sabato 17 maggio 2008

Il Peccato Originale


So che può sembrare inutile o difficile parlare di argomenti che solitamente classifichiamo come filosofici, teologici, o comunque per esperti. So che tutti quanti siamo attratti maggiormente da argomenti di attualità, più tangibili, per lasciare a chi ha tempo da perdere le questioni sull’al di là.
Per me invece non è così. Sono sempre più convinto che per capire la storia ed il mondo che ci circonda bisogna prima aver chiaro quale idea ci portiamo dietro del mondo. E anche per capire la Chiesa e le sue prese di posizione bisogna capire da dove attinge, su quali fondamenta si appoggia, perché è da lì che essa trae le sue certezze. E da quei fondamenti, come dirò alla fine, escono fuori direttive anche molto concrete e attuali.
Il Peccato Originale è uno di quegli argomenti sui quali una gran discussione a livello popolare non si è mai vista. Sembra non solo una questione per esperti, ma anche un problema lontano, una questione che riguarda Adamo, la Genesi, e che dobbiamo sapere così come sappiamo qualcosa su Noè, su Abramo o sul re Davide. Invece il Cristianesimo fonda i fatti accaduti a Gesù come risposta ai fatti accaduti ad Adamo ed Eva, e per comprendere a fondo la salvezza annunciata dal Vangelo occorre sapere bene da cosa dobbiamo essere salvati, cioè il dogma del Peccato Originale.

San Paolo
“Peccato Originale” è, sinteticamente, il nome che la Tradizione cristiana ha sempre dato al peccato di Adamo, capostipite dell’umanità. Un peccato dalle conseguenze nefaste per tutto il genere umano, rimediato, annullato, dall’opera redentiva di Cristo, “nuovo Adamo”. Questa lettura cristiana dei primi capitoli della Genesi si rifà in modo particolare all’interpretazione che ne ha fatto San Paolo: “Come a causa di un solo uomo il Peccato è entrato nel mondo e con il Peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini perché tutti hanno peccato. … se infatti per la caduta di uno solo morirono tutti, molto di più la Grazia di Dio ed il dono concesso in Grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini” (Romani 5,12-14).

Sant’Agostino
Sant’Agostino (IV secolo) nella sua immensa produzione letteraria si soffermò parecchio sulla presenza del male e quindi sull’origine del peccato. E la sua opera influenzò enormemente il pensiero del Magistero dei secoli seguenti. Egli non trovò particolari problemi nel leggere i primi capitoli della Genesi in senso storico e nell’interpretare l’istinto sessuale come una conseguenza “vergognosa” del Peccato di disobbedienza nell’Eden. Una citazione tra le tante possibili è sufficiente per rendere il suo pensiero: “gli organi sessuali (di Adamo ed Eva, prima del peccato) ricevevano l’impulso ad arbitrio della volontà e il marito poteva unirsi alla moglie senza lo stimolo sensuale della vampa lussuriosa nella serenità dell’anima e senza la perdita dell’integrità del corpo”. Il sito www.augustinus.it mette a disposizione una preziosa biblioteca delle opere di Agostino dove chiunque tramite il motore di ricerca interno può trovare numerosi passi sulla sua idea di sessualità, matrimonio, Peccato Originale.

L'età moderna viene detta tale di certo NON per un rinnovamento teologico all'interno della chiesa. Basti un accenno ai Concili di Lione (1274) e Firenze (1439) in cui viene definito "Le anime di quanti muoiono in stato di peccato mortale o anche con il solo peccato originale, scendono all'inferno, dove tuttavia, saranno punite con castighi diversi".

Il Concilio di Trento
Altra pietra miliare per la formulazione del Peccato Originale è la definizione assunta dal Concilio di Trento (sessione V, del 1546). Ecco alcune affermazioni conciliari:
“Adamo per quel peccato di prevaricazione fu peggiorato nell’anima e nel corpo”
“Chi nega che per la Grazia del nostro Signore Gesù Cristo, conferita nel Battesimo, sia rimesso il Peccato Originale… sia anatema. …Questo Santo Sinodo confessa che tuttavia nei battezzati rimane la concupiscenza o passione. Ma essendo questa lasciata per la lotta, non può nuocere a quelli che non acconsentono e che le si oppongono virilmente con la Grazia di Gesù Cristo”.

Da queste affermazioni osserviamo la voluta differenza ed lo stretto legame tra Peccato di Adamo, che viene ereditato da ogni uomo e rimesso con la Grazia del Battesimo, e concupiscenza, cioè l’istinto ed il piacere sessuale, che sono, come aveva già insegnato Agostino, una macchia lasciata in qualche modo dal Peccato Originale, ma che non compromette la salvezza operata da Cristo se l’uomo non vi acconsente in modo sconsiderato. Il Concilio di Trento decreta in modo definitivo che se anche è vero che “mai la Chiesa Cattolica ha inteso che venga chiamata “peccato” la concupiscenza”, è pur altrettanto vero che essa “ha origine dal peccato e ad esso inclina”.
In altre parole: Cristo ci salva tramite il Battesimo e senza il suo intervento sacramentale ogni nostro sforzo sarebbe vano, però allo stesso tempo, anche se ci ha riscattato, Dio permette che siamo tentati da questa traccia negativa – la concupiscenza - che è rimasta comunque in noi, perché “la lotta” ci fa bene. Essa non è peccato finchè non acconsentiamo al suo richiamo volontariamente.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica
Il Catechismo della Chiesa Cattolica (1992), sulla linea del Concilio di Trento, descrive il Peccato di Adamo, come un peccato “contratto”, anche se non commesso direttamente da ogni uomo; contratto per “propagazione” e non per imitazione dalla prima coppia umana a tutta l’umanità (CCC 404). Cioè trasmesso nell’atto della generazione, quindi, viene ribadito, per via sessuale.
La redenzione compiuta da Cristo recupera all’uomo la sua condizione originaria; lo libera, tramite il battesimo, di quel Peccato che riceve nel momento stesso del concepimento, ciononostante “le conseguenze di tale Peccato sulla natura indebolita ed incline al male rimangono nell’uomo”. E ancora una volta si parla esplicitamente di concupiscenza spiegata come quel insieme di “forze naturali” che inclinano l’uomo al peccato (CCC 405). Dio in definitiva rimedia al Peccato delle origini, ma la completa riabilitazione della sua creazione avverrà solo alla fine dei tempi, perché di fatto la natura da Lui creata non è più una cosa buona. La natura dell’uomo è ormai irrimediabilmente “ferita, incline al male”, e questa consapevolezza spinge la Chiesa ad agire con impegno nel campo “dell’educazione, della politica, dell’azione sociale e dei costumi” (CCC 407).

