domenica 25 aprile 2010

Testimoni digitali


Il papa ieri ha parlato di internet ad un Convegno organizzato a Roma dalla CEI sulla presenza dei cattolici in rete.
Il suo intervento si può scaricare sul sito del convegno www.testimonidigitali.it
Non è la prima volta che un papa parla di internet e non intendo commentare per l'ennesima volta né l'idea del Vaticano sul fenomeno internet, né questo specifico intervento nel suo complesso.
Riprendo solo un paio di passaggi sui quali non mi trovo d'accordo e per una riflessione più approfondita rimando alla pagina “Una fede reticolare” del 24/01/10 su questo blog.

Dunque, questo è il primo passaggio:
1.Il papa elenca brevemente le opportunità ed i rischi offerti dalla rete, e dice “Aumentano i pericoli di omologazione e di controllo, di relativismo intellettuale e morale, già ben riconoscibili nella flessione dello spirito critico, nella verità ridotta al gioco delle opinioni, nelle molteplici forme di degrado e di umiliazione dell’intimità della persona”.
Temo che cose troppo diverse siano state messe nello stesso calderone. Se si parla di un rischio di “controllo” siamo tutti d'accordo e mi pare si stia lavorando per una navigazione più sicura. Si può condividere pure il fatto che internet favorisca il “relativismo intellettuale e morale”, il “gioco delle opinioni”, per non dire che scopriamo l'acqua calda quando si favoriscono “molteplici forme di degrado e di umiliazione dell'intimità della persona”. Bisognerebbe però ribattere al pontefice che forse non è così negativo il fatto che le persone si confrontino, anche se questo può significare correre il rischio che le idee finiscano tutte sullo stesso piano. In fondo è da un pezzo che siamo diventati relativisti e la rete non fa altro che offrire alle persone che vogliono la possibilità di rendere pubblica la propria idea. Il relativismo, d'altra parte, lo combatti con la forza delle idee e non limitando le fonti di informazione e di espressione. Dire che esprimere la propria opinione è una sorta di “gioco” al quale il web si presta, non è proprio molto corretto. E' vero, molti giocano sui social network al “secondo me...”, ma in un'ottica di formazione verso l'autonomia questo passaggio è necessario. Occorre educare ad esprimersi perché la verità non cala dall'alto dentro noi come fossimo un vaso vuoto da riempire. Se poi qualcuno si allontanerà dagli oratori per aver letto qualcosa su internet contro la chiesa non dobbiamo viverlo come un problema. Le persone vanno e vengono, riflettono, cambiano idea, maturano, e questo è NORMALE, e fa bene ai singoli, come anche alla chiesa. Se restano meno persone nel mondo cattolico, ma più convinte, siamo sicuri di averci rimesso?
Siamo passati, d'altra parte, per l'epoca dei pensieri forti. Abbiamo visto cosa hanno fatto comunisti e fascisti al governo. Abbiamo visto pure la chiesa al tempo del Sacro Romano Impero, e si è visto che non funziona.
Nel calderone dei pericoli Ratzinger mette anche il rischio di “omologazione” e di una “flessione dello spirito critico”. Penso che se il rischio del relativismo è reale, quello della omologazione, cioè del contrario del moltiplicarsi di opinioni e di idee, non c'è, anzi è proprio combattuto. Certo le menti più deboli possono omologarsi e ritrovarsi sotto un sapere prepotente anche su internet, ma questo non è un problema della rete, è un problema delle persone. Anche le autostrade uccidono, anche i treni e gli aerei. Che facciamo, ne vietiamo la produzione? Internet è un autostrada nuova. Va dotata di tutti gli accorgimenti utili perché ladri e malati mentali possano essere fermati prima di fare dei danni, ma non la si può fermare. Se qualcuno attraverso internet, poi, si “omologherà” a certi giudizi preconcetti, significa che non sa usare la rete. Resta comunque molto più omologante la tv o la singola rivista, dove il sapere è unidirezionale e la possibilità di trovare l'opinione opposta è più difficile da raggiungere rispetto ad una navigazione in rete. La rete aiuta a rivitalizzarlo, lo spirito critico, non a spegnerlo. E' la Tv che spegne lo spirito critico, casomai. Guardiamo solo a come si sono ridotti i telegiornali delle principali reti televisive. Uno la fotocopia dell'altro, a caccia della notizia che fa ascolto più che della notizia in sè. E nel pieno ossequio verso la classe dirigente.
Anche il fenomeno delle conversioni improvvise spiattellate in Tv con una certa abbondanza è un fenomeno in crescita che personalmente mi preoccupa un bel pò. Perchè solo un idea di fede viene data, sempre condita di protagonismo, di eventi paranormali, guarigioni, visioni, vita ascetica raccontata nei minimi particolari, affinchè contrariamente al precetto evangelico la propria sinistra sappia veramente ogni particolare di ciò che fa la propria destra.
"I nuovi convertiti spopolano sulle riviste con la loro fede nuova di pacca o portano in libreria titoli sobri come "Grazie Gesù", "Ad un passo dal baratro", finendo regolarmente in classifica. Paolo Brosio che va a Medugorje, Claudia Koll che invoca Padre Pio, Magdi Cristiano Allam che si fa battezzare da papa Ratzinger, Giovanni Lindo Ferretti che si ispira ai mistici medievali... le cadute di cavallo sulla via di Damasco non si contano più e siamo circondati da un nugolo di nuovi fedeli sempre più indiscreti su quello che dovrebbe essere il più intimo dei misteri. Parallelamente la televisione si è resa conto che il romanzo spirituale tira quanto e più di quello criminale e la conseguenza è stata che le produzioni di fiction dedicate alle vite dei santi si sono moltiplicate a ritmo vorticoso. (...) hanno storie da fiction (...) la loro è la nuova santità del fare, quella che alza l'audience, commuove casalinghe sui divani e sdogana la professione di fede dall'area degli argomenti tabù alla ribalta della Tv". Michela Murgia, Ave Mary, Einaudi 2011.
La televisione, per come è fatta, è portata a presentare la fede in un certo modo, e bisogna saperlo.
La rete ha molte più voci, e più deboli, certo. Vi si trova di tutto, dalle perle alle schifezze, è vero, ma questo ci spinge a cercare le notizie, le persone, i dibattiti, a non accontentarci di ciò che abbiamo trovato, a criticarlo, anche intervenendo direttamente. Cercare implica un movimento cerebrale attivo, ricerca di nomi, di parole chiave, cosa molto più attiva del semplice zapping che ci offre il telecomando sul divano. Chi naviga può omologarsi, ma è spinto dalla rete ad intervenire e a cercare altre voci, approfondimenti, cosa che non si può fare con i media classici.

