venerdì 30 ottobre 2009

Ma CHI me lo fa fare?

L'incontro quotidiano con l'immaturità mi pone domande sulla percezione che la maggior parte degli esseri umani ha di sè stesso, e se per "maturità" si può intendere qualcosa di oggettivo e verificabile.
Quando l'uomo è maturo? Possiamo definire un uomo maturo quando ha una fede incrollabile? O quando ha un buon lavoro, una famiglia numerosa o un matrimonio duraturo? No. L'uomo è maturo quando raggiunge la pace dei sensi, e per così dire riesce a controllare ogni impulso naturale, dalla fame, al sesso, alle emozioni più istintive? Anche qui la risposta è no. Tutto questo, in sé, non ci da la certezza dello spessore umano che vi sta dietro.
Un uomo è maturo, penso io, quando diventa capace di fare qualcosa per un altro senza ricevere, né sperare di ricevere, il minimo contraccambio. Un uomo è maturo quando lascia spazio ad angoli di gratuità.
Fare qualcosa per il bene dell'altro senza prevedere alcun guadagno per me è la cosa più straordinaria che la vita mi propone. E' la cosa più assurda, stravolgente, ma allo stesso tempo anche più quotidiana e vicina che mi possa accadere.
Tutto il resto non dipende da me, cade dall'alto, oppure fa parte dei miei doveri, della mia professione o più subdolamente della mia “morale”.
Fare qualcosa perchè lo chiede la morale significa restare al livello dei comandamenti, dove l'idea di fondo resta: “meglio tenerselo buono, quello lassù”. Fare, invece, qualcosa che non mi è richiesto, sfugge dalla sfera del “mi conviene”, e anche da quella del “devi”, per aprirmi alla domanda vera, che apre alla maturità e a mio parere anche al divino, e cioè: “ma CHI me lo fa fare?” Questa domanda che può avere solo una risposta egoistica nell'adolescente ancora troppo concentrato su di sé, mette al muro la persona che sa di poter fare qualcosa di più, oltre al dovuto. Mette al muro l'adulto che, raggiunto il proprio equilibrio, la propria posizione sociale, i propri obiettivi affettivi e professionali, tocca con mano, se è onesto, che tutto questo non gli basta.
Non sai Chi te lo fa fare, ma in attesa di saperlo, puoi iniziare a farlo. Anche poco, pochissimo, purchè completamente gratuito, senza che ti possa tornare indietro il minimo grazie, compenso economico o affettivo. Fallo e poi vedi come ti senti, come questa cosa ti fa sentire. Vedrai anche cose strane accadere attorno a te. Qualcuno che ne approfitta, qualcuno che fraintende, molti che si ribelleranno perchè esci dal branco e si sentono giudicati, pochi che verranno a dirti un inutile ma sincero grazie.
Paradossalmente è proprio quello il momento in cui ti si spalanca davanti agli occhi il rovescio della medaglia: “Qualcuno ha fatto per me una vita, una storia, per la quale non so come ricambiare, posso solo sussurrare un inutile GRAZIE”.
Nella mia vita incontro tanta immaturità, ma non mi scandalizzo: essa è tanto diffusa che ormai la ritengo normale, in fondo è anche dentro di me, la capisco e non la giudico. Ma che bello quando quasi per caso vedi dei lampi di gratuità, che non hanno spiegazione e però danno vita ai sorrisi e ai rapporti più belli.

sabato 17 ottobre 2009

Verità fragili


E' tutto così fragile. Il lavoro, gli amici, la donna che ami: non c'è nulla di definitivo, di certo, scontato, duraturo. E così è per tutte le cose, anche la salute, la sicurezza per strada, il tempo che farà tra dieci minuti.
E mentre tutto parla di fragilità noi cerchiamo qualcosa di solido, ostinatamente, contro ogni evidenza. Ripetiamo i comportamenti che funzionano una prima volta, pensando che funzioneranno ancora, ci fidiamo della nostra esperienza come se fosse l'unica e indiscutibile fonte di verità.
La vita invece procede in nome della precarietà, a seconda di quel che viene fuori dal cappello del destino, ove dentro, mescolati, stanno condizione sociale, ambiente, epoca storica, geni, educazione familiare.
Ogni qual volta qualcuno grida una soluzione definitiva scuoto la testa: che si tratti di religione, di politica o semplicemente del segreto della felicità. Scuoto la testa perchè tutto è fragile, e noi, come bambini, ancora a correre dietro alle favole.
Tutto questo rinvigorisce in me la sete di Dio. Non come ennesima verità definitiva, ma come verità che non finirò mai di scoprire, come Interlocutore che mi parla coi fatti e spesso travolge le mie certezze. In definitiva come Assoluto che mi fa sperare in qualcosa di bello e perfetto che qui si intravvede, talvolta, ma che non si riesce ad afferrare, a fermare e mettere in gabbia. La mia fede può godere di Dio, ma non può appropriarsene. Il credente resta debole, in balìa degli eventi. Ma è proprio questa debolezza il luogo dell'Incontro.

Un prete dal cuore laico

Non credo nelle aggressioni verbali o nelle accuse rabbiose, ma ci sono momenti in cui serve anche la denuncia. E sono molto felice di notare che nella mia chiesa c'è ancora qualche prete che parla come Farinella. Un prete dal cuore laico, come lui si definisce, che “non può essere prete senza essere Paolo”, e che in definitiva non dice chissà quali novità: denuncia gli scandali di una politica fine a sé stessa, in mano a uomini “corrotti, corruttori e clericali”, la necessità di una chiesa separata dallo stato, le intrusioni di CL e dell'Opus Dei nei rapporti tra chiesa e istituzioni, la religione che troppo spesso non è al servizio della fede, ma “l'uso prostituito che si fa di Dio”... Cose che sappiamo tutti, ma che mi colpiscono in quanto dette da un prete.
So che sono tanti i preti e ancor più i laici credenti a pensare queste cose, ma vi è un grande timore a dirle apertamente. Ci dicono che così dividiamo la chiesa, che in questo modo non siamo in comunione con il papa, che diamo scandalo: ma se il prezzo dell'unità deve essere la falsità, la rinuncia alla voce della propria coscienza, ne vale davvero la pena?