Verso una nuova formulazione
Io credo che questa dottrina sul Peccato Originale, così come è tuttora esposta, necessiti di un approfondimento. Essa nasce con la lodevole intenzione di spiegare la presenza del male nel mondo, ma non tiene conto adeguatamente delle conoscenze che l’umanità ha acquisito nel tempo. Per l’autore biblico dei primi capitoli della Genesi, come per san Paolo e più tardi anche per sant’Agostino che per primo ha formulato l’espressione “Peccato Originale”, il mondo era fatto in un certo modo. Finchè non si è conosciuto il funzionamento di tanti processi naturali è stato piuttosto normale dare spiegazioni di tipo religioso, per cui si pensava agli Inferi nel sottosuolo, al Paradiso sopra le nuvole, alla terra come un mondo fermo, piatto e al centro della creazione.
Per riabilitare Galileo che aveva semplicemente fatto delle osservazioni su Giove, Saturno e la Luna con un rudimentale telescopio, abbiamo dovuto aspettare il 1992. Oggi la disputa “scienza – religione” si è spostata dal cosmo all’uomo, alla sua identità, in particolare sull’origine della vita, sulla fine, sulla clonazione, sull’uso di cellule staminali, sui tentativi di incrocio tra gameti umani e animali.
Oggi, per tornare al nostro discorso, sappiamo che in natura morte, malattia, errore genetico, ma anche piacere sessuale, lotta per la sopravvivenza, istinto di riproduzione, sono cose normali. Ci sono da quando c’è la natura, indipendentemente dall’uomo. D’altra parte la domanda sul male è inevitabile in una teologia in cui tutto ruota attorno all’idea di un Dio buono, Creatore di ogni cosa e Onnipotente.
I problemi che non possiamo più rimandare sono in sintesi tre:
1. Bisogna chiarire una volta per tutte che Adamo ed Eva sono personaggi mitologici ed un eventuale peccato che sta alle origini del genere umano, se c’è, riguarda molte persone primitive sparse su un territorio relativamente ampio. E’ la teoria altrimenti detta del poligenismo contro il monogenismo adottato esplicitamente da Pio XII nell’Humani Generis. In realtà la teoria poligenista non è ancora stata dimostrata scientificamente, ma sembra molto più probabile di quella monogenista che suppone la discendenza umana da una sola coppia.
Per dimostrare la propagazione del peccato originale da parte di Adamo ed Eva, il Magistero è ricorso all'ipotesi monogenista, non sapendo come conciliare il Peccato Originale con quella poligenista e, nel fare ricorso a tale soluzione, è dovuto ricorrere all'incesto per spiegare la genesi dell'umanità: infatti se Dio ha creato soltanto Adamo ed Eva, l'umanità poteva crescere e moltiplicarsi solo grazie all'unione tra Eva, l’unica donna esistente, ed i suoi figli. Per questo Pio XII scriveva nella Humani generis che, sul momento, in merito all'ipotesi poligenista: "… non appare in nessun modo come queste affermazioni si possano accordare con quanto le fonti della Rivelazione e gli atti del Magistero della Chiesa ci insegnano circa il peccato originale".
Una affermazione che previene i risultati della ricerca scientifica e gli dicono in anticipo quale risultato troveranno, sulla base della difesa del Peccato Originale. Cosa ben diversa sarebbe a mio parere lasciar fare alla scienza il suo corso, senza incanalarla verso risultati prestabiliti, per poi vedere come le certezze di fede possono accordarsi con tali risultati.
In ogni caso non è più possibile, dopo Darwin, sostenere che Dio ha fatto l’uomo all’improvviso, con un salto qualitativo dall’animale all’uomo, un tocco diretto di Dio, senza alcuna gradualità né evoluzione. E non è più possibile, da prima di Darwin, leggere la Bibbia come un libro di storia e di scienza.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica usa un linguaggio non chiaro, dove un po’ alla Veltroni, si dice una cosa, ma anche il suo contrario. Infatti “il racconto della caduta utilizza un linguaggio di immagini (quindi è simbolico), ma espone un avvenimento primordiale, un fatto che è accaduto all’inizio della storia dell’uomo (quindi è storico)” (CCC 390).
La scienza è ancora alla ricerca dell’anello mancante, quel fossile che testimoni il passaggio dalla scimmia all’uomo. Ma se la scienza cerca, non significa che nel frattempo la Bibbia la può sostituire. Abbiamo già visto un milione di volte che non si può leggere la Bibbia così, la Dei Verbum ha detto di non farlo più: un po’ di umiltà e di pazienza, in definitiva, non guasterebbe.

