martedì 1 gennaio 2008

Il bisogno di “toccare”

Uno dei messaggi più insistenti, proveniente dalle autorità della Chiesa cattolica contemporanea è quello di non accettare compromessi, non svendere la propria fede, né i valori che da essa nascono. Stiamo assistendo da alcuni decenni al tentativo pianificato e voluto di restaurare una cultura cristiana, un annuncio “puro”, che non scenda a compromessi con niente e che allo stesso tempo entri nella società ancor prima che nelle singole coscienze.
Gli interventi papali contro il “relativismo” si sprecano, come pure i richiami alle origini cristiane della nostra società occidentale, e la richiesta di una piena conformità alle indicazioni dei pastori.
Per il Vaticano stiamo assistendo ad un vero e proprio assalto del mondo laico nei confronti di quello cattolico, e sui nostri valori bisogna tenere duro. Non altrettanto forte è la reazione a ciò che invece sta succedendo all’interno, dove a patto che i fedeli professino con le labbra certe “verità”, e non facciano pubblicamente certe “cose”, tutto è concesso. Ad esempio - questo è il tema di questo capitolo - per quel che riguarda il variegato mondo delle devozioni.
Voglio provare ad interpretare l’atteggiamento discutibile di una Chiesa che è oggi molto esigente da un punto di vista morale e culturale, salvo poi risultare piuttosto benevola verso manifestazioni di puro paganesimo che sorgono fra le sue mura, culto dei morti, adorazione di ciò che non è divino, e via dicendo.
Voglio farlo partendo da lontano proprio perché, a mio parere, da sempre, in ogni religione, è presente la tendenza pericolosa a “cosificare” il proprio rapporto con Dio.

Antico Testamento
Israele nasce come un gruppo nomade nell’area mediorientale, che al seguito di Abramo si differenzia religiosamente da altri gruppi che credevano in tanti dèi .
Il passaggio dalla preistoria alla storia è pieno di testimonianze religiose, come tentativi degli uomini di dare risposte a fatti misteriosi, ma anche come bisogno di invocare il favore celeste per i raccolti, per il sole, la pioggia, la nascita, la vittoria sui nemici. Il bisogno di dialogare, o meglio assecondare, portare dalla propria parte, l’al di là, porta a raffigurarsela in vari modi: statuette, totem, immagini, pietre sacre… a cui manifestare concretamente le proprie angosce, domande, offerte, sacrifici.
Abramo, dicevo, rappresenta una svolta nella storia delle religioni. Ad un certo punto un gruppo di persone vissute approssimativamente 1800, 2000 anni prima di Gesù, rifiuta questo modo di rapportarsi con il divino, e ne inventa uno nuovo. Non più tante divinità che si comprano al mercato e che variano da popolo a popolo, ma un Dio unico, invisibile, creatore di tutto ciò che possiamo toccare, o ingenuamente adorare. Invisibile ma fedele, capace di fare promesse e di mantenerle nel trascorrere dei secoli.
Su questa base nascono insieme il monoteismo ed il popolo di Israele. Diversi secoli dopo, in quello stesso popolo, Mosè vedrà sorgere divinità pagane anche nel viaggio nel deserto, dall’Egitto alla terra promessa. La durezza di quella prova e la momentanea assenza della sua guida, porterà il popolo a chiedere ad Aronne di costruirsi un vitello d’oro : “Facci un dio che cammini alla nostra guida…” . Ma anche prima della tentazione di costruirsi un dio, significativa è la richiesta del popolo di non parlare direttamente con Dio, ma solo con Mosè, al quale è richiesto di fare da intermediario .
La tentazione di tornare a costruirsi un dio visibile, - uomo o statua - vicino, tangibile, è quindi forte anche all’interno di Israele, e periodicamente torna fuori anche nel popolo che più di ogni altro ha tentato di contrastare l’idolatria . I profeti interpreteranno le sconfitte, le malattie, la deportazione di Israele come la conseguenza dell’aver abbandonato il proprio Dio, per inchinarsi a idoli stranieri .

Nuovo Testamento
Israele dunque nasce per differenziarsi religiosamente dalle divinità di terracotta, ma poi deve combattere quegli stessi idoli pagani anche al suo interno. Un destino che, come vedremo, non si discosta molto da quanto sta capitando alla Chiesa cattolica.
Israele, al tempo di Gesù, pur non ammettendo altri dèi accanto al suo, stava commettendo un errore altrettanto fatale: stava elevando al rango di Dio la stessa Legge. Scribi e farisei la prendevano alla lettera, non nel suo spirito di fondo, e la imponevano come un macigno in tutte quelle prescrizioni e purificazioni rituali che il testo sacro riportava da epoche passate. La Legge divina in questo modo, anziché ricordare le opere che Dio aveva fatto per il suo popolo, lo allontanava da Lui, come dimostra la forte critica di Gesù ai farisei , che sono sicuri della benedizione divina per il fatto di aver eseguito alla perfezione una interminabile serie di abluzioni e rituali .
Il Cristianesimo nasce come rifiuto della confusione tra Dio e Legge e come risposta teologica definitiva a questo bisogno di “toccare” la divinità: Dio attraverso Gesù si fa uomo, si fa “prossimo”, ci lascia la sua Parola, ci lascia la speranza di farci figli come lui, ci lascia i sacramenti, che sono il modo più eloquente per celebrare l’incontro tra l’uomo e Dio. Vista la continua difficoltà dell’uomo nel suo rapporto con Dio, Dio stesso si mostra nel suo figlio: “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato” (Giovanni 1,18). Questo Figlio di Dio è un atto definitivo di Dio per l’umanità: è il suo farsi toccare una volta per tutte.
Emblematico a questo proposito è l’episodio che capita a Tommaso dopo la resurrezione. Egli non crede agli altri discepoli che hanno visto il Signore risorto, perché vuole toccare con mano Gesù. “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi, e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò” . Allora dopo otto giorni riappare Gesù e và proprio da Tommaso e gli dice: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato, e non essere più incredulo, ma credente! Rispose Tommaso: Mio Signore, e mio Dio! Gesù gli disse: Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno
Un passaggio di qualità che non riguarda solo Tommaso, ma la nuova fede cristiana. L’uomo viene chiamato a non cercare più nulla da toccare per credere, dopo Gesù, perché Lui è quanto di più importante Dio poteva farci toccare.

Chiesa primitiva
Il cristianesimo dovette ben presto affrontare il problema di come e quanto inculturarsi al di fuori di Israele. Diventando una realtà sempre più grande, cercò di cristianizzare tradizione e culti pagani, ma allo stesso tempo non rimase immune dal processo opposto, dalla tendenza cioè delle altre culture, specialmente quelle greca e romana, di “grecizzare” o “romanizzare” il cristianesimo . E’ insomma il tentativo di addomesticare un qualcosa che con la violenza delle persecuzioni non si era riusciti a reprimere.
Uno dei tentativi più tenaci fu quello poi definito come “arianesimo”. Una interpretazione dogmatica che nasce all’interno del cristianesimo da un semplice sacerdote, Ario appunto, che si rifiuta di accettare l’idea della Trinità, dove Padre e Figlio sono sullo stesso piano . Su una questione come questa, apparentemente “cervellotica”, si scatenò una rivoluzione interna di proporzioni enormi. Una parte considerevole di cristiani, più attratti dall’interpretazione di Ario, intesero Cristo come un uomo speciale, meraviglioso, al di sopra degli altri, ma pur sempre un uomo. Una specie di demiurgo che sta a metà strada tra Dio e gli uomini. Atanasio, invece, con la Chiesa di Roma sosteneva che dalle Scritture non si poteva arrivare a queste conclusioni. Il Figlio, pur essendo vero uomo, è generato dal Padre, ma è eterno come il Padre.
E’, quello di Ario, un modo di pensare molto greco, molto platonico se vogliamo, dove il mondo di lassù non può avere nulla a che fare con il mondo di quaggiù, e dove il bisogno di dialogare con l’al di là richiede la presenza di figure intermedie, semi divine, accessibili agli uomini (ruolo che lui attribuiva a Gesù). Questo esempio storico mostra come anche all’interno della Chiesa ci fosse già nei primi secoli un grande bisogno di condurre la nuova fede ai bisogni della maggior parte delle persone.
Ci volle un Concilio, quello di Nicea nel 325, nonché l’intervento di diversi Imperatori romani preoccupati per l’unità religiosa del loro immenso regno , per dire una parola definitiva su questa questione, e ciò nonostante l’arianesimo continuò a sopravvivere per parecchi secoli autonomamente, soprattutto nelle popolazioni barbariche.

Medioevo
I primi sei concili decretarono tutto quello che si poteva dire sui concetti fondamentali del Cristianesimo: sulla Trinità, su Gesù, su Maria, sullo Spirito Santo. Fu un lavoro immenso e lungo diversi secoli per andare a precisare una volta per tutte, con gli strumenti ed il linguaggio offerti dalla filosofia greca, che cosa significava sul piano dottrinale essere cristiani.
Una volta chiusa la porta a eventuali svendite del Cristianesimo per quel che riguarda le sue fondamenta, si passò a minacciare il nucleo della fede cristiana passando da un’altra porta, quella devozionale.
Tutto quanto lo sviluppo del cristianesimo greco in culto delle immagini, in superstizione e in un politeismo più o meno celato si può interpretare anche come una vittoria di quella religione di second’ordine, da sempre presente nella Chiesa (religione apocrifa), sulla religione spirituale. (…) L’antico paganesimo fu conservato come culto dei santi, delle immagini, delle reliquie, degli amuleti, e come successione di feste. (…) La religione, la cui forza è stata l’avversione per gli idoli è infine diventata preda di questi ultimi. (…) Essi (i santi) presero sempre più il posto degli dèi detronizzati ponendosi tra le fila delle potenze angeliche.
Questo passaggio avvenne lentamente, fu contrastato dalla Chiesa con alcuni decreti conciliari, ma un po’ alla volta fece breccia, fino a diventare una prassi riconosciuta e ben vista sotto il papato di Gregorio Magno (590-604).
Gregorio ha legato insieme le idee, fino a quel momento incerte, sulle intercessioni dei santi e sui servizi degli angeli, e le ha elevate all’altezza della teologia. Egli ha legittimato la superstizione pagana, che necessitava di semidèi e di schiere di dèi, e si rifugiava nei corpi sacri dei martiri, stabilendo un legame tra i meriti di Cristo, classificando e raccomandando gli arcangeli, gli angeli e gli angeli protettori
La stessa cosa avvenne per il culto delle immagini, prima contrastata con tutti i mezzi e poi consacrata al secondo Concilio di Nicea, nel 787
I secoli seguenti videro una grande esplosione di caccia alle reliquie legata al fenomeno delle Crociate. Non voglio dilungarmi oltre su questi secoli, ma solo far notare che anch’essi non sono stati risparmiati dal “bisogno di toccare” che attraversa, e a mio parere contraddice, tutta l’era della cristianità.

Riforma e Controriforma
Il massimo dello scandalo si raggiunse nel 1500. Epoca cruciale per la Chiesa in crescente difficoltà a fronte di un mondo sempre più vasto ed indipendente dai suoi dettami.
Da poco infatti era diventato possibile scrivere libri su carta stampata, era stata scoperta l’America, solo per fare alcuni esempi. Il mondo aveva imboccato una strada “autonoma”, un pensiero laico, voglia di conoscere, esplorare. Sempre di quei tempi fu anche la scoperta che la terra non è fissa e non è al centro dell’universo. Galileo, a sue spese, parlerà di un metodo “scientifico” che nulla ha a che fare con la conoscenza del mondo che proviene dalle Sacre Scritture.
La Chiesa, poco attenta ai segni dei tempi, restava concentrata su sé stessa e per non retrocedere in popolarità non trovò di meglio che dare libero sfogo alla pratica della “vendita” della salvezza, acquistata dai peccatori non più con la conversione, ma con denaro e preghiere. Così si cominciò a commerciare sulle indulgenze e sulla durata del purgatorio .
Lutero segnò il grido di ribellione di una Chiesa che non poteva continuare oltre nella svendita di sacramenti, indulgenze, giubilei e benedizioni, per finanziare lo sfarzo dei suoi principi e la costruzione dei suoi giganteschi templi rinascimentali.
Un protestante quale Karl Barth ancora nel nostro secolo riecheggia lo stesso richiamo quando dice “La invisibilità di Dio ci sembra più insopportabile della visibilità, pur così discutibile, di quello che ci piace chiamare dio”.
La rottura con la Chiesa cattolica avvenne nel 1517, quando egli affisse le sue celebri 95 tesi sul portone della chiesa di Wittemberg in Sassonia in seguito all’ennesima ingerenza del papa – Leone X - che poco prima aveva riproposto in Germania il mercato delle indulgenze per finanziare la costruzione della basilica di San Pietro.
La Controriforma cattolica segnò la condanna del protestