento importante da parte della gerarchia cattolica, che fece di tutto per non rimanere indietro nella corsa delle scoperte scientifiche, dopo aver constatato suo malgrado che tale corsa era inevitabile.

In realtà nel suo atteggiamento non era cambiato nulla.
Si era recepito il contenuto della singola scoperta scientifica tralasciando la cosa più importante apportata da Galileo: il metodo scientifico. Quel metodo, detto in breve, che non parte da verità rivelate per descrivere la natura, ma dalla semplice osservazione.
Questo a mio parere fu un errore ben più grave dell’aver obbligato Galileo ad abiurare nel 1633, perché allora erano ancora in pochi a sostenere la veridicità del sistema copernicano, ma quando nei decenni e secoli successivi l’evidenza di tale sistema si impose a tutti, anziché interpretare in modo non letterale le Scritture, si cambiò solo il senso dell’interpretazione letterale, cercando in tutti i modi di tenere in mano le redini della scienza.
Ci sono voluti l'enciclica Divino Afflate Spiritu del 1943 e soprattutto il Concilio Vaticano II per arrivare ad ammettere la legittima autonomia della scienza, e la presenza dei generi letterari nella Bibbia, ma alla fine ci siamo arrivati. Voglio riportare almeno un breve passaggio, perché si tratta da parte cattolica di una cambiamento di prospettiva epocale:
Se per autonomia delle realtà terrene intendiamo che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una esigenza legittima. (…) ci sia concesso di deplorare certi atteggiamenti mentali, che talvolta non mancano nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza”. Gaudium et Spes, 36

Ora si tratta di fare entrare queste cose nelle teste, oltre che nei documenti.

Un secondo processo a Galileo
So che questa pagina sta diventando lunga, ma non posso parlare di Galileo senza fare almeno un accenno al processo di riabilitazione nei suoi confronti, voluto fortemente da Woytila all’inizio del suo pontificato e condotto a termine dalla Pontificia Accademia delle Scienze nel 1992.
Tale commissione, dopo ben 13 anni di lavoro (gulp!) riuscì sì a riabilitare Galileo, ma con un documento che lascia per lo meno un po’ di amaro in bocca.
Nella sua relazione finale il cardinal Poupard in sostanza dice che nel suo processo a Galileo la Chiesa arrivò a quelle conclusioni punitive e sbagliate per colpa dei tempi che non erano maturi ad una simile cambiamento, per colpa dello stesso Galileo che non portò al papa prove inequivocabili, e che comunque si trattò di colpe “soggettive”, non reputabili alla Chiesa come istituzione. Aggiunge infine che la sentenza di condanna non è parte del Magistero irreformabile (ma quando cavolo è irreformabile sto Magistero?!)
Queste “scuse” a me suonano un po’ meschine, ma comunque questa è la Chiesa e belle restano le parole conclusive del caso di Giovanni Paolo II, che ci danno anche in sintesi la posizione ufficiale della Chiesa di oggi nei confronti della scienza:
“Esistono due campi del sapere, quello che ha la sua fonte nella Rivelazione e quello che la ragione può scoprire con le sole sue forze. A quest'ultimo appartengono le scienze sperimentali e la filosofia. La distinzione tra i due campi del sapere non deve essere intesa come una opposizione. I due settori non sono del tutto estranei l'uno all'altro, ma hanno punti di incontro. Le metodologie proprie di ciascuno permettono di mettere in evidenza aspetti diversi della realtà.


Mauro Borghesi

Scarica se vuoi
• l’atto di abiura di Galileo http://web.tiscali.it/chiesalternativa/galilei1.htm
• i documenti vaticani inerenti alla riconciliazione con Galileo http://web.tiscali.it/chiesalternativa/galilei2.htm
• L’opera “Sidereus Nuncius” di Galilei in cui espone le sue tesi copernicane appoggiate dalla prova del telescopio. http://www.liberliber.it/biblioteca/g/galilei/sidereus_nuncius/html/nunzio.htm

lunedì 21 gennaio 2008

Scienza e Fede


Il sillogismo è semplice
1. c’è una sola verità sulle cose
2. fede e scienza cercano la verità
3. ovvio che prima o poi si dovrebbero incontrare

Perché non accade?
La prima cosa che mi vien da dire è che forse abbiamo troppa fretta e prima o poi si capiranno, ma ancora c’è tanta strada in mezzo. Sono due cose troppo distanti per incontrarsi con facilità, e forse è un bene che non si incontrino mai del tutto, perché in tal caso la fede smetterebbe di essere fede e sarebbe evidenza, e la scienza non avrebbe più nulla da cercare.

Un’altra considerazione a mente fredda la faccio rispolverando un po’ di storia. La scienza è nata come figlia ribelle di una religione che non riusciva a domarla. Con un simile fresco passato è difficile che si riconcili in tempi brevi. Ricordiamo il processo a Galileo, non tanto per assolutizzare un caso, ma perché le motivazioni che vengono portate contro il suo nuovo metodo scientifico, (lui non doveva permettersi di fare affermazioni contrarie a quelle bibliche e a quelle dei Santi Padri), sono emblematiche di un atteggiamento difficile da superare ancor oggi.
Scienza e fede potrebbero darci luci diverse su una medesima realtà, senza entrare in competizione e senza invadere l'una il campo dell'altra. Qualche tempo fa mi è capitato di ascoltare alla radio un esorcista che metteva in guardia dal rivolgersi a psichiatri non credenti, solo un'ora più tardi in televisione uno scienziato parlava delle religioni come di realtà che inevitabilmente prima o poi portano gli uomini alla guerra. Finché scienza e fede continuano questo braccio di ferro e si offendono reciprocamente, perdono di vista la propria singolare missione, e non ci aiutano a crescere, né laicamente, né religiosamente.
La scienza risente ancora molto di uno spirito “scettico”, antireligioso, positivistico, che si porta dietro dalla sua nascita ; la fede, quella cattolica nel nostro caso, che per secoli ha svolto una funzione da “tuttologa” del sapere, è a sua volta ancora troppo timorosa delle ingerenze della scienza, dei suoi studi, dei suoi approfondimenti storici, fisici, archeologici, che fuori dal suo controllo chissà dove potrebbero portare.

nota: Mi è capitato di recente di sfogliare testi quali “Il vangelo segreto di Tommaso” di Elaine Pagels, Mondadori e “Il vangelo perduto”, di Herbert Krosney, ed. National Geographic. Due testi che sotto le spoglie di un approccio scientifico sembrano attaccare la Tradizione ecclesiastica semplicemente perché è ecclesiastica. Difendono l'importanza di vangeli ritrovati nell'ultimo secolo in Egitto, quello di Tommaso e quello di Giuda, solo per il fatto di essere stati scartati dalla Chiesa del II secolo. Non si chiedono perché la Chiesa li abbia scartati, perché i vangeli gnostici erano visti come un pericolo: no, a loro basta dire che la chiesa è sempre la solita prepotente che nasconde la vera verità, per mostrarne una tutta sua, alternativa e fasulla (vedi anche la vicenda del Codice Da Vinci).

Penso che quando si parla di “dialogo” tra scienza e fede sia necessario mettere in chiaro alcuni presupposti, senza i quali si ritorna inevitabilmente allo scontro.
Il primo presupposto è che scienza e fede non partono alla pari. La fede deve tener conto dei risultati della scienza (si pensi appunto a Galileo), ma non è vero il movimento opposto. Una ricerca scientifica seria non deve tener in alcun conto le verità delle religioni. Deve rispettare le religioni, deve evitare di denigrarle e di porsi in antagonismo con esse, ma deve farne in alcun modo un riferimento per il proprio agire. Deve fare riferimento ad una etica professionale laica e condivisa, questo sì, ma non ad una religione.
Prendiamo ad esempio il tema dell’evoluzionismo. La scienza procede giustamente per la sua strada senza occuparsi di ciò che sta scritto nella Bibbia, e così deve essere anche per lo scienziato cattolico. E’ la Chiesa che deve re interpretare le proprie fonti in modo conciliante con le scoperte scientifiche. Nel caso dell’evoluzione dell’uomo questo vorrà dire prendere le distanze da una interpretazione letterale del racconto della Creazione, per vederne più un messaggio teologico che storico. Potrà anche permettersi di attendere e far passare parecchio tempo prima di esprimersi, perché le “verità” portate alla luce dalla scienza non sono mai definitive, ma sempre presunte, come insegna Popper.
Prendiamo però anche un altro esempio. A volte è la stessa Chiesa che provoca la scienza parlando di “miracolo”: basti pensare a Lourdes, Fatima, o Padre Pio. In questi casi è importante a mio parere non impantanarsi nello scontro “è vero – non è vero”, ma semplicemente limitarsi a dire se la scienza con i suoi strumenti di oggi riesce a spiegare quel fatto o no. Il che non dice nulla in riferimento al fatto che sia vero o no, ma solo che da un punto di vista sperimentale ci sia una spiegazione razionale o no… per ora. Se è chiaro questo allora lo scontro non avviene, ma si apre la strada per la collaborazione.
La chiesa, dal canto suo, non ha alcun reale vantaggio nel perseguire la politica del miracolo, perchè i miracoli sono evidenze e quindi il contrario della fede. "Chi ritiene di poter parlare di miracoli come di avvenimenti contestabili (ndr = evidenti), contraddice l'idea di un Dio che opera nascostamente. Sottopone l'azione di Dio ad una visione oggettivante facendo la fede nel miracolo - in verità la superstizione del miracolo - preda di una critica scientifica che sarebbe allora pienamente giustificata" Bultmann, Nuovo Testamento e Mitologia, Queriniana, 2005.
C’è un fatto che mi consola: i grandi credenti ed i grandi scienziati non hanno mai aggredito l’altra parte. Gli attacchi principali vengono sempre o da predicatori fondamentalisti o da scienziati atei che amano più la rissa in televisione che il proprio umile e prezioso lavoro.

Resta comunque il fatto che mentre si discute e si filosofeggia sul rapporto tra fede e religione, qualcuno procede indisturbato sulla strada della clonazione, della fecondazione tra uomo e animale, delle cellule staminali prelevate da embrioni umani appositamente fecondati e conservati in frigo…
Sì, discutiamo pure. Ma la ricerca però non può andare avanti senza regole, guidata unicamente dalle richieste di mercato. Su questo credo che i richiami della Chiesa Cattolica abbiano un senso. Se anche non si vogliono accettare i valori cristiani, si stabiliscano comunque dei valori, un comportamento morale valido per tutti (su questo dovremmo costruire l’Europa, non sull’euro…) come si è fatto ad esempio per il principio della democrazia. Anche la democrazia ha faticato ad imporsi nell’Occidente, mi pare fosse condannata anche nel Sillabo a metà ‘800, però ce l’ha fatta, ed oggi, dopo l’esperienza della seconda guerra mondiale nessuno intende metterla in discussione.
Se questo processo è riuscito per le regole del vivere civile, forse potrà accadere anche per le regole sulla vita che nasce e che muore.
Per quanto risulti “bacchettone” questo intervento, mi rendo conto che non si può prescindere da una morale che regoli anche quello che si può fare con la scienza e la tecnologia.
La scienza in sé è aperta a mille strade del sapere e inevitabilmente qualcuno la deve indirizzare, le deve dire: ricerca in quella direzione e non perdere tempo in quelle altre. Questa è già una scelta etica, anche se non si vuole parlare di etica. Infatti per quale motivo si ricerca in una direzione piuttosto che un’altra? Perché qualcuno ha fatto quella scelta e se anziché uno Stato democratico è una multinazionale che fa capo ad un privato, allora possiamo legittimamente temere, che il suo scopo sia principalmente di profitto economico.
Perché, ad esempio, negli ultimi anni si è sviluppata così tanto la tecnologia dei telefoni cellulari, e così poco quella delle automobili con un propellente alternativo al petrolio? Forse proprio perché non si è voluta fare una scelta etica, e così facendo la scelta l’ha fatta chi ha soldi da investire nei propri affari. La scienza, ci permette di comunicare con facilità a qualunque distanza, ma non si preoccupa dei tralicci di alta tensione che servono per far funzionare il tutto, non si occupa delle onde elettromagnetiche che ognuno incassa tenendo l'apparecchio incollato all'orecchio. La scienza oggi costruisce lo scudo stellare, e non inventa un vaccino per combattere una cosa banale e diffusa come la carie dei denti. Inventa le bombe intelligenti e non sa sfamare i continenti che non hanno da mangiare a sufficienza. Và ad atterrare con le sonde sulle comete per capire come può essere iniziata la vita sulla terra, e produce automobili, fabbriche e sistemi di riscaldamento che distruggono la terra.
Dall’altra parte questo discorso non significa lasciar entrare le religioni nel Parlamento, né pensare da parte della Chiesa, di aver capito tutto, sapere tutto, e non aver più nulla da imparare fuori dalla Scrittura e dal Magistero.
“Compito dell’etica teologica non è solo quello di mantenere precetti divinamente rivelati ma anche quello di indicare come meglio l’uomo può realizzare concretamente il progetto divino per lui, per l’umanità e per il cosmo. (…) Adeguare la valutazione dei comportamenti umani, e la conseguente normativa, all’approfondirsi delle conoscenze scientifiche non è né relativismo, né soggettivismo etico (come molti nella Chiesa temono): è invece l’unico oggettivismo disponibile all’uomo. (…) Chi si acquieta e si appiattisce su quel poco di verità che già crede di conoscere è perduto, come uomo e come cristiano: la verità unica e suprema, non lo interessa”. (E. Chiavacci, libro citato in fondo)
Un ultimo pensiero.
A ben pensarci “scienza” e “fede”… non esistono. Sono concetti che abbiamo inventato noi, ma senza di noi non hanno senso. Ciò che esiste è l’uomo che pensa e l’uomo che crede. Ma scienza e fede, in sé stesse non hanno consistenza. E’ solo così, pensando all’uomo che pensa (filosofia, scienza), che fa (tecnica), e che crede (religione) che si può immaginare un possibile incontro. La scienza infatti, non potrà mai credere, e la fede non potrà mai avere dimostrazioni razionali di sé stessa. Quello che si potrà avere è un uomo che pensa e che crede. Questo è possibile. Questo è il mistero di noi stessi che troviamo un grande motivo di esistenza nel non bastare mai a noi stessi.


• Consiglio di leggere una bella riflessione all’indirizzo http://www.dm.unipi.it/~granieri/scienza-fede.html e anche http://web.tiscali.it/chiesalternativa/viero.htm
• Consiglio anche la lettura di “Lezioni brevi di bioetica” di Enrico Chiavacci, Cittadella 2003. € 9,00, pagine 120.
• Vorrei segnalare anche il sito http://www.disf.org molto equilibrato e ben fatto

martedì 15 gennaio 2008

Le spiegazioni del celibato

L’11 marzo 2006 l’Agenzia Fides, l’Agenzia Vaticana della “Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli” ha pubblicato un dossier intitolato “La Chiesa cattolica e l’importanza del celibato”, un testo che ribadisce, con una triste operazione di copia-incolla, quello che è già stato detto abbondantemente sul celibato dei sacerdoti dal Concilio Vaticano II ad oggi.
Non sono un appassionato del tema del celibato e non lo ritengo centrale né prioritario per una riforma della Chiesa. Direi anzi che mi deprime la lotta a forza di insulti tra coloro che sono favorevoli al celibato obbligatorio e quelli che lottano per il celibato opzionale, ma visto che l’autorità magisteriale insiste su tale argomento mi sono messo a riguardare alcuni documenti. Leggendo mi sono accorto che, parlando di celibato, il Magistero parla indirettamente anche di matrimonio, donna, sesso, e allora il mio interesse si è riattivato, anche perché questi argomenti correlati escono da quei documenti un po’ malconci.
E’ sufficiente fermarsi un attimo sul linguaggio usato. Alcune espressioni, infatti, non possono lasciare indifferenti e inevitabilmente suscitano domande su quanto esse dicono senza dirlo esplicitamente.

Scelta di convenienza
Il “dossier fides” torna sul tema del celibato perché lo ritiene “un argomento cruciale”, visto il lassismo morale in cui viviamo oggi. Infatti ogni volta che si propone di discutere su una legge della Chiesa la risposta è sempre quella: la domanda è maliziosamente suggerita dai tempi moderni, da questo mondo corrotto, dallo spirito del male che tenta di indebolire la Chiesa nei suoi capisaldi. Il sacerdote – dice il documento – non è un funzionario, ma un alter Christus e quindi deve somigliare a Gesù in tutto a partire dalla scelta di verginità. Peccato che poi il Sinodo dei Vescovi del 1971 e Paolo VI nella Sacerdotalis Coelibatus abbiano parlato di celibato come di una scelta di “convenienza”. Convenienza secondo me significa che si potrebbe fare anche diversamente, ma si sceglie continuare così perché lo si ritiene appunto, al momento, più opportuno.
Mi pare interessante questo passaggio. Il celibato è sempre stato ribadito come obbligatorio anche nel passaggio del Concilio e da lì in avanti, ma con papa Woitjla ed ora con il suo successore vi è stata una ulteriore stretta di vite. Mentre prima il celibato era “conveniente”, cioè spiegato come funzionale alla missione del prete, ora viene sempre più spesso motivato come scelta dalle implicazioni teologiche, scelta conseguente ai fondamenti biblici e dottrinali: come dire è così e sarà sempre così perché Dio lo vuole (Pastore dabo vobis, 29).

Cuore indiviso
Tornando al dossier noto una certa insistenza sul fatto che il prete celibe ha più tempo, è libero da impegni coniugali e può dedicarsi quindi meglio alla propria missione: argomento che di fatto conferma la tesi della convenienza. Ma ecco che emerge una parola che pare molto cara: il prete celibe segue Gesù e serve la Chiesa “con cuore indiviso”, o anche “con amore indiviso”.
Qui mi sono fermato. Questo termine non era presente nei documenti post conciliari, ma si è diffuso come una formula magica con Woitjla e le sue congregazioni. Lo si trova nella esortazione apostolica Pastore dabo vobis, pubblicata nel 1992, sempre al n° 29; nel discorso dell’udienza generale del 14 luglio 1993; nonché nel “Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri” della Congregazione per il Clero nel 1994.
Sia chiaro: nulla da eccepire verso quei tanti preti che vivono serenamente il proprio celibato e anzi usano questa scelta più per stare con la gente che per starsene in pace, ma indubbiamente il cuore “indiviso” del celibe si contrappone come scelta linguistica a quello “diviso” del coniugato. Questo non significa forse considerare ancora la donna rivale di Dio? Non significa metterla sullo stesso piano? Sarebbe davvero interessante a questo proposito ascoltare un po’ di donne che per essere state innamorate o sposate con un sacerdote hanno vissuto sensi di colpa enormi VERSO DIO, arrivando, in alcuni casi, per sopravvivere, a lasciare l’amato o a non credere più in quel Dio.
Ma ancora: un marito, una moglie, con il loro cuore impegnato nella loro storia familiare, hanno meno possibilità di amare Dio e di testimoniarlo rispetto ad un celibe? E se l’amore per una donna “toglie” qualcosa a Dio, non stiamo forse dicendo che è una cosa sporca e sbagliata? Se il richiamo al cuore indiviso del sacerdote celibe dice tutto questo, io credo che vada ripensato.
All’orizzonte di un tale concetto del rapporto eterosessuale vi è l’idea che la sessualità sia come un vortice che prende per sé le migliori energie, un qualcosa che domina la coppia, quanto più si accondiscende all’appetito sessuale. Chiunque vive un rapporto di coppia sereno potrebbe invece testimoniare che le cose non stanno così e tranquillizzare i vescovi sul presunto dominio del sesso, che di solito, al contrario, alimenta pensieri impuri e consuma preziose energie proprio nella misura in cui non lo si esercita e si cerca di dominarlo con forzati volontarismi.

Castità e Verginità
A partire dal dossier fides, andando a ritroso nei documenti che hanno trattato questo argomento, noto una confusione, non so quanto voluta, tra il termine castità e il termine verginità.
Vocabolario alla mano, castità significa “puro, che si astiene da piaceri carnali illeciti” (Vocabolario della lingua italiana - European Book Milano). Non quindi dai piaceri carnali in assoluto, ma da quelli illeciti.
Ma si sa i vocabolari non passano il vaglio della Congregazione della Fede, vediamo allora cosa dice il Nuovo Dizionario di Teologia Biblica delle Paoline alla voce “verginità”: “Preferiamo parlare di verginità … l’uso di castità (anche se “perfetta”) deprimerebbe lo stato matrimoniale e dimenticherebbe che anche quest’ultimo è tenuto alla legge di castità”.
Dunque anche gli studiosi cattolici hanno chiaro che la scelta di consacrazione che comporta la rinuncia delle proprie facoltà sessuali si chiama “verginità”, l’uso cristiano della sessualità invece si chiama “castità”. Si può infatti essere vergini, ma non casti nel cuore, nello sguardo, nei doppi sensi… Oppure si può al contrario essere casti, ma non vergini, come nel caso di chi vive in modo appagante il proprio rapporto sessuale e proprio per questo non ne cerca altri.
I documenti che trattano il celibato sacerdotale invece parlano di “castità perfetta”, “castità celibe”. Ma cosa implica “castità perfetta” usato come sinonimo di celibato? Non significa forse che esiste una castità “non perfetta” tipica dei fedeli sposati? Una castità che è non perfetta non perché vive la sessualità in un modo scorretto, ma semplicemente perché esercita la sessualità! Questo linguaggio implica che meno si fa l’amore e più la castità è perfetta, meno si fa l’amore e più si è assimilati a Cristo. Con tutti i discorsi sul valore della famiglia, con la riabilitazione dell’eros che ha tentato l’Enciclica "Deus caritas est" di Benedetto XVI, credo che vi sua una grossa incongruenza logica.

Vocazione e Legge
Un’altra considerazione che desumo direttamente dalla lettura dei documenti già citati deriva dal fatto che il Magistero parla in modo distinto di “vocazione al sacerdozio” e “legge del celibato”. Cioè, giustamente, dice che tanti possono ricevere una chiamata al sacerdozio, sia celibi che sposati, ma la Chiesa tra tutti questi sceglie di ordinare, per motivi suoi, solo quelli che hanno anche la chiamata al celibato.
Il “Direttorio…” del 1994 dice “La Chiesa ha ribadito … la ferma volontà di mantenere la legge che esige il celibato liberamente scelto e perpetuo per i candidati all’ordinazione sacerdotale nel rito latino”.Ma ancor più chiaramente la Sacerdotalis caelibatus così si esprime: “Il carisma della vocazione sacerdotale … è distinto dal carisma che induce alla scelta del celibato”.
A questo punto mi sorge spontanea una domanda. Come può Dio fare una chiamata e la Chiesa decidere di non ascoltarla addirittura stilando una apposita legge? Come si può ammettere che Dio chiama al sacerdozio anche persone che vogliono sposarsi o sono sposate, e allo stesso tempo decidere con un decreto che tra tutti quelli che Dio chiama si accettano solo coloro che hanno anche la chiamata al celibato? A me sembra un piccolo abuso della facoltà data ai discepoli di “legare e di sciogliere”. Non credo sia lecito neppure alla Chiesa arrivare a vagliare perfino tra le scelte di Dio.

Configurati a Cristo Capo
Ovviamente la Chiesa dà motivazioni fondate per spiegare la sua scelta a favore del celibato obbligatorio. Motivazioni pastorali e di convenienza, certo, ma anche bibliche e teologiche. Prima tra tutte spicca ovviamente quella che Gesù stesso era celibe. Tra le principali motivazioni teologiche però viene ripetutamente sottolineato il fatto che siccome il sacerdozio configura una persona a Cristo capo della Chiesa, a Cristo che sposa la Chiesa, il celibato sarebbe il segno visibile di tale legame “intimo” (anche questo è un termine che và alla grande nel recente Magistero), perché mostra che il sacerdote sposa la Chiesa, come fa Cristo, e come Cristo mostra questo legame non sposando nessun altra.
E’ sempre la Pastore dabo vobis che insiste. Il legame tra ordinazione e celibato “configura il sacerdote a Cristo Capo e Sposo della Chiesa. La Chiesa come Sposa di Gesù Cristo, vuole essere amata dal sacerdote nel modo totale ed esclusivo con cui Gesù Cristo Capo e Sposo l’ha amata”.
Penso che anche questo ragionamento non sia proprio così scorrevole e logico come sembra al papa polacco.
Innanzi tutto la Chiesa non dovrebbe mai dimenticare che essa è certamente stata amata e fondata da Gesù, ma non in prima istanza per essere ancora amata dai suoi ministri. Egli li chiamò a sé per mandarli ad annunciare il vangelo e perché stessero con Lui. La configurazione a Cristo, casomai, consiste nell’amare come Cristo, non nell’essere amati come ci ha amato Cristo.
Si insite poi nell’usare l’analogia del matrimonio per esprimere il legame tra Cristo e la Chiesa. Ma forse sarebbe tempo di trovarne una migliore visto che oggi come oggi è diventato impensabile dire che lo sposo è il capo della sposa, anche se così si esprimeva san Paolo. Dire che il sacerdote è il “capo” della sua sposa, la Chiesa, è offensivo per le spose, che solitamente cercano un marito e non un capo, ma è offensivo anche per la Chiesa che nel Concilio Vaticano II ha parlato di sacerdozio comune di tutti i fedeli (Lumen Gentium 10). Un conto è dire che Cristo è capo e posso pure capire che nel ministero del sacerdote vi sia una certa missione ad essere “capo” nella comunità, ma da qui a paragonare tale rapporto a quello matrimoniale tra un uomo e una donna, dove l’uno è capo dell’altra mi pare ce ne passi. Questa terminologia oltretutto è mantenuta nel rito del matrimonio dove viene esplicitamente paragonato il nascente rapporto tra gli sposi con quello che c’è tra Cristo e la Chiesa.
E’ chiaro che
1. se la Chiesa è la sposa di Cristo
2. Il sacerdote è Cristo
3. ovvio che il sacerdote è sposato con la Chiesa.
Ma forse, dico io, stiamo usando immagini che necessitano di una rispolveratina, oggi non credo sia più incisivo, nè utile,
1. parlare del sacerdote come di un altro Cristo, anche se certamente egli ha un ruolo determinante come mediatore dei misteri della salvezza e ministro dei sacramenti,
2. parlare della Chiesa come “sposa” del sacerdote. La Chiesa è sposa di Cristo, ammesso e non concesso che l’analogia con il matrimonio sia la migliore, ma non sposa del sacerdote, il quale è esso stesso parte della Chiesa, e non sta come Cristo “di fronte” alla Chiesa.
3. parlare dello sposo come capo della moglie.