2. Non è possibile continuare a sostenere che la morte ed il dolore siano entrati nel mondo con il peccato del primo uomo. E’ ormai più che documentato che la morte c’era già da un pezzo, ancor primo che dell’uomo ci fosse anche solo l’ombra. Violenza, lotta per la sopravvivenza, terremoti, glaciazioni, ma anche errori genetici e implacabile selezione naturale. Tutto questo c’era già quando l’uomo è arrivato, e non l’ha portato lui. Ciò non significa negare una qualche validità del dogma del Peccato Originale, ma cercare di esprimerlo in una forma nuova e diversa da quella a-scientifica che ci continua a proporre il Catechismo: “L’armonia nella quale essi (Adamo ed Eva) erano posti … è distrutta; la padronanza delle facoltà spirituali dell’anima sul corpo è infranta; l’unione dell’uomo e della donna è sottoposta a tensioni; i loro rapporti saranno segnati dalla concupiscenza e dalla tendenza all’asservimento. L’armonia con la creazione è spezzata … Infine, la conseguenza esplicitamente annunziata nell’ipotesi della disobbedienza si realizzerà: l’uomo tornerà in polvere, quella polvere dalla quale è stato tratto. La morte entra nella storia dell’umanità.” (CCC 400).
Di certo non la morte fisica, che c’era e sempre ci sarà perché fa parte del ciclo naturale dove tutto nasce, muore e si trasforma: dalle stelle ai microbi.
3. Il Peccato delle origini non può essere trasmesso a tutta l’umanità per via sessuale. Non solo per il concetto negativo di sessualità che questa impostazione continua a portarsi dietro da Agostino, ma anche per la “fisicità” dell’atto, inducendoci a pensare che il Peccato di Adamo viene trasmesso come una parte fisica, nascosta nel nostro corredo genetico. La dottrina cristiana ha sempre sostenuto che Dio crea l’anima umana nell’attimo stesso del concepimento. Al di là della sostenibilità di questa posizione, ciò significa che non è certo con l’anima che l’uomo si tramanda la macchia del Peccato Originale, perché se è creata direttamente da Dio (CCC 366), non si può pensare che Dio crei qualcosa con dentro il peccato. Allora non rimane che pensare che questo peccato venga trasmesso tramite la componente fisica dell’uomo. Ma dire questo è come sostenere che da qualche parte, nel nostro codice genetico, c’è il Peccato Originale. Se così fosse, a parte che lo si potrebbe trovare ed eventualmente in futuro “correggere” come si fa per un qualunque ogm, prenderebbe una brutta piega la nostra idea di un Dio buono e Creatore. Possibile che per il peccato di un uomo, un solo peccato, di un solo uomo, tutto il genere umano venga compromesso? Miliardi e miliardi di uomini “rovinati” da un errore. Come una di quelle espressioni di algebra che se fai un piccolissimo errorino di distrazione all’inizio, che so, un - per un +, poi nonostante tutto l’impegno quell’errore te lo porti dietro senza saperlo e passaggio dopo passaggio diventa sempre più grande, con numeri e operazioni sempre più assurde…
Beh, se le cose sono andate così, questa creazione non è stata un buon affare.

Le conseguenze
Dicevo all’inizio che data una certa impostazione, derivano determinate conseguenze. Brevemente, i tre concetti appena esposti, se non risolti portano inevitabilmente ad alcune nefaste conclusioni:
1.evocare l’intervento diretto e miracoloso di Dio ci induce a seguire questa pista. Se Dio interviene così spesso: quando crea la vita sulla terra, quando crea l’uomo, quando manda il diluvio, quando sceglie Abramo, quando con Mosè libera Israele e lo fa passare nel mare, e poi quando nasce Gesù, quando risorge, quando ascende in cielo, o ancora quando manda direttamente l’anima su ogni embrione appena concepito, e quando fa risalire al cielo l’anima separata dal corpo al momento della morte…beh, allora è chiaro che può intervenire anche nella mia vita privata, nel mio tempo, facendo miracoli, liberandomi dal male, guarendo le malattie. Dio diventa un “tappabuchi”, come diceva Bonhoeffer.
2.pensare che il dolore e la morte siano entrati nel mondo per il peccato del primo uomo ci induce a pensare che ogni dolore inspiegabile è una sorta di punizione che per qualche motivo non sempre visibile ci meritiamo. Gesù, di fronte alla domanda dei suoi discepoli sul perché un uomo sia cieco dalla nascita, ebbe bisogno di precisare che “né lui ha peccato, né i suoi genitori” (Giovanni 9,3). Il dolore e la morte fanno parte della vita. E piovono sui giusti e sugli ingiusti. Questa mentalità ci ha spinto a cercare soddisfazione nel pensiero della beatitudine che verrà dopo la morte, confidando nel Paradiso, o, in molti casi, temendo le conseguenze dell’Inferno. Mentre invece la nostra attenzione dovrebbe essere concentrata sull’al di qua, su cosa ci succede ora, e cosa io posso fare ora, più che sull’evasione mentale che può darmi una vita oltre la morte.
3.la trasmissione del Peccato Originale per via generativa ha avuto conseguenze nefaste nei confronti dell’idea cristiana di sessualità e nella concezione della donna, come tentatrice, provocatrice di quella concupiscenza che il Battesimo non è riuscita ad eliminare, e anche come incubatrice, in un certo senso, del male. E non a caso le donne poste come modello da seguire – prima di tutte la Madonna – sono icone di una femminilità nascosta da mille veli, asessuate, estraniate dalla vita presente per dedicarsi totalmente alla contemplazione e alla vita mistica. Una tale concezione ha favorito uno scollamento enorme tra la morale sessuale del Magistero e quella realmente praticata dai cattolici, i quali lasciano dire, ma non prendono in seria considerazione questa parte di insegnamento morale. Un esempio su tutti può essere quello della citazione seguente, in cui il Magistero invita addirittura alla “moderazione del godimento”. Notare che non sono parole di Sant’Agostino di 1600 anni fa, come potrebbe sembrare, ma della Congregazione per la Dottrina della Fede, datate 29 dicembre 1975.
Oggi, più ancora che nei tempi passati, i fedeli devono ricorrere ai mezzi che la chiesa ha sempre suggerito per condurre una vita casta: la disciplina dei sensi e della mente, la vigilanza e la prudenza per evitare l’occasione del peccato, la conservazione del senso del pudore, la moderazione nel godimento, le sane distrazioni e la preghiera assidua ed infine devono accostarsi frequentemente ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucarestia. Soprattutto i giovani devono vivere con impegno la venerazione della Madre di Dio, preservata da ogni macchia di Peccato Originale, e seguire l’esempio della vita dei santi e di altri, in particolare di quei loro fratelli nella fede che si sono distinti per una casta purezza. Tutti devono avere in considerazione soprattutto la virtù della castità ed il suo raggiante splendore.
Io non pretendo di salire in cattedra ed insegnare ai vescovi come interpretare la Bibbia, non so come questo Peccato Originale si possa spiegare. Perché comunque è indiscutibile che qualcosa nel mondo non va, qualcosa che dipende dall’umanità e che rende così difficile la nostra convivenza. Però questo lo posso dire: non ci si può fare paladini della “Ragione” senza confrontarsi con alcune, poche, pietre miliari che le conoscenze umane hanno messo a fuoco negli ultimi secoli.
Non si possono neppure mettere troppi paletti alla ricerca, dicendo “questo lo puoi cercare, e questo invece no perché ti porta lontano da quanto noi abbiamo sempre detto”. La ricerca deve essere libera, deve semmai seguire delle norme morali, ma non religiose: e se scopre che il mondo è fatto in modo diverso da come noi cattolici avevamo sempre pensato, siamo noi a dover reinterpretare i nostri dogmi, non la realtà a piegarsi ad essi.