Passiamo al secondo concetto che non mi convince.
2.Il papa dice “I media possono diventare fattori di umanizzazione. (…)” Ciò richiede che "...siano espressamente animati dalla carità...” L'espressione è ripresa dalla Caritas in Veritate, ai papi infatti, piace citare se stessi.
Ora, dire che internet, come gli altri media, sia animato dalla carità, non è retorico? A che serve? Sembrerò prevenuto e fin troppo pignolo, ma questo linguaggio mi ha stancato: che esso venga da un pontefice, o da un presidente del consiglio o da un conduttore televisivo (Scotti, la Ventura...), io vorrei più rispetto per la parola “amore”, perché è troppo importante. Rispetto significa anche non usarla in modo moralistico. Tutto deve essere animato dalla carità, per un cristiano, ovviamente anche l'uso di internet. C'è bisogno di ripeterlo? Se un papa si esprime su internet deve dire questo?
La carità è il fondamento della nostra fede. E' la cosa che va meno detta e più fatta. Si trasmette facendola, non dicendola, e tantomeno dicendola con il verbo rafforzativo “dovere” davanti.
Io mi aspetto che un pontefice favorisca l'accesso a internet dei cattolici, e lo ha fatto, mi aspetto che lo veda come uno strumento per annunciare il vangelo, e lo ha fatto. Ma poi mi aspetto anche qualcosa di più, un piccolo passo in avanti. Un ragionamento sullo strumento internet, sulle provocazioni che lancia alla chiesa come metodo, come modo di comunicare “reticolare”. Mi aspetto una chiesa che di fronte a internet accetta di discutere, accetta il rischio del relativismo, scende sul piano dello scambio di opinioni e si gioca sulla forza delle sue convinzioni.
Dire che dobbiamo essere animati dalla carità che significa? Io critico spesso questo papa, e credo di essere animato dalla carità. Ma qui non è in gioco la carità, quella me la gioco con i “volti”, come dice anche il papa, con le persone che incontro in carne ed ossa. Questo “internet” è un gigantesco forum dove si incontrano le idee, le riflessioni, le nostre ragioni. Non la carità. La chiesa è pronta a immettere la sua “notizia” nella rete? Ha senso “annunciare” in rete? In rete, nel 2010, si può annunciare qualcosa senza ricevere a nostra volta un annuncio, senza ascoltare l'annuncio della terra?
Questo mi aspetto dal mondo cattolico, e non solo dal papa. L'invito ad essere animati dalla carità è un invito vago, che detto così non significa niente. Facciamo lo sforzo di fare un passo in avanti.

