lunedì 29 luglio 2013

In viaggio alla ricerca di sè



Il viaggio più affascinante, più lungo, più bello e insidioso allo stesso tempo, non è quello che ci porta a fare il giro della terra, e neppure, se fosse possibile, per pianeti, stelle e galassie. Ogni luogo fisico nella sua unicità non potrebbe far altro che dirci “tu rimani sempre tu, non sono io che ti cambio”. E' un altro il viaggio che volenti o nolenti tutti stiamo compiendo, quello che dura una vita intera, è il viaggio alla ricerca del proprio sé.
In questa pagina voglio condividere questa consapevolezza, antica per certi versi, ma anche sconvolgentemente nuova.

I pensieri creano la realtà
I nostri pensieri sono un atto creativo. Non si tratta di uno slogan d’effetto, ma di un dato di fatto che possiamo usare a nostro beneficio.
Magari fosse vero, mi sono detto all'inizio. Penso ad un mondo senza guerre, senza problemi economici, senza farabutti al governo, senza cataclismi... un mondo dove poter vivere serenamente e a lungo. Lo penso, ma la realtà continua ad essere un altra. La mia ragionevolezza, il mio saper stare con i piedi per terra mi porta a sorridere di fronte ad affermazioni simili. Basta poco per giudicare come fantasticheria il mio pensiero “sognante”. Il mio realismo, o pessimismo che dir si voglia, è frutto di una logica ferrea, che se da una parte smaschera tutti gli adulatori e falsi venditori di paradisi ultraterreni, dall'altra lascia l'amarezza ed impotenza di fronte ad un mondo che sembra indifferente alla nostra singola presenza, un mondo che piuttosto sembra andare per la sua strada indipendentemente dal fatto che da qualche parte ci siamo individualmente anche noi e che nel nostro piccolo cerchiamo magari, di fare qualcosa per cambiarlo.
Alla fin fine, insomma, la sola razionalità logica non porta a casa il risultato. Ipotizziamo allora che davvero i nostri pensieri possano modificare la realtà. Attenzione, non in senso “magico”, cioè penso ad un asino che vola e quello – tac- vola. Diciamo piuttosto che tutto ciò che esiste è collegato, connesso in qualche modo a tutto il resto, e ogni evento, per quanto piccolo e silenzioso, influisce sul tutto, come anche viceversa.
In fondo se, ad esempio, la logica (o la paura) ci porta a pensare che le guerre ci saranno sempre perché sempre ci sono state, non facciamo altro che pensare ad un futuro di guerre, nostro malgrado, e questo puntualmente si realizzerà. Non importa da dove sia nato il nostro ragionamento, di fatto la convinzione di avere altre guerre produrrà il suo risultato. A ben vedere i nostri pensieri attirano la realtà che pensano e allo stesso tempo sono figli del nostro istinto di sopravvivenza, il quale di fronte al pericolo agisce in base alla paura. Ma a lungo andare i nostri pensieri sono anche ripetitivi, e si affidano alla paura anche quando il pericolo è cessato, non si rendono conto del loro potere creativo e conseguentemente non arrivano mai al livello più profondo di scelta dei pensieri a cui dare priorità.
E' tardo pomeriggio e sto tornando a casa, mentre guido penso spontaneamente a qualche difficile situazione legata al lavoro e la giudico in un modo o nell'altro ritenendo di essere pienamente libero e indipendente in questo mio “film” interiore. In realtà non considero che potrei scegliere di pensare ad altro e seguo un impulso prepotente che mi dice, “adesso pensi a questo, e vi pensi in questo modo!”. Il pensiero, tornando a casa, mi sembra libero, credo di aver tutto il diritto nel silenzio della mia auto di poter pensare a quello che voglio, senza le inibizioni che hanno frenato le mie parole ed il mio comportamento fino ad ora. In realtà non faccio caso al fatto che ciò che chiamo libertà è in realtà un puro e semplice lasciare al caso e all'istinto il vagare dei miei pensieri. Lasciare circolare emozioni negative in balia del caso non è mai un buon segno di libertà. Non vi è libertà nella sofferenza, ma sempre la ripetizione di esperienze negative pregresse. Chiamiamo libertà la scelta meno faticosa. Siccome diamo per scontato che il pensiero non influisca sulla realtà e rimanga silente al nostro interno, lo lasciamo scorrere dove vuole, come vuole, associando ad ogni pensiero le emozioni che il nostro inconscio impone.
I pensieri in questo modo diventano il luogo dello sfogo, in cui lamentarci per tutto quello di cui non ci siamo potuti lamentare prima, e così pure sono il luogo del pianto, del giudizio, del mandare qualcuno a quel paese. Così facendo rafforziamo alcuni nostri determinati atteggiamenti fondati su questi ragionamenti che domani, al ripresentarsi delle medesime persone e contesti arriveranno a destinazione anche senza rendercene minimamente conto, contribuendo a riconfermare e consolidare la realtà deludente del giorno prima. I pensieri infatti ci predispongono ad aspettarci una certa realtà, nel bene o nel male, e questa realtà, alimentata da paura o amore, rifiuto o accoglienza, giudizio o ascolto, tenderà con il tempo a realizzarsi.
Se questo è vero significa che abbiamo un grande potere in noi. Significa che il nostro pensiero è potente e che può cambiare le cose. E non solo in peggio.