martedì 6 maggio 2008

L’anima e il suo destino


Gentile prof. Vito Mancuso,
sono un Educatore Professionale e lavoro con disabili. Già questo potrebbe bastare per spiegare il mio interesse al discorso sull’anima, in quanto per me è costante il contatto con persone incapaci di capire, o capaci limitatamente e la cosa pone non poche domande di senso. Ma sono anche uno di quei preti che hanno lasciato la tonaca e libero da obblighi istituzionali continuo la mia personale ricerca della Verità con la massima onestà di fondo.
Innanzitutto grazie per il libro che ha scritto perché l’ho trovato molto stimolante in ogni punto. Siamo così abituati a discutere di cose frivole, al massimo, sull’ultima cosa che ha detto il papa, che non ci accorgiamo delle questioni di fondo, di come a volte certe affermazioni siano fragili e fondate sul nulla e allo stesso tempo fondamentali.
Ho pensato di scriverle queste riflessioni, visto che abitualmente scrivo di questi argomenti su internet e anche vista la sua disponibilità mettendo a disposizione l’email nel libro. E’ ovvio che da lei non mi aspetto niente, tanto più che ne è venuta fuori una lettera piuttosto lunga, e se anche solo leggerà queste pagine per me sarà un grande onore.
Siccome ho ricevuto dalla lettura del suo libro molti stimoli, talvolta contrastanti, ho cercato di mettere un po’ di ordine e preferisco procedere in questo modo: prima evidenzierò gli aspetti che mi sono piaciuti e dirò perché, poi passerò a quelli che a mio parere restano più problematici.

Spunti positivi

Fare teologia
Credo che la premessa al suo lavoro (come anche le pagine conclusive) vada a mettere il dito su una piaga decisiva per il paludamento della teologia cattolica. Di fatto oggi non si può dire niente e questo a lungo andare addormenta i cervelli, ferma la ricerca e la voglia di capire, allontana le menti migliori. Davvero la teologia è vissuta come un campo minato, con un sentiero obbligato da percorrere. Davvero tanti preferiscono dire che è bianco, a priori, ciò che per la Chiesa è bianco, tralasciando un po’ alla volta l’amore per la Verità. Chi non riesce a negare l’evidenza, inevitabilmente esce dalla Chiesa, o si guarda bene dall’entrarvi.
Capisco che la possibilità di dire eresie è grande se tutti cominciano a pensare, ma senza correre questo rischio il sogno di Benedetto XVI di sposare la fede con la ragione, sarà sempre meno realizzabile, e tra i sacerdoti verranno scelti coloro che non fanno domande, non ragionano sulle cose che accadono e in definitiva non colgono i segni dei tempi.
E’ paradossale ciò che ho visto nell’intervista che Giuliano Ferrara le ha fatto alla trasmissione Otto e Mezzo (1 ottobre 2007): un non credente che difende le posizioni del Magistero contro un credente che le mette in discussione. Ma cosa sta succedendo? Mi chiedo. Una fede che ragiona, che si confronta costruttivamente con i risultati della scienza è proprio ostacolata da tutti! Dalle autorità vaticane, ovvio, ma non di meno dai non credenti vicini alla Chiesa (vedi le domande di Ferrara) e anche da quei laici lontani dalla Chiesa (vedi le domande di Ritanna Armeni), preoccupati della possibilità di avere qualcosa in comune con i cattolici.
Da questo punto di vista il suo libro è entrato in casa mia come una ventata di aria fresca. Finalmente un cattolico che pensa - mi son detto - e al di là delle singole conclusioni a cui arrivi, questo è veramente necessario alla Chiesa di oggi.