Conclusioni
Non era mia intenzione denigrare il celibato in sé, e spero sia emerso che personalmente rispetto ogni vocazione liberamente scelta. Anzi sono ben d’accordo con il Magistero quando sostiene che il celibato, come il matrimonio, è un dono di Dio e và custodito con cura. Molti sacerdoti amanti del proprio celibato mi sono stati d’esempio e di aiuto. Non è questo il problema, mia intenzione era discutere sul legame obbligatorio tra il celibato e il sacerdozio ordinato.
Abbiamo visto quanto certi termini siano ambivalenti e forieri di un giudizio piuttosto severo nei confronti della sessualità e della donna. Penso quindi, che prima di decidere sul celibato dei preti la Chiesa debba fare chiarezza sul concetto di sessualità. Finchè non vi sarà un approccio sereno a tale argomento assisteremo ad una dicotomia piuttosto imbarazzante tra un Magistero che detta regole, da una parte, ed una Chiesa che regolarmente non le ascolta, dall’altra… preti compresi. Prima si deve cambiare filosofia di fondo, e poi spontaneamente vedremo una minor rigidità su rapporti prematrimoniali, omosessuali, masturbazione, comunione ai divorziati risposati e anche celibato obbligatorio.
Sarebbe tempo di chiarire che la vocazione al matrimonio non ha niente di meno rispetto a quella al celibato. Anzi oggi è diventata una vera sfida controcorrente. Amare una donna, un uomo, un figlio, è oneroso e degno e difficile tanto quanto consacrarsi ad una intera parrocchia. Anche perché se non ci sono tanti padri e madri che con la loro piccola Chiesa domestica testimoniano l’amore di Cristo, sarà ben difficile poi radunare gruppi parrocchiali e amministrare sacramenti.

martedì 1 gennaio 2008

Il bisogno di “toccare”

Uno dei messaggi più insistenti, proveniente dalle autorità della Chiesa cattolica contemporanea è quello di non accettare compromessi, non svendere la propria fede, né i valori che da essa nascono. Stiamo assistendo da alcuni decenni al tentativo pianificato e voluto di restaurare una cultura cristiana, un annuncio “puro”, che non scenda a compromessi con niente e che allo stesso tempo entri nella società ancor prima che nelle singole coscienze.
Gli interventi papali contro il “relativismo” si sprecano, come pure i richiami alle origini cristiane della nostra società occidentale, e la richiesta di una piena conformità alle indicazioni dei pastori.
Per il Vaticano stiamo assistendo ad un vero e proprio assalto del mondo laico nei confronti di quello cattolico, e sui nostri valori bisogna tenere duro. Non altrettanto forte è la reazione a ciò che invece sta succedendo all’interno, dove a patto che i fedeli professino con le labbra certe “verità”, e non facciano pubblicamente certe “cose”, tutto è concesso. Ad esempio - questo è il tema di questo capitolo - per quel che riguarda il variegato mondo delle devozioni.
Voglio provare ad interpretare l’atteggiamento discutibile di una Chiesa che è oggi molto esigente da un punto di vista morale e culturale, salvo poi risultare piuttosto benevola verso manifestazioni di puro paganesimo che sorgono fra le sue mura, culto dei morti, adorazione di ciò che non è divino, e via dicendo.
Voglio farlo partendo da lontano proprio perché, a mio parere, da sempre, in ogni religione, è presente la tendenza pericolosa a “cosificare” il proprio rapporto con Dio.

Antico Testamento
Israele nasce come un gruppo nomade nell’area mediorientale, che al seguito di Abramo si differenzia religiosamente da altri gruppi che credevano in tanti dèi .
Il passaggio dalla preistoria alla storia è pieno di testimonianze religiose, come tentativi degli uomini di dare risposte a fatti misteriosi, ma anche come bisogno di invocare il favore celeste per i raccolti, per il sole, la pioggia, la nascita, la vittoria sui nemici. Il bisogno di dialogare, o meglio assecondare, portare dalla propria parte, l’al di là, porta a raffigurarsela in vari modi: statuette, totem, immagini, pietre sacre… a cui manifestare concretamente le proprie angosce, domande, offerte, sacrifici.
Abramo, dicevo, rappresenta una svolta nella storia delle religioni. Ad un certo punto un gruppo di persone vissute approssimativamente 1800, 2000 anni prima di Gesù, rifiuta questo modo di rapportarsi con il divino, e ne inventa uno nuovo. Non più tante divinità che si comprano al mercato e che variano da popolo a popolo, ma un Dio unico, invisibile, creatore di tutto ciò che possiamo toccare, o ingenuamente adorare. Invisibile ma fedele, capace di fare promesse e di mantenerle nel trascorrere dei secoli.
Su questa base nascono insieme il monoteismo ed il popolo di Israele. Diversi secoli dopo, in quello stesso popolo, Mosè vedrà sorgere divinità pagane anche nel viaggio nel deserto, dall’Egitto alla terra promessa. La durezza di quella prova e la momentanea assenza della sua guida, porterà il popolo a chiedere ad Aronne di costruirsi un vitello d’oro : “Facci un dio che cammini alla nostra guida…” . Ma anche prima della tentazione di costruirsi un dio, significativa è la richiesta del popolo di non parlare direttamente con Dio, ma solo con Mosè, al quale è richiesto di fare da intermediario .
La tentazione di tornare a costruirsi un dio visibile, - uomo o statua - vicino, tangibile, è quindi forte anche all’interno di Israele, e periodicamente torna fuori anche nel popolo che più di ogni altro ha tentato di contrastare l’idolatria . I profeti interpreteranno le sconfitte, le malattie, la deportazione di Israele come la conseguenza dell’aver abbandonato il proprio Dio, per inchinarsi a idoli stranieri .

Nuovo Testamento
Israele dunque nasce per differenziarsi religiosamente dalle divinità di terracotta, ma poi deve combattere quegli stessi idoli pagani anche al suo interno. Un destino che, come vedremo, non si discosta molto da quanto sta capitando alla Chiesa cattolica.
Israele, al tempo di Gesù, pur non ammettendo altri dèi accanto al suo, stava commettendo un errore altrettanto fatale: stava elevando al rango di Dio la stessa Legge. Scribi e farisei la prendevano alla lettera, non nel suo spirito di fondo, e la imponevano come un macigno in tutte quelle prescrizioni e purificazioni rituali che il testo sacro riportava da epoche passate. La Legge divina in questo modo, anziché ricordare le opere che Dio aveva fatto per il suo popolo, lo allontanava da Lui, come dimostra la forte critica di Gesù ai farisei , che sono sicuri della benedizione divina per il fatto di aver eseguito alla perfezione una interminabile serie di abluzioni e rituali .
Il Cristianesimo nasce come rifiuto della confusione tra Dio e Legge e come risposta teologica definitiva a questo bisogno di “toccare” la divinità: Dio attraverso Gesù si fa uomo, si fa “prossimo”, ci lascia la sua Parola, ci lascia la speranza di farci figli come lui, ci lascia i sacramenti, che sono il modo più eloquente per celebrare l’incontro tra l’uomo e Dio. Vista la continua difficoltà dell’uomo nel suo rapporto con Dio, Dio stesso si mostra nel suo figlio: “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato” (Giovanni 1,18). Questo Figlio di Dio è un atto definitivo di Dio per l’umanità: è il suo farsi toccare una volta per tutte.
Emblematico a questo proposito è l’episodio che capita a Tommaso dopo la resurrezione. Egli non crede agli altri discepoli che hanno visto il Signore risorto, perché vuole toccare con mano Gesù. “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi, e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò” . Allora dopo otto giorni riappare Gesù e và proprio da Tommaso e gli dice: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato, e non essere più incredulo, ma credente! Rispose Tommaso: Mio Signore, e mio Dio! Gesù gli disse: Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno
Un passaggio di qualità che non riguarda solo Tommaso, ma la nuova fede cristiana. L’uomo viene chiamato a non cercare più nulla da toccare per credere, dopo Gesù, perché Lui è quanto di più importante Dio poteva farci toccare.

Chiesa primitiva
Il cristianesimo dovette ben presto affrontare il problema di come e quanto inculturarsi al di fuori di Israele. Diventando una realtà sempre più grande, cercò di cristianizzare tradizione e culti pagani, ma allo stesso tempo non rimase immune dal processo opposto, dalla tendenza cioè delle altre culture, specialmente quelle greca e romana, di “grecizzare” o “romanizzare” il cristianesimo . E’ insomma il tentativo di addomesticare un qualcosa che con la violenza delle persecuzioni non si era riusciti a reprimere.
Uno dei tentativi più tenaci fu quello poi definito come “arianesimo”. Una interpretazione dogmatica che nasce all’interno del cristianesimo da un semplice sacerdote, Ario appunto, che si rifiuta di accettare l’idea della Trinità, dove Padre e Figlio sono sullo stesso piano . Su una questione come questa, apparentemente “cervellotica”, si scatenò una rivoluzione interna di proporzioni enormi. Una parte considerevole di cristiani, più attratti dall’interpretazione di Ario, intesero Cristo come un uomo speciale, meraviglioso, al di sopra degli altri, ma pur sempre un uomo. Una specie di demiurgo che sta a metà strada tra Dio e gli uomini. Atanasio, invece, con la Chiesa di Roma sosteneva che dalle Scritture non si poteva arrivare a queste conclusioni. Il Figlio, pur essendo vero uomo, è generato dal Padre, ma è eterno come il Padre.
E’, quello di Ario, un modo di pensare molto greco, molto platonico se vogliamo, dove il mondo di lassù non può avere nulla a che fare con il mondo di quaggiù, e dove il bisogno di dialogare con l’al di là richiede la presenza di figure intermedie, semi divine, accessibili agli uomini (ruolo che lui attribuiva a Gesù). Questo esempio storico mostra come anche all’interno della Chiesa ci fosse già nei primi secoli un grande bisogno di condurre la nuova fede ai bisogni della maggior parte delle persone.
Ci volle un Concilio, quello di Nicea nel 325, nonché l’intervento di diversi Imperatori romani preoccupati per l’unità religiosa del loro immenso regno , per dire una parola definitiva su questa questione, e ciò nonostante l’arianesimo continuò a sopravvivere per parecchi secoli autonomamente, soprattutto nelle popolazioni barbariche.

Medioevo
I primi sei concili decretarono tutto quello che si poteva dire sui concetti fondamentali del Cristianesimo: sulla Trinità, su Gesù, su Maria, sullo Spirito Santo. Fu un lavoro immenso e lungo diversi secoli per andare a precisare una volta per tutte, con gli strumenti ed il linguaggio offerti dalla filosofia greca, che cosa significava sul piano dottrinale essere cristiani.
Una volta chiusa la porta a eventuali svendite del Cristianesimo per quel che riguarda le sue fondamenta, si passò a minacciare il nucleo della fede cristiana passando da un’altra porta, quella devozionale.
Tutto quanto lo sviluppo del cristianesimo greco in culto delle immagini, in superstizione e in un politeismo più o meno celato si può interpretare anche come una vittoria di quella religione di second’ordine, da sempre presente nella Chiesa (religione apocrifa), sulla religione spirituale. (…) L’antico paganesimo fu conservato come culto dei santi, delle immagini, delle reliquie, degli amuleti, e come successione di feste. (…) La religione, la cui forza è stata l’avversione per gli idoli è infine diventata preda di questi ultimi. (…) Essi (i santi) presero sempre più il posto degli dèi detronizzati ponendosi tra le fila delle potenze angeliche.
Questo passaggio avvenne lentamente, fu contrastato dalla Chiesa con alcuni decreti conciliari, ma un po’ alla volta fece breccia, fino a diventare una prassi riconosciuta e ben vista sotto il papato di Gregorio Magno (590-604).
Gregorio ha legato insieme le idee, fino a quel momento incerte, sulle intercessioni dei santi e sui servizi degli angeli, e le ha elevate all’altezza della teologia. Egli ha legittimato la superstizione pagana, che necessitava di semidèi e di schiere di dèi, e si rifugiava nei corpi sacri dei martiri, stabilendo un legame tra i meriti di Cristo, classificando e raccomandando gli arcangeli, gli angeli e gli angeli protettori
La stessa cosa avvenne per il culto delle immagini, prima contrastata con tutti i mezzi e poi consacrata al secondo Concilio di Nicea, nel 787
I secoli seguenti videro una grande esplosione di caccia alle reliquie legata al fenomeno delle Crociate. Non voglio dilungarmi oltre su questi secoli, ma solo far notare che anch’essi non sono stati risparmiati dal “bisogno di toccare” che attraversa, e a mio parere contraddice, tutta l’era della cristianità.