Cambiare noi prima di cambiare il mondo
Vi è un errore che è possibile fare a questo punto. Calcolare cioè a tavolino il cambiamento della realtà. Io comincio ad amare, ad accogliere e ad ascoltare così le cose cambieranno in meglio. Non si può amare, accogliere o ascoltare veramente se lo si fa con un doppio fine, fosse anche quello encomiabile di cambiare in meglio il mondo. Non posso amare una persona per cambiare il mondo: la amo per sé stessa, e gratuitamente, senza aspettative. A ben vedere ancor più del pensiero è l’emozione ad esso associata, che cambia il mondo. Se amo per cambiare l’umanità, il mio più profondo pensiero è “io sono il salvatore del mondo”, non è l’amore. Tenderò a realizzare non l’amore, ma il mio senso di onnipotenza, scontrandomi con altri onnipotenti come me.
L'amore, l'accoglienza e l'ascolto veri presuppongono disinteresse e purezza assoluta. Dunque il meccanismo che porta al cambiamento va rovesciato. Lo descriverei in questo modo: io sto bene, sperimento pace interiore, mi sento amato integralmente e a prescindere dagli errori del passato, e per questo mi diventa spontaneo, senza sforzi di volontà, amare, accogliere ed ascoltare. Di certo questo mio modo di rapportarmi produrrà dei cambiamenti, ma non so quali e soprattutto non me ne importa. Perchè ciò che conta sta all'inizio, nella premessa: io sto bene.
Più sono neutro, più sono qui e non altrove, e più succederà qualcosa di grande ed imprevedibile.
Ma come si fa a stare bene qui ed ora? Soprattutto, come si fa a farsi andare bene una realtà di traffico, urla, minacce, incertezze, che è sotto gli occhi di tutti, è un dato di fatto, e sarebbe stupido fingere di non vedere?
Nella mia esperienza a questo punto entra in gioco la dimensione spirituale. Ogni bambino impara ad amare se incontra amore, non ci sono alternative. Ma chi ama l'adulto? L'adulto, per quel che ho sperimentato, può trovare una fonte d'amore interminabile solo dentro di sé. Nella propria interiorità vi è un luogo silenzioso ed accogliente dove solo noi possiamo andare, e se riusciamo a fare questo, spostando tutto ciò che la nostra storia ha messo in mezzo tra noi e quella porta, troviamo amore. Possiamo chiamarla Energia, Dio, Spirito, come vogliamo, ciò che importa è che ogni uomo può sperimentare di essere amato semplicemente guardandosi dentro. Può sembrare semplicistico o spiritualistico, perché qui le parole si fermano, la logica depone le armi e conta solo l'esperienza. Molti dicono di aver fatto questa esperienza, ma sono molti di più quelli che non l’hanno ancora fatta.
L'esperienza della chiesa primitiva è questa. Alcuni uomini, incuranti delle conseguenze a cui sarebbero andati incontro, prima di soffermarsi in calcoli e progetti a lungo termine, esplodono in un grido irrazionale che annuncia l'amore di Dio per l'umanità.