L’anima dal basso
Non avevo mai pensato alla possibilità di mettere Einstein di fronte al Catechismo della Chiesa Cattolica. Eppure avevo letto con interesse entrambi, ed entrambi parlano del destino della materia. Ma forse siamo così abituati a non saper conciliare fede e scienza, a tenerle, nel migliore dei casi, distanti tra loro, come se fosse pericoloso farle incontrare attorno ad un tavolo, che anche nella mia mente è scattato il tabù. Invece il suo libro mostra con chiarezza come la fede debba assolutamente fare i conti con il fatto, impensabile fino ad un secolo fa, che la materia e l’energia sono interscambiabili, l’una può trasformarsi nell’altra. Questa non è una cosetta da poco, ci dice qualcosa di sostanziale su come è fatto il mondo e un filosofo o un religioso non può evitare di farci i conti.
Ritengo molto interessante il suo approccio sull’anima come di una realtà che viene dal basso, e della materia come mater. E’ un approccio che cercavo da tanti anni e che non avevo ancora trovato. Una spiegazione non riduttiva, non esclusivamente biologica dell’uomo e neppure esclusivamente spirituale, ma che riesca a spiegare la sua diversità, il suo “di più” sul resto della natura, senza tirare in ballo l’intervento diretto di Dio. Mi ritrovo da una parte libri di teologia che ammoniscono la scienza per il rischio di Positivismo e di voler spiegare tutto, dall’altra libri di scienza che deridono gli approcci religiosi, relegandoli ad uno stadio primitivo dell’uomo che non sa, senza rendersi conto che oggi forse ci sono più credenti di quando c’era Napoleone o Garibaldi. Così a mio parere non si va da nessuna parte, mentre invece mi pare fecondo un approccio in cui a partire dal basso si intravede con la luce della ragione una tensione della vita ad un ordine e ad una complessità sempre maggiori, e l’uomo è un salto di livello in questa scala; un salto necessario, non casuale.
Il suo libro per la prima volta mi ha offerto gli argomenti per parlare di fede con chi non crede ed è ben motivato nel proprio ateismo o agnosticismo.
L’importanza dell’anima che viene dal basso emerge in tutta la sua evidenza nel capitolo sull’origine dell’anima. Non tanto perché mi turbi l’idea di avere un’anima separata dal corpo o preesistente come giustamente lei sottolinea, ma perché sento tutta l’urgenza di eliminare il Dio tappabuchi di cui parlava Bonhoeffer. Se Dio interviene ogni giorno direttamente per mandare tante anime in tanti nuovi corpicini, allora perché non credere anche a tutti gli altri interventi diretti che ci mantengono ad un livello infantile di fede: miracoli, madonne che appaiono, morti che non si consumano, e se si consumano vengono fatti in mille pezzi perché ognuno possa averne con sé “un po’”. Io non posso credere in questo Dio, perché il suo intervento rende continuamente inutile il mio.
Ciò nondimeno mi crea qualche problema anche il Dio di Bonhoeffer, quello cioè del cristiano nel mondo, che non attende interventi diretti, ma si impegna in prima persona, responsabilmente. Il problema che mi pongo è: quale tipo di rapporto possiamo avere con Dio, in questo caso? Ha senso pregarlo, chiedergli di starci vicino, di accompagnarci nelle scelte? Non lo abbiamo allontanato un po’ troppo? Non è forse diventato come il “Motore Immobile” di Aristotele, che sta all’origine dell’Universo e poi, per così dire, se ne frega di quanto vi accade dentro? Tu come ti poni?
Io personalmente vivo la presenza di Dio in un modo che non saprei ben spiegare. Ogni giorno so che non posso chiedergli di evitarmi incidenti stradali, perché dipenderanno da come io guido; non posso consultare il vangelo come un oroscopo, insomma… ma allo stesso tempo avverto che Lui è lì, vicino a me, non seduto al mio posto, ma accanto a me, a condividere tutto quello che faccio. E’ una strana sensazione: è come pedalare in tandem con Dio stesso, verrebbe naturale pensare che ti dà una bella spinta un socio così, ed invece fa fare tutto a me, Lui non fa niente, tranne forse incoraggiarmi continuamente.

Sorella morte
La sua descrizione della morte come di un fatto naturale non cattivo e non frutto del peccato di qualche lontano antenato mi è molto piaciuta e la condivido in pieno. Mi torna in mente San Francesco che nel suo Cantico delle Creature la chiama “sorella”.
Io da prete ho sempre sostenuto, non senza imbarazzo, perché mi rendevo conto di dire qualcosa che andava contro la dottrina cattolica, il concetto evidente che la morte c’era anche prima dell’uomo (pag. 192). C’era per i dinosauri, per esempio, che anzi sono stati sterminati completamente da qualche cataclisma naturale, e loro, per quanto selvaggi, non erano certo peccatori. E che non mi si venga a dire che morirono in vista del nostro peccato… La morte quindi è dolorosa, è misteriosa, ma non è frutto del peccato. Fa parte di un progetto interno al cosmo dove tutto deve nascere e deve morire, perchè la nostra limitatezza permette la presenza di altri e passi in avanti nella complessità della materia. La morte ci mantiene esseri limitati, è una regola chiara, indiscutibile, impreziosisce il poco tempo che abbiamo a disposizione e rimescola le carte degli atomi per il mondo di domani.
Il libro illustra bene come il senso del limite sia una cosa positiva, per nulla frutto del peccato. Il mio limite mi dice ogni giorno che io non sono Dio, e non posso arrivare dappertutto.
Le vorrei segnalare un film che mi ha fatto capire questa cosa: “La leggenda del pianista sull’oceano” di Giuseppe Tornatore (1998). Alla fine, quando il protagonista (l’attore è Tim Roth) spiega perché non vuole scendere dalla nave in demolizione descrive proprio il suo disagio di fronte ad un mondo che non ha limiti, e paragonandolo ad un pianoforte dice:
Tu pensa un pianoforte: i tasti iniziano, i tasti finiscono. Tu lo sai che sono 88 e su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti loro; tu sei infinito e dentro quegli 88 tasti la musica che puoi fare è infinita. Questo a me piace ed in questo posso vivere. Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti (New York, ndr), milioni e miliardi di tasti che non finiscono mai – perché questa è la verità, che non finiscono mai – quella tastiera è infinita. Ma se quella tastiera è infinita allora su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Sei seduto sul seggiolino sbagliato, quello è il pianoforte su cui suona Dio.

