domenica 22 agosto 2010

Le parole ed i fatti

Da quando ho letto l'articolo di Massimo Giannini giovedì scorso 19 agosto ( cerca su www.repubblica.it ) non ho potuto smettere di pensarci. Ho provato a fare altro e a concentrarmi sul mio lavoro, ma dato che in questi giorni esso consiste proprio nella stesura del nuovo libro che a breve dovrei consegnare alla Mondadori, mi è sempre risultato impossibile distogliere dalla mente i pensieri abbastanza cupi che vi si affacciavano. La domanda era sempre quella: come posso adesso, se quello che scrive Giannini corrisponde al vero, continuare a pubblicare con la Mondadori e rimanere a posto con la mia
coscienza? Come posso fondare il mio pensiero sul bene e sulla giustizia, e poi contribuire al programma editoriale di un'azienda che a quanto pare, godendo di favori parlamentari ed extraparlamentari, pagherebbe al fisco solo una minima parte (8,6 milioni versati) di un antico ed enorme debito (350 milioni dovuti)? Come posso fare dell'etica la stella polare della mia teologia e poi pubblicare i miei libri con un'azienda che non solo dell'etica ma anche del diritto mostrerebbe, in questo caso, una concezione alquanto singolare?
(...)
Leggendo ho appreso che non si tratta più di accettare una proprietà che può piacere oppure no ma che non ha nulla a che fare con le scelte editoriali, cioè con l'azienda nella sua essenza. Stavolta è la Mondadori in quanto tale a essere coinvolta, non solo il suo proprietario per i soliti motivi che non hanno nulla a che fare con l'editoria libraria. Quindi stavolta come autore non posso più dire a me stesso che l'editrice in quanto tale non c'entra nulla con gli affari politici e giudiziari del suo proprietario, perché ora l'editrice c'entra, eccome se c'entra, se è vero che di 350 milioni dovuti al fisco ne viene a pagare solo 8,6 dopo quasi vent'anni, e senza neppure un euro di interesse per il ritardo, interessi che invece a un normale
cittadino nessuno defalca se non paga nei tempi dovuti il bollo auto, il canone tv o uno degli altri bollettini a tutti noti.
Eccomi quindi qui con la coscienza in tempesta: da un lato il poter far parte di un programma editoriale di prima qualità venendo anche ben retribuito, dall'altro il non voler avere nulla a che fare con chi speculerebbe sugli appoggi politici di cui gode. Da un lato un debito di riconoscenza per l'editrice che ha avuto fiducia in me quando ero sconosciuto, dall'altro il dovere civico di contrastare un'inedita legge ad aziendam che si sommerebbe alle 36 leggi ad personam già confezionate per l'attuale primo ministro (...). A tutto questo si aggiunge lo stupore per il fatto che il Corriere della Sera, gruppo Rizzoli principale concorrente Mondadori, finora abbia dedicato una notizia di poche righe alla questione: come mai?
Nella mia incertezza ho deciso di scrivere questo articolo. Spero infatti che a seguito di esso qualcuno tra i dirigenti della Mondadori possa spiegare pubblicamente cosa c'è che non va nell'articolo di Giannini, perché e in che cosa esagera e non corrisponde a verità. Io sarei il primo a gioirne. Spero inoltre che anche altri autori Mondadori che scrivono su questo giornale possano dire come la pensano e cosa rispondono alla loro coscienza. Sto parlando di firme come Corrado Augias, Pietro Citati, Federico Rampini, Roberto Saviano, Nadia Fusini, Piergiorgio Odifreddi, Michela Marzano... Se poi allarghiamo il tiro alle editrici controllate interamente dalla Mondadori (il che, in questo caso, mi pare oggettivamente doveroso) arriviamo all'Einaudi e a nomi come Eugenio Scalfari, Gustavo Zagrebelsky, Adriano Prosperi... Sono tutte personalità di grande spessore e per questo sarei loro riconoscente se contribuissero a risolvere qualcuno dei dubbi sollevati da questa inedita legge ad aziendam nella coscienza di un autore del Gruppo Mondadori.


Questo articolo (scaricalo integralmente su http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201008/100821mancuso.pdf ) di Vito Mancuso pubblicato da la Repubblica il 21 agosto 2010 mi ha colpito particolarmente. Mancuso mi piace sempre più per quello che dice, certo, perchè le sue argomentazioni mi sembrano nuove e coraggiose, ma anche per quel che fa. Quando quello che dici influisce su quello che fai allora non son più parole, non sono più ideologie, ma verità.
Mi colpisce, nell'era di internet, una nuova forma di censura, uguale ed opposta a quella antica: l'esubero di informazioni, la tracotanza, l'accumulo, il bombardamento di notizie messe tutte sullo stesso piano, dal gossip alla mafia. E in questa mia epoca è facile dire una cosa e farne un altra. Facilissimo. Tutti scrivono di tutto, pochi leggono. Nessuno è razzista, tutti vogliono la pace, l'amore, la giustizia, salvo poi fare delle piccole, insignificanti eccezioni quando tocca a noi guardare con disprezzo un nero, un gay, fare dispetti al vicino di casa, buttare un matrimonio perchè tua moglie non è più bella come vent'anni fa, giurare il falso per evitare una multa...
In questo mondo per non far sapere una cosa non si usa più la censura, ma si rovescia sopra quella notizia una mare di altre notizie, facendola diventare una goccia nell'oceano. E chi fa questo gioco sporco deve fare i conti solo con la propria coscienza. Per questo mi piace l'articolo di Mancuso, perchè se se ne stava zitto poteva pubblicare tranquillamente il suo libro e nessuno gli avrebbe detto niente, e se qualcuno gli avesse obiettato qualcosa avrebbe comunque potuto dire "non sapevo", infatti, in un mare di notizie è difficile conoscere quella che ti riguarda.
Mi piace perchè sta "facendo" quello che dice nei suoi libri, e questo è più evangelico di tanti proclami religiosi scontati e inattesi.
Ah, dimenticavo. Se Mondadori non paga fino all'ultima lira quel che deve, io non comprerò più un libro, nè una rivista pubblicata da lor signori.