Riforma e Controriforma
Il massimo dello scandalo si raggiunse nel 1500. Epoca cruciale per la Chiesa in crescente difficoltà a fronte di un mondo sempre più vasto ed indipendente dai suoi dettami.
Da poco infatti era diventato possibile scrivere libri su carta stampata, era stata scoperta l’America, solo per fare alcuni esempi. Il mondo aveva imboccato una strada “autonoma”, un pensiero laico, voglia di conoscere, esplorare. Sempre di quei tempi fu anche la scoperta che la terra non è fissa e non è al centro dell’universo. Galileo, a sue spese, parlerà di un metodo “scientifico” che nulla ha a che fare con la conoscenza del mondo che proviene dalle Sacre Scritture.
La Chiesa, poco attenta ai segni dei tempi, restava concentrata su sé stessa e per non retrocedere in popolarità non trovò di meglio che dare libero sfogo alla pratica della “vendita” della salvezza, acquistata dai peccatori non più con la conversione, ma con denaro e preghiere. Così si cominciò a commerciare sulle indulgenze e sulla durata del purgatorio .
Lutero segnò il grido di ribellione di una Chiesa che non poteva continuare oltre nella svendita di sacramenti, indulgenze, giubilei e benedizioni, per finanziare lo sfarzo dei suoi principi e la costruzione dei suoi giganteschi templi rinascimentali.
Un protestante quale Karl Barth ancora nel nostro secolo riecheggia lo stesso richiamo quando dice “La invisibilità di Dio ci sembra più insopportabile della visibilità, pur così discutibile, di quello che ci piace chiamare dio”.
La rottura con la Chiesa cattolica avvenne nel 1517, quando egli affisse le sue celebri 95 tesi sul portone della chiesa di Wittemberg in Sassonia in seguito all’ennesima ingerenza del papa – Leone X - che poco prima aveva riproposto in Germania il mercato delle indulgenze per finanziare la costruzione della basilica di San Pietro.
La Controriforma cattolica segnò la condanna del protestantesimo nascente, ma fu l’occasione per operare comunque una riforma interna molto importante, dando forma ad una organizzazione che nel suo modo di intendere i sacramenti, i ministri, la liturgia, è valida ancor oggi.
Dal Concilio di Trento la Chiesa esce con rinnovato entusiasmo e più pulita, ma mettendo ancor più sé stessa sul piedistallo. Lei, la Chiesa, amministra i sacramenti che sono l’unica strada per la salvezza. Lei è il tramite che sta tra gli uomini e Dio, e sempre attraverso di lei era necessario dare ossequio e ubbidienza per arrivare a Dio. Il Concilio di Trento, un po’ per le sue numerose vicende interne , un po’ per il suo tono definitivo su molte questioni di carattere dogmatico e non, sembrò decretare anche la fine dei concili. Per tre secoli i vertici della Chiesa non si raduneranno più in Concilio, e quando nel 1870 lo rifaranno con il Vaticano I, sarà per decretare dogmaticamente l’infallibilità del papa: una puntualizzazione ulteriore per chi non fosse ancora convinto, che non serve discutere.
Ogni scelta porta qualcuno ad allontanarsi ed altri ad avvicinarsi. Il frutto di queste decisioni è dato da una Chiesa che ha perso il contatto con il mondo operaio, con i giovani, con le famiglie, ma che paradossalmente sa radunare anche 2 o 3 milioni di persone per gli incontri mondiali della gioventù con il papa, e più del doppio per i funerali di Woitjla, nell’aprile 2005. Una Chiesa capace di canonizzare più santi sotto il pontificato di Giovanni Paolo II che sommando tutti quelli degli ultimi 400 anni ; senza più vita in molti suoi oratori, ma affollata là dove vi è il solo sospetto di miracoli eucaristici, apparizioni mariane, devozione verso immagini miracolose, stigmatizzati… .

Perché l’uomo costruisce idoli?
L’uomo si è sempre costruito idoli. Anche oggi lo fa, nonostante tutte le conoscenze di cui dispone. Perché? Perché l’uomo fa questa cosa che da un punto di vista razionale è così stupida?
Mircea Eliade, nei suoi studi sulla storia delle religioni, ha dimostrato che dai suoi albori l’umanità è religiosa, costruisce “simboli” per provare nel contatto con determinati oggetti sacri, emozioni profonde: "Un albero o una pianta non sono mai sacri in quanto albero o pianta; lo diventano partecipando a una realtà trascendente, lo diventano perché significano tale realtà trascendente". Anche C.G. Jung ha affrontato questo tema definendo quelle forme simboliche che ritroviamo in tutte le religioni “archetipi primitivi umani”. Niente è più affascinante della capacità dell’uomo di creare e comunicare attraverso un linguaggio simbolico, soprattutto laddove, come nell’esperienza religiosa, le parole sono assolutamente insufficienti e inadeguate.
Quando però il simbolo diventa esso stesso ciò che significa, si ha l’idolatria. Quell’oggetto diventa dio stesso, e questo decadimento avviene continuamente, anche nel monoteismo. Non ci si avvicina al quadro perché raffigura Maria e risveglia in noi sentimenti di riconoscenza verso colei che ha generato Gesù, ma proprio per il quadro in sé stesso, che parla, piange, versa latte, guarisce, insomma fa tutto quello che vorremmo che Dio facesse.
Ad esempio, per tornare a Eliade, riguardo delle origini del simbolismo della perla, esse non erano in origine "empiriche, ma teoriche e metafisiche"; tuttavia "questo simbolismo, in seguito, fu interpretato diversamente, poi degradato fino alle superstizioni e al valore economico-estetico che rappresenta per noi la perla"
Con una approfondita e documentata ricerca Eliade mostra come questo bisogno di distinguere tra il Dio supremo, irraggiungibile ed eterno e tutti quegli intermediari più vicini ai nostri bisogni quotidiani e meglio raffigurabili, è continuamente presente, nelle religioni antiche come in quelle nuove . Da qui ne deriva il maggior successo del politeismo, nella pratica, se non nella teoria.