La Resurrezione di Gesù
Devo dire che ho molto apprezzato il paragrafo sulla resurrezione di Gesù. Peccato che gli ha dedicato così poco spazio, perché essendo un fondamento della fede, per non dire “il” fondamento, a mio parere meriterebbe un maggiore attenzione. Non molto tempo fa, mi pare proprio nei giorni di Pasqua, c’è stato un tv un certo dibattito sulla resurrezione, e mi ha colpito quanti problemi essa crei a livello razionale negli stessi cristiani. Io stesso incontro persone che fanno un cammino di fede serio e però sulla resurrezione dicono beatamente “non ci credo” o qualcosa di molto simile. E se mi azzardo a dire “allora non sei cristiano” si arrabbiano un bel po’.
Io credo che la domanda centrale, che taglia la testa al toro, sia quella che fa lei: “dove si trova ora il risorto”? Effettivamente è questa la questione che mi mette in crisi, più che la rianimazione del cadavere nel sepolcro. L’ascensione “in cielo” è certamente un’immagine allegorica e però su questo nessuno si esprime, quasi ci fosse la paura di andare a scoperchiare una pentola che non si deve assolutamente aprire. Detto questo io spero che qualche teologo cattolico raccolga al più presto la sfida di Bultmann (Nuovo Testamento e Mitologia, Queriniana), il quale parla di resurrezione come di evento escatologico, non perché la ragione debba spiegare tutto, ma perché i dogmi di fede, come dice lei, facciano almeno i conti con quel poco che sappiamo della materia (o dell’energia). Ho letto qualcosa di simile in “Gesù di Nazaret” di Ortensio da Spinetoli, ed ora nel suo libro, ma spero che la discussione non sia finita qui.
Detto questo mi trovo un po’ più in difficoltà là dove ritiene questa resurrezione come qualcosa di non fondamentale. Essa a mio parere è il cardine del Cristianesimo ed è un dato di fede (pg 311-312). Non so dove sia il corpo di Gesù ora, e di certo è difficile sostenere che la sua carne, insieme a quella della Madonna, sussistano in una realtà fuori dal tempo e dallo spazio, ma qualcosa in quel sepolcro è successo, qualcosa che non succede negli altri sepolcri, su questo non possiamo fare sconti, pena il rendere mitologico tutto l’evento cristiano.
Lei in tv, all’Infedele di Gad Lerner, ha sostenuto che se una telecamera avesse potuto registrare quello che è successo al corpo di Gesù dopo la sua sepoltura, non ci avrebbe mostrato nulla di eclatante. Non so, su questo rimango perplesso. D’accordo sul fatto che Dio non può infondere direttamente un’anima ogni volta che una donna rimane incinta, ma almeno in questo caso un intervento diretto ci deve essere stato. Un intervento, un evento straordinario: in questo sta la nostra fede. Poi come sia avvenuto, in che senso quel corpo è risorto, dove sia andato a finire, io questo non lo so e spero che voi teologi mi aiutiate a capire.

L’inferno
Riguardo il discorso sull’inferno e sulla possibilità che esso sia o vuoto o temporaneo dico solo una cosa. A livello logico il tuo ragionamento è convincente, ma capisco la preoccupazione della Chiesa nella sua riluttanza a fare una affermazione simile, anche qualora fosse vera. E’ chiaro che se si dovesse diffondere l’idea che non vi è una punizione esemplare per i malvagi, perché essere buoni? Perché essere onesti, amanti del bene, perseguire la via stretta e faticosa, fare sacrifici, quando tanto alla fine sappiamo che Dio nella sua misericordia infinità ci accoglierà tutti quanti? Certo, il bene va fatto per sé stesso, è esso stesso il centuplo su questa terra, ma vallo a spiegare! Fa molto più effetto la minaccia della punizione, che l’invito a godere del bene fatto.
La Chiesa a mio parere ha una grande esperienza nel contatto con le folle. Sa distinguere tra quello che potrebbe dire e quello che a suo giudizio “non è il caso” di dire. Per fare un esempio, la venerazione delle reliquie è un atto pagano bello e buono. Ma opporvisi a muso duro a suo tempo sarebbe stato rischioso per la Chiesa, che preferì “cristianizzare”, per quanto possibile, una pratica così radicata nel popolo, pur di non entrare in una rischiosa rotta di collisione. Così a mio parere vanno viste le concessioni sulle tante apparizioni mariane, non volute intenzionalmente dalla Chiesa, ma accolte perché in fin dei conti portano buonissimi frutti in termini di partecipazione popolare. Così a mio parere sulla questione dell’Inferno essa ha preferito mantenere la linea dura, non tanto perché sia la più corretta da un punto di vista logico, quanto perché a lungo andare risulta la più conveniente.
Per quanto riguarda la questione in sé, secondo me il discorso non va fatto tanto sulla durata o sulla possibilità di andare all’inferno. La vera questione è quella che lei affronta in un altro punto (pg. 145) e cioè che Inferno e Paradiso iniziano qua. Non possiamo fare affidamento sull’al di là. Non possiamo fare calcoli o previsioni. E’ qui che ci giochiamo tutto e ce lo giochiamo con le nostre mani. Troppo spesso parlare di Paradiso è stato un modo per farci accettare l’Inferno nel quale viviamo senza tentare di cambiarlo, e parlare di Inferno è stato un modo per trattenere nella Chiesa le persone usando la minaccia e la paura. Parlare troppo di cosa Dio ci sta preparando per l’al di là è un modo clericale di non affrontare i problemi dell’al di qua. E’ per esempio quello che mi pare dica la Teologia della Liberazione ed io credo davvero che la realtà così come è, adesso e qui, è ben più importante e decisiva di quella realtà eterna che ci immaginiamo come Paradiso o come Inferno.


Aspetti problematici

Mi rendo conto che in questa esposizione tocco molti punti caldi senza l’adeguata competenza per farlo. Questo probabilmente mi porta talvolta a ripetermi, ma d’altra parte gli argomenti sono tutti collegati tra loro e ogni riflessione ha conseguenze sulla riflessione successiva. Nei confronti del suo libro ho provato sentimenti ambivalenti, trovandolo geniale a volte e non convincente altre. Spero di riuscire a fare una esposizione chiara e serena di ciò che voglio dire.