Il mio percorso arriva alla fede in Dio, non mi è possibile sentire diversamente, ma so che tante persone arrivano alla pace interiore anche senza una fede esplicita. Non voglio più che questo sia un problema tra me e le persone che incontro. Sono fermamente convinto che quello che conta, anche per Dio stesso, sia il risultato e non il modo al quale vi arriviamo. Dio non ha bisogno di noi, né del nostro assenso razionale alla sua esistenza: siamo noi eventualmente, ad avere bisogno di Lui.
I pensieri cambiano la realtà a partire dalla più importante: noi stessi, come ci sentiamo, come ci percepiamo e ci giudichiamo. E' chiaro che per sperimentare questo potere occorre da qualche parte “provare”. Devo trovare un campo della mia vita in cui le cose non vanno esattamente come vorrei e sentirmi in grado di pensare ad una alternativa come una cosa possibile. Va bene anche una cosa piccola, purchè facciamo l'esperienza. Pensiamo a quel cambiamento, lo facciamo continuativamente, rompendo l'altro pensiero, quello che fino ad ora ci ha imposto di lasciare quella cosa così, “tanto non c'è niente da fare”, “tanto cosa vuoi che cambi”, “tanto non è importante”, “tanto ho altre cose più importanti da fare” … e altre scuse del genere.
Ad esempio, io anni fa avevo una piccola stanza che con il tempo era diventata uno sgabuzzo dove infilare caoticamente tutto ciò che non sapevo dove mettere o che non avevo il coraggio di buttare. Questa stanza con il tempo si era riempita, era diventato difficile accedervi e non sapevo più neanche cosa quei cassetti contenessero.  Certo se uno ha spazio non è un grosso problema tenere una stanzetta chiusa ed inutilizzata, ma la cosa in realtà cominciava a pesarmi, non mi piaceva. Mi sono accorto che era solo la mia testa a proibirmi di gestire diversamente quello spazio, nessun altro me lo imponeva dall'esterno. Io ero la causa del mio malessere nei confronti di quella confusione. Quel mobile non si butta, quell'anfora me l'hanno regalata, quel materasso può sempre servire... ogni oggetto aveva il suo lasciapassare, ma in un attimo tutti i lasciapassare sono scaduti! Ho chiamato un mercatino dell'usato e si sono portati via tutto. Già che c'ero ho dato loro anche libri, sedie, quadri e altro che affollava altre stanze. Mi sono ritrovato con una casa meno caotica ed una stanza sgombra, mi sono sentito soddisfatto, ho aperto quella finestra e ho respirato insieme alla stanza a pieni polmoni. Ho percepito il mio potere di cambiare le mie cose, soprattutto il potere di liberarmi da tante catene del passato che sopravvivevano nel mio cervello e immediatamente ho cominciato a pensare a come utilizzare in modo più creativo ed intelligente quella stanza.
Se questo è possibile nel piccolo, cosa succede se facciamo la stessa “pulizia” o chiarezza negli affetti, nel lavoro, nelle amicizie, nel legame con i parenti, con la casa, con la città in cui viviamo? E se non facciamo niente di tutto questo e all'interno però continuiamo a lamentarci, a sentirci vittime, sfortunati, ingiustamente colpiti, non stiamo in realtà colpevolmente alimentando e costruendo il nostro io infelice di domani?

Morire per rinascere
Quella stanza, con tutto ciò che gelosamente conservava, è dovuta morire per poter rinascere. Ora è diventata per me uno spazio per incontrare le persone e costruirmi un nuovo lavoro. Tante cose che prima la riempivano e mi supplicavano facendo appello ai miei sensi di colpa, - “non liberarti di noi!” - ora non ci sono più e non le ricordo neanche più. Sono uscite dalla stanza e sono uscite da me. E' come se una parte di me se ne fosse andata con i suoi ricordi e le sue nostalgie. E' come se quella parte fosse morta. Ma è morta per portare nuova vita. Abbiamo un idea sbagliata della morte. Ci spaventa come punto finale, mentre è la condizione indispensabile per ogni rinascita e svolta importante. La morte non è la fine di tutto, è un passaggio per lasciar andare il passato e preparare la strada a qualcosa di nuovo. Siamo attaccati alla vita come il marinaio alla nave che lentamente affonda. Stiamo aggrappati alla nave, alle cose del passato, come se questo attaccamento ci potesse aiutare a restare vivi un minuto in più. E invece magari, lasciando andare quella nave al suo destino, con le mani libere, potremmo  nuotare verso la salvezza.

Io sono responsabile
Per creare la realtà che desidera, il nostro pensiero si focalizza senza distrazioni sull'oggetto del desiderio, sceglie responsabilmente a quali pensieri dare spazio, è insomma consapevole di quanto gli accade e di come sta funzionando. La responsabilità e la consapevolezza sono strettamente interconnesse, l'una suscita l'altra, e senza l'una è difficile che l'altra sia presente.
Ripeto: quella di cui sto parlando non è magia. La magia disimpegna, delega, deresponsabilizza, è l'ammissione della propria impotenza di fronte a mutamenti che sono esclusivamente un capriccio di forze occulte. Invece quello di cui parlo richiede un impegno verso sé stessi e verso ciò che si desidera, che non ha precedenti.
Quando comprendiamo la capacità del nostro pensiero di cambiare la realtà, non possiamo non percepire anche tutta la responsabilità che questo potere comporta. Diventa tutto chiaro: giudicare ed incolpare fattori esterni è stato il modo più semplice per NON cambiare le cose, NON creare nulla che venga dal nostro cuore, e DARE POTERE a quei fattori esterni. Al contrario, se io posso cambiare le cose, io sono responsabile del fatto che esse cambino o meno.
Se ad esempio, mi piace fare sport e per un periodo non lo faccio, è ingannevole cercare scuse quali “ho avuto l'influenza”, “il tempo è stato brutto”, “ho avuto da fare”... no, io ho scelto di non farlo, o di fermarmi per un periodo, questa è la realtà. Non c'è nulla di male nel riconoscere la realtà, come anche nel fare una pausa “sportiva” se fisicamente stiamo accusando un po’ di stanchezza, invece il problema c'è quando la mia priorità è scaricare ogni responsabilità di quanto mi succede. La nostra mente sembra più preoccupata di assolvere sé stessa che dal fare i conti con la realtà.
Penso che gran parte dell'educazione che riceviamo porti con sé il messaggio che non siamo responsabili. Ci lamentiamo, ma pensiamo che il mondo è così come è perché chi ci ha preceduto l'ha fatto così, e noi non c'eravamo. I politici sono corrotti e ne fanno sotto i nostri occhi di tutti i colori, … ce ne lamentiamo, ma li lasciamo fare perché siamo irresponsabili e la nostra consapevolezza sociale finisce alla ringhiera del nostro giardino. Domani le cose andranno avanti come lo sono sempre andate, qualunque cosa io faccia nella vita. L'importante è pensare a sé stessi nel senso di guadagnare, divertirsi, non soffrire.
Anche da un punto di vista religioso, a ben pensarci, ci viene insegnata una fede che ben si sposa con questo senso di totale impotenza e disimpegno sociale. Fidati, ti dicono, fatti condurre dal Signore. E però questo Signore poi parla solo con libri e liturgie di mille anni fa, e non centra nulla con quanto grida il mio corpo ed il mio cuore di oggi. Se fidarsi significa affidarsi, lasciarsi condurre, non pretendere di avere tutto chiaro e sicuro in partenza, accettare il rischio, la possibilità di cadere, di sbagliare... è un conto; ma se invece significa spegnere mente, cuore ed istinto perché qualche Ente divino ne sa più di me... mi chiedo perchè mi abbia dato certe facoltà se poi me le doveva togliere.
Essere responsabili insomma non è solo una sfida personale, contro la mia abitudine a lamentarmi e a trovare colpevoli esterni per ogni cosa che non va; è anche una vera sfida culturale e spirituale, che mette in discussione il messaggio profondo che a casa, a scuola e in chiesa si trasmette alle nuove generazioni, le quali necessitano di libertà di movimento e senso di responsabilità più che di fede nelle convinzioni di chi li ha preceduti.