Il mito dell’eterno ritorno
Vi è poi un altro aspetto che caratterizza la religiosità primitiva, che merita almeno un accenno. L’uomo primitivo era portato a spaventarsi di fronte a fenomeni imprevedibili e a dare loro spiegazioni soprannaturali. La reazione più spontanea di fronte alle avversità della natura, non era la riflessione, (la filosofia nascerà in Grecia molto più tardi), ma il sacrificio, il timore religioso verso quella forza che si era mostrata (un fulmine, un terremoto, una carestia, un lutto inspiegabile…). L’uomo cominciò a offrire sacrifici per placare l’ira degli dèi , cominciò a fare riti propiziatori, riti per ottenere il loro favore, riti che, un po’ irrispettosamente, potremmo dire avevano lo scopo di fare da “tappabuchi” verso le saette che continuamente il cielo minacciava di lanciare sulla terra. E cominciò a fare queste cose in modo ciclico e ripetitivo, convinto di ripetere gesti provenienti da un tempo immemorabile. Questa ciclicità sacra era ispirata dall’osservazione di tanti fatti naturali ripetitivi: il sole e la luna innanzitutto, poi le stagioni, i frutti della terra, ecc… . Ripetendo i riti l’uomo primitivo “rifaceva” le azioni divine, accontentando gli dèi, e soprattutto fuggiva la “storia”. Eliade usa questa espressione per dire che essa era troppo angosciosa e piena di domande senza risposta . La morte di un parente, ad esempio, era meglio assorbita come parte di un ciclo che sarebbe presto ripartito dalla nascita di un nuovo bambino, piuttosto che come un fatto a sé stante, unico ed irripetibile e bisognoso di un senso . La storia è costellata di fatti incancellabili, gioiosi, ma anche dolorosi ed inspiegabili. La ciclicità dei riti aiutava a non pensarci, dopo la morte il ciclo infatti ricomincerà con una nuova vita, dopo la notte tornerà il giorno, dopo la carestia verrà di certo la pioggia e l’abbondanza.
E’ importante osservare come a questo concetto di religione (ciclica) sia collegato un senso di paura verso Dio. E’ quello che il Dio ci può fare, la sua ombra minacciosa, che guida le nostre azioni.
Il monoteismo invece rappresentò una svolta, sia per fare pulizia nel mondo dei tanti dèi “tangibili”, sia per la fuga dalla storia, con il suo senso di timore, che era collegata al loro culto.
Il Dio di Abramo è fedele nella storia, ha un progetto che persegue una volta, e non infinite volte. Questa idea religiosa nuova è tipica del pensiero biblico, e quindi della religione ebraica . Il cristianesimo riprende questa idea . Dio salva l’umanità una volta per tutte, tramite il suo Figlio. Dio entra nella storia e ci chiede di amarla, starci dentro fino in fondo anche là dove non la comprendiamo .
Il cristianesimo come l’ebraismo, però, diventando una realtà molto diffusa, con il tempo tende ad adagiarsi sul vecchio canovaccio delle religioni cicliche primitive . Ecco perché nella storia della Chiesa spesso ha avuto il sopravvento l’aspetto minaccioso della punizione divina, legato ad una idea di salvezza “meritoria”, che in alcuni momenti si è arrivati ad acquistare. Pensiamo solo a quanto ancor oggi sia diffusa la credenza che le nostre messe pagate al sacerdote, siano utili al defunto per soffrire meno e o per abbreviare le pene ultraterrene.
La domanda che emerge da tutto questo discorso suona in modo chiaro come una sfida per le autorità religiose odierne: dobbiamo lottare contro certe manifestazioni superstiziose, o accettarle in quanto inevitabili e cristianizzarle se possibile?

L’avvento di un cristianesimo non religioso
La Chiesa gerarchica ha scelto la via del “cristianizzarle se possibile”. Come dicevo all’inizio di questo capitolo: molto dura da un punto di vista morale, ma estremamente indulgente verso le forme devozionali.
Anche su questo punto vorrei dare eco al richiamo evangelico “convertitevi e credete al vangelo”.
Una strada per questo nuovo cristianesimo, maturo, libero da devozioni infantili e da attese salvifiche miracolose, è stata indicata da Bonhoeffer, quel teologo protestante, morto nei campi di concentramento della Germania nazista, che per primo parlò della necessità di un cristianesimo “non religioso” in un “mondo divenuto adulto”. “Non è l’atto religioso a fare il cristiano, ma il prendere parte alla sofferenza di Dio nella vita del mondo” . “Cristo non aiuta in forza della sua onnipotenza, ma in forza della sua debolezza, della sua sofferenza! Qui sta la differenza decisiva rispetto a qualsiasi religione. La religiosità umana rinvia l’uomo nella sua tribolazione alla potenza di Dio nel mondo, Dio è il Deus ex machina. La Bibbia rinvia l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio sofferente può aiutare” .
Noi spontaneamente facciamo atti “religiosi”, per dirla con Bonhoeffer, perché è la strada più facile! Di fronte alle sofferenze, alle ingiustizie, al tanto da fare, noi invochiamo Dio, lo cerchiamo fra le nuvole perché intervenga nel nostro mondo e ci liberi dal male, dal senso di colpa, dal peso che ci portiamo dentro: in cambio offriamo orazioni, offerte, fioretti… quello che vuole, purchè al nostro mondo (alla nostra “storia”, direbbe Eliade) ci pensi Lui. Il cristianesimo, invece, spazza via questa religione, annuncia che Dio, nel mondo, non c’è a quel modo e mai ci sarà. Annuncia che Dio è nel prossimo, nel sofferente, è qui, insomma, come nostro compagno, ma non per fare al posto nostro. Paradossalmente, il cristiano vive “etsi Deus non daretur”, come se Dio non ci fosse. Questo atteggiamento rappresenta una importante rottura con ogni forma di idolatria, funzionale ad un pensiero di tipo arcaico e infantile, e chiude ogni possibile deriva verso la riduzione di Dio alla funzione di “tappabuchi”.