Fede e ragione
Innanzi tutto c’è un problema non risolto che è il difficile rapporto tra scienza e fede.
Lei rivendica il diritto di pensare come credente, ed in questo sposa pienamente la tesi del papa a Ratisbona, nella famosa prolusione del 12 settembre 2006 (ma in realtà è un concetto che il pontefice ripete continuamente). Io invece vedo nell’approccio filosofico e teologico del papa un bisogno di riappropriarsi della ragione in sé, cosa che mi preoccupa alquanto, perché poi di fatto riconosce una opinione come “ragionevole” quando questa porta a confermare la fede cattolica, e “razionalismo” quando se ne allontana. Sembra dire: noi che abbiamo fede, siamo i soli ed unici “ragionevoli”. La fede è il modo più ragionevole di affrontare la realtà.
Non sono d’accordo su questo, e immagino che non sarà d’accordo anche lei, ma il mio dissenso è ancor più radicale. La ragione fa a pugni con la fede, ed è giusto così (oltretutto mi pare l’idea guida di Karl Barth, uno degli autori a cui lei fa riferimento). La mia ragione non potrà mai comprendere la resurrezione, o l’incarnazione, - come invece provate a fare lei e il papa - che resterà da un punto di vista razionale sempre una assurdità, come resta assurdo, in sé, il gesto di inginocchiarsi di fronte ad un pezzettino di pane azzimo. Io ritengo che la fede che cerca di capire è una cosa buona. La fede che pensa di capire tutto però, è una contraddizione in termini. Siamo limitati, ho detto qualche riga sopra, bene allora anche la nostra ragione è limitata: facciamocene, appunto, una ragione! E’ chiaro che oltre un certo punto la ragione non può andare, e oltre un certo punto la fede non può scendere, altrimenti non è più fede, ma evidenza. Io avverto, dietro il suo approccio teso a voler spiegare tutto con la forza della ragione ed il supporto della scienza, la fine della fede. Mi va bene appellarsi alla coscienza laica, affrontare temi “spirituali” con le armi della ragione, ma senza la pretesa di arrivare a sistemare anche Dio, i santi, e gli universi paralleli. Possiamo dire qualcosa di Dio e della vita oltre la morte, ma non più di tanto. E la fede vale ed affascina proprio in quanto fede, cioè salto nel buio. Come quando ci si sposa: ci sono dei motivi ragionevoli per credere che quel rapporto durerà, ma non si ha la certezza al 100%, per quella occorre chiudere gli occhi e dire con un po’ di incoscienza: mi butto, mi fido!

Il Principio Ordinatore
La soluzione che lei propone al problema del male prodotto dalla natura è data dal Principio Ordinatore. Una sapienza che modifica in continuazione la natura spinta da una sempre maggiore complessità e verso la discontinuità successiva. Il Principio Ordinatore, o la Sapienza biblica, per intenderci, è impersonale, come la natura. Non è quindi Dio che interviene in continuazione nella natura per dare le sue direttive, ma questo Principio, questa spinta posta da Dio all’inizio della Creazione. Un Principio che può fare errori, originare cataclismi o difetti genetici, perché sempre orientato alla ricerca di nuove strade per esprimersi. In questo modo lei sostiene che quando nasce un bambino handicappato, o uno tsunami fa un disastro, non è Dio che l’ha voluto.
A me però sembra che il problema l’abbia solo spostato. D’accordo con lei che non può essere Dio che interviene direttamente in continuazione nell’utero di ogni donna o nel sottosuolo dei vulcani, però è Lui che ha creato questo Principio “Ordinatore”. Bell’ordine, mi verrebbe da dire! Se l’uomo è davvero il vertice della creazione, un occhio di riguardo non guasterebbe, no?
E’ un Dio un po’ alla Pilato, che vuole tenere tutto in mano, ma che quando c’è qualche problema se ne lava le mani. In questa costruzione secondo me, c’è qualcosa che non va: non che io sappia proporre una soluzione migliore, certo, però la mia mente si ribella “spontaneamente” all’idea che Dio avrebbe messo a capo della mia squadra di lavoro un capo spietato e senza cuore. O Lui stesso è così, oppure questa teoria non regge.

Il Bene
Il Principio Ordinatore mi crea anche un altro problema. Abbiamo detto che la natura tende ad un ordine sempre crescente e questo ordine tende al bene. Nel libro più volte si insiste sul fatto che il fine della materia–energia è l’ordine, l’anima volta al bene.
“Il volere del Padre è sempre e solo il medesimo, è il bene in quanto relazione ordinata… adeguazione della volontà alla struttura oggettiva dell’essere… adeguazione del soggetto alla logica oggettiva dell’essere. … Il bene di una pianta è la luce e l’acqua… non devo inventare nulla, devo capire e obbedire”. Affermazioni di questo genere ce ne sono ad esempio a pagina 180. Mentre apprezzo il superamento manicheo dell’eterna lotta tra Bene e Male, come tanta filmografia e pericolosi cartoni animati giapponesi continuano a propinarci, non capisco come si possa ancora sostenere una visione così “oggettiva” del Bene, molto Scolastica.
M chiedo: cosa è Bene? Cosa risponde lei, quando si è obbligati a fare scelte che sono bene o male a seconda del punto di vista da cui le si guarda?
E’ bene mantenere in vita Piergiorgio Welby? Per chi è bene?
E’ bene mettere al mondo una creatura con due teste, o senza cervello?
Ma potremmo scendere in questioni più alla portata di tutti.
E’ bene esportare la democrazia?
E’ bene concludere una guerra mondiale con l’esplosione di una bomba atomica?
E’ bene scoprire l’America?
E’ bene a livello planetario essere sempre più numerosi come specie umana e limitare sempre più, per ovvia questione di spazi, la varietà della vita animale e vegetale sulla terra?
E’ bene, oggi come oggi, avere rapporti sessuali non protetti?
L’intervento dell’uomo troppo spesso non tende forse a correggere il comportamento della natura?
E’ bene correggere la natura?
E se non lo facciamo è bene rinunciare alle cellule staminali, alla lettura del genoma umano, alla cura del cancro?
Io penso che su cosa è “bene” sarebbe necessario aprire un dialogo ampio e laico, perché ho l’impressione che intendiamo molte cose diverse tra loro, a volte decisamente in conflitto.
Penso spesso ai dinosauri: la loro scomparsa improvvisa e traumatica non è certo stata un bene dal loro punto di vista, magari potevano evolvere e trasformarsi in animali più evoluti, ma in questo modo non saremmo di certo comparsi noi. La loro vita sarebbe stata il nostro male. E la nostra vita, il nostro bene, ha richiesto come premessa necessariamente il loro male.
Forse la realtà è un po’ più complessa e meno certezze su cosa è il Bene Oggettivo porterebbero meno guerre di religione o ideologiche.

Quinta discontinuità
Lei parla di un progressivo viaggio della materia verso l’ordine cosmico, che si ritrova un po’ nel suo DNA. Trovo affascinante il discorso sulle “discontinuità” (pag. 111). Salti di qualità nell’evoluzione del cosmo verso una complessità, un ordine degli atomi capaci ad un certo punto di produrre qualcosa di ontologicamente diverso, qualcosa che prima non c’era. Così accade al momento del Big Bang, poi al sorgere della vita cellulare, poi un terzo passaggio con la nascita dell’intelligenza, ed infine ciò che ci rende maggiormente umani: il nostro senso etico e spirituale. In questa prospettiva ci sentiamo all’interno di un progetto scritto nella natura che doveva portare a noi.
L’universo antropico non è condiviso da molti scienziati, ma è certo meglio della prospettiva del caso, che porta a far a meno di Dio, e quella del creazionismo, che lo rende troppo invadente. Però mi lascia alcune perplessità. Non pensa sia presuntuoso ritenerci l’ultimo livello di ordine dell’Energia del cosmo? Non potremmo anche noi, con la nostra spiritualità, le nostre emozioni e quanto di più nobile ci caratterizza, essere solo all’inizio di ciò che l’Energia, o la Materia in movimento possono fare? Per lei la “quinta discontinuità” sarà l’ultima, il Paradiso. Ma come si fa a dirlo? Il Paradiso potrebbe essere la centesima discontinuità, non la quinta.

Salvezza o Redenzione
Nel capitolo sulla salvezza dell’anima comincio a perderla. Ho trovato molto interessante la distinzione tra salvezza e redenzione. Non riesco però a condividere le conclusioni a cui lei arriva. Per lei, se non sbaglio, la redenzione rispecchia l’immagine di un Dio che fa per l’uomo, che interviene nella storia tradendo le leggi della fisica. Io invece credo che proprio nell’idea di redenzione stia la bellezza del Cristianesimo e che essa non porti ad un disimpegno del cristiano, ma anzi al suo esatto contrario. E credo che anche Bonhoeffer intendesse la “Grazia a caro prezzo” (Sequela, Queriniana) in questo modo. E’ in virtù del riscatto che Dio ha operato su di noi tramite Gesù Cristo che noi possiamo risollevarci, e tale riscatto è come dice lei, unilaterale, immeritato e gratuito.
Il Peccato Originale mi ha sempre lasciato perplesso, perché così come è formulato sembra dire che tutti nasciamo come mele bacate, e questo sinceramente fa un po’ a pugni con l’idea del Dio Creatore che quando fece l’uomo vide che “era cosa molto buona” (Gen. 1,31).
Però anche le sue conclusioni mi lasciano perplesso. Un conto è rivedere tale dottrina in consonanza con le conoscenze biologiche attuali, altra questione è negarla di sanapianta. Io le ripeto, credo che l’uomo abbia bisogno di redenzione, e che le sue buone azioni, i suoi eventuali meriti, vengano solo dopo tale atto salvifico, come frutto.
Noi amiamo perché Egli ci ha amato per primo” (1Giovanni 4,19). Questa cosa secondo me sta a fondamento della verità cristiana, e senza di essa io non mi ritengo più cristiano. Anche perché in questo modo l’uomo non è affatto una “marionetta” senza libertà (pg. 164), ma vive reagendo ad un dono inaspettato e gratuito. In questo modo inoltre non c’è bisogno di scomodare quella “simbiosi” capace di trascinare l’anima di un handicappato grave da una discontinuità all’altra; cosa, mi consenta, alquanto cervellotica e poco convincente. Ho conosciuto handicappati che almeno apparentemente non sono cambiati di una virgola dopo anni di buon accudimento e di progetti educativi mirati ad hoc. Persone che si ritrovano menomate nella coscienza di sé stessi, private di ciò che secondo noi le fa “umane”, senza alcun miglioramento visibile neppure con tutta la simbiosi del mondo. Con quelli che facciamo? Non è forse più corretto dire che Dio li ha redenti esattamente come ha redento me, ma che lo capiranno solo nell’al di là? Ed il rapporto tra loro e me, che ho avuto dalla natura molto di più in termini di salute, intelligenza, possibilità… non è una parabola, un sacramento, vorrei dire, del rapporto tra Cristo e me?
Io concordo sul fatto che la dottrina sul Peccato Originale vada rivista, perché nei termini attuali “è un’offesa alla creazione” (pg. 167), ma allo stesso tempo vorrei salvare il fatto che l’uomo ha bisogno di redenzione. Se vogliamo non subito, non alla nascita: ma prima o poi tutti sperimentano la propria insufficienza, il bisogno di un amore, un riscatto sicuri, definitivi e trascendenti. E quella di parlare del “peccato del mondo” al posto del peccato originale mi sembra solo un escamotage, un modo per spostare il problema senza risolverlo. Lei stesso dice, lasciandomi con qualche punto interrogativo, che il mondo non è male in sé, ma è comunque prigioniero… (pag. 171).

Conclusione
La mia impressione generale è che con il suo libro lei abbia volato molto alto. Con questa Chiesa voi teologi siete sempre nel mirino e sarebbe già molto azzardato mettere in discussione anche un solo punto non strettamente dogmatico. Lei ha messo in discussione praticamente tutto, hai inteso “rifondare” la fede, e questo anche agli occhi di molti cattolici la squalifica, la mette fuori gioco all’istante. E’ un peccato, perché dice cose molto interessanti, scrive in modo semplice di argomenti difficili e mostra contraddizioni e tabù razionali con la lucidità ed il rispetto di un teologo che ama ciò che studia e la Chiesa che lo ha generato alla fede. Chiaro che finchè certe cose le dice solo Odifreddi non andiamo da nessuna parte. Ci vuole gente come lei. Ma senza mettere troppa carne al fuoco, e senza la pretesa di rovesciare tutto.
In generale approvo le sue critiche alla dogmatica vigente perché porta motivazioni razionali, fondate sulle conoscenze scientifiche più recenti, che spesso mi convincono. La seguo meno nella fase propositiva, quando spiega come sarà il Paradiso, o la funzione del Principio Ordinatore o come Dio sarà tutto in tutti.
Con questo le rinnovo però tutta la mia riconoscenza e ammirazione, per gli stimoli che ci offre e per il coraggio di scrivere un libro simile. Ci fossero più tentativi di questo genere, forse i cattolici rifletterebbero un po’ di più sulle parole del Credo, e magari anche sullo spessore della loro vita cristiana.