Livello di consapevolezza
Determinare responsabilmente il proprio pensiero e la propria vita porta con sé l'abilità di diventare presenti a sè stessi. Cioè essere qui ed ora.
Tutti pensiamo di essere qui ed ora, non sembra così difficile. E invece se ci facciamo attenzione siamo spesso con la testa da un altra parte, a rivivere un altro momento.
Essere presenti implica un aumento della capacità di “sentirsi” senza dare a nient'altro il potere di distrarci da questo. Io qui e ora mi ascolto nel senso che sono presente a quanto succede nel mio corpo, a quanto sta accadendo di fatto ora, attorno a me, e alle emozioni che sto vivendo.
Essere consapevoli del proprio corpo significa educarsi ad un ascolto nuovo. Sentire e accogliere i segnali del nostro corpo, sentire dove si posiziona l'ansia, la rabbia, l'amarezza e cosa succede in  quelle stesse zone, quando un'emozione arriva o se ne va. L'ascolto poi porta a fare qualcosa per lui,   ed a rispondere ai suoi segnali. Sentire il proprio corpo significa anche godere della sua salute.
La consapevolezza ha a che fare con il nostro rapporto con il tempo. Senza di essa siamo nel passato o nel futuro. Nelle emozioni radicate in qualche episodio passato, che filtrano e leggono in una determinata prospettiva anche il presente; oppure nelle emozioni che proiettiamo sul futuro, con le preoccupazioni e le incertezze che esso porta con sè distraendoci dal presente. La consapevolezza ci fa godere del presente, ci rende creativi verso esso, convoglia la nostra attenzione sul cosa posso fare qui e ora.
La consapevolezza ha a che fare con l'ascolto delle nostre emozioni. E' sul piano delle emozioni che ci giochiamo la qualità della vita, ed essere sintonizzati con esse è la scommessa decisiva. Dedichiamo tante energie al nostro portamento, all'abbigliamento, alla linea, alle parole che usiamo e pure alla mimica, alle espressioni facciali e ai messaggi non verbali. Ma in realtà la cosa più importante, alla quale dovremmo dare le prime e più fresche energie, è l'osservazione di come ci sentiamo. Ogni volta che incontriamo una persona o una situazione, o ci accade qualcosa... dedicare qualche istante per dare un nome all'emozione che sta emergendo in noi. Sapere cosa mi sta succedendo mi permette di guardare con un certo distacco a quello che provo. Mi permette di non essere in balia di quello che provo, di non temerlo, di non confondere tra me e quello che provo. Io non sono la mia emozione. La sento, la assaporo tutta, ma io non sono lei. Quello che provo non è sbagliato, non devo giudicarlo, condannarlo o lodarlo: devo solo sapere che in questo momento c'è. Lo vedo e lo accetto. Ne sono consapevole e ne sono responsabile. Se mi piace scelgo di dargli spazio, se non mi piace non cerco colpevoli e non spengo tutto fuggendo via. Cerco la causa di quella sofferenza e metto a fuoco i passi per non tornare in futuro a provare quell'emozione.
Le emozioni sono altamente contagiose, e si diffondono velocemente tanto più se chi le riceve non le sa riconoscere e non ha scudi protettivi. E' fuori da ogni dubbio che lasciata a sé stessa la critica produce critica, il giudizio produce giudizio, l'odio produce odio, l'amarezza produce amarezza. Sta a me essere connesso e presente a me stesso quando questi meccanismi si attivano e scegliere in tutta responsabilità se stare al gioco o no.

Benedizione continua
L'altro non è un pericolo, anche quando si comporta male. Possiamo sempre scegliere quali sentimenti provare per lui, consapevoli del fatto che il nostro pensiero crea la realtà stessa che benedice o maledice. Non è importante sapere cosa rispondere o cosa non dire, in situazioni critiche, ma guardare bene in faccia all'emozione che si fa largo in noi. Se potessimo trasformare tutti i colpi, le maledizioni, le parolacce che mandiamo ogni giorno alla gente in benedizioni, la nostra vita sarebbe la stessa? Io ci sto provando e devo dire che la vita non è la stessa. Pensavo che qualche “vaffa” mi aiutasse a scaricare e non facesse male a nessuno, poi ho scoperto che la benedizione mi fa sentire meglio e smorza anche gli atteggiamenti ostili degli altri. Non è facile, le ricadute sono tante, ma il principio è saldo e se ogni giorno riesco  a rimetterlo al centro, a fuoco, la benedizione diventerà il mio modo naturale di rapportarmi con il prossimo. Benedire e ringraziare sono atteggiamenti di fondo che con il tempo modellano il carattere. E non solo il mio.

La certezza del cambiamento
Di certo, non vi è ombra di dubbio, una persona responsabile e consapevole, che benedice e ringrazia in ogni situazione, cambierà la realtà che la circonda. Non per una sorta di evangelizzazione dottrinale, ma perché la sua stessa presenza risveglierà in altri la voglia di provare a seguirne i passi. Cambieranno le frequentazioni e le amicizie. Persone nuove si avvicineranno, altri si allontaneranno.
Il cambiamento non è semplicemente probabile o augurabile, è certo. Quando ancora non è avvenuto, la persona “presente” lo avverte perché viene da dentro e non dipende dall'esterno. Quando si è ben centrati si può aver fiducia nell'evoluzione degli avvenimenti senza conoscerli anticipatamente. Il cambiamento è certo. Quello che determina gli avvenimenti appare a questo punto perfino meno prioritario, ma comunque viene avvertito come si avverte l'arrivo del temporale, o del mattino. E' lì, dietro l'angolo, ineludibile, non mancherà di arrivare.
Prima, quando le emozioni erano in balia degli eventi, il cambiamento di quegli stessi avvenimenti - non di sé - era avvertito come urgente e necessario, e tardava a verificarsi nonostante sforzi e preghiere. Ora, che non è più necessario, perché il vero cambiamento è avvenuto in sé, arriverà anche quello degli eventi. Nel modo più inaspettato, magari, ma arriverà.
Vi è una profonda differenza tra lo sperare che le cose cambino e l'esserne certi. La speranza presuppone sempre il timore, ci lascia nell'ansia, la quale genera ansia. La certezza viene dall'aver compreso perché fino ad ora nulla è cambiato, né poteva cambiare. Ma ora, cambiato io, cambiata la mia relazione con l'esterno, anche l'esterno cambierà.

giovedì 25 luglio 2013

Sperimentare Dio

La tendenza a situare il concetto di Dio molto in alto nel contesto di una filosofia personale, è all'origine di tutto ciò che ci impedisce di fare l'esperienza di Dio. Perchè Dio non è in noi per essere adorato, o temuto, o anche compreso, ma piuttosto per essere sperimentato e conosciuto. Prendiamoci il tempo di assaporare la nostra connessione con l'eterno. E concediamoci il permesso di rinunciare al bisogno di comprendere l'insondabile, dandoci piuttosto la libertà di partecipare pienamente all'esperienza di esso.
Rasha, UNO, sperimentare l'unità di tutto ciò che è