sabato 24 aprile 2010

Credenti, non creduloni

Riporto questa riflessione non perchè la condivida in pieno, ma perchè pone domande serie che aiutano ad approfondire una fede troppo spesso basata sul sentito dire e su una fiducia incondizionata a persone umane, e quindi pienamente fallibili.

di Jacques Noyer in “www.temoignagechretien.fr” del 23 aprile 2010 titolo "Bisogna credere alla Risurrezione?"(traduzione: www.finesettimana.org)

Sembra che molti cristiani non credano alla Resurrezione di Gesù. Com'è possibile?
L'apostolo Tommaso è stato uno di quelli. Con disprezzo, viene chiamato l'incredulo. Per una volta che uno resiste ad un “sentito dire”, bisogna rimproverarglielo? Bisogna credere a tutto quello che viene detto? E la resurrezione di Gesù, è forse una cosa diversa da un “sentito dire”? Delle persone dicono di aver visto. Altre persone hanno visto delle persone che hanno visto. Ogni evangelista presenta una raccolta personale delle voci che si diffondono al riguardo, tutte più o meno strane.
Quelli che hanno visto non fanno vedere a quelli che non hanno visto. Bisogna credere sulla parola.
È sufficiente un gran numero di creduloni per per trasformare una voce in una verità? È questo credere? Se la Chiesa è soltanto il club dei creduloni e degli ingenui, come può far venir voglia di unirsi a lei?
Io temo che troppo spesso le cose siano state presentate così o siano state capite così. Quando mi si parla della fede degli Apostoli, rischio di intendere: bisogna aver fiducia di quelle brave persone.
Quando mi si parla della fede della Chiesa, rischio di intendere che bisogna credere al signor parroco. Quello che viene definito “credere alla Resurrezione” diventa credere a delle brave persone che ci riferiscono delle narrazioni. Malgrado tutta la simpatia che posso avere per loro, ho ben il diritto di fare le mie riserve, no?
Il sistema del “sentito dire” ha potuto funzionare finché il clero ha potuto far credere che le brave persone non erano capaci di pensare con la propria testa. Non avevano nemmeno accesso diretto alle sacre scritture. I credenti erano anche dei creduloni. Oggi non è possibile restare in questa confusione tra l'evangelo di Gesù Cristo e i “sentito dire” che si sono diffusi dopo la sua morte, tra la fede nella sua missione e la credulità in aneddoti meravigliosi.
Del resto, se si vuole essere precisi, nessuno ha creduto alla resurrezione di Gesù. Quella di Lazzaro aveva avuto un'altra evidenza. Si è usata quella parola, in mancanza di qualcosa di meglio. Gli apostoli dopo la morte di Gesù hanno capito che la sua impresa non era compiuta, che la sua missione continuava, che la sua Parola manteneva la sua potenza, che la sua presenza aveva cambiato evidenza. Essere credente non era essere creduloni, ma mantenere la fede in colui che li aveva commossi, cambiati, mobilitati, trasformati. Per un istante, la croce li aveva sconvolti. Quella domenica mattina riprendevano fiducia. Era la loro fede che era resuscitata. Nata nell'incontro di Gesù, la fede faceva dire loro: è ancora vivo!
Si può credere che il mondo sarebbe diventato cristiano con quella rapidità semplicemente perché un uomo era uscito dalla tomba? Ma di storie così, se ne raccontavano tutti i giorni e di più straordinarie. Credere in Gesù, significava accogliere un nuovo volto di Dio, un Dio che non stava dalla parte dei ricchi, dei re e dei preti, un Dio che non preferiva l'uno o l'altro, un Dio che non fissava le vite in un giudizio definitivo, un Dio che non chiamava alla violenza ma al perdono, un
Dio che amava come un Padre e invitava ad amarci gli uni gli altri.
Tutto quello che racconta la Chiesa, tutto quello che dice, tutto quello che fa ha l'unico scopo di aprire il cuore degli uomini a quella fede. È certo che tutti i miracoli che si raccontano sulla sua nascita e sulla sua morte abbiano potuto o possano ancora aiutare molti ad entrarci. Era l'intenzione esplicita di Giovanni evangelista. Ma oggi, presentare quelle “verità” come il contenuto della fede
crea per qualcuno delle difficoltà invece di essere un aiuto. Permettiamo loro di essere credenti senza essere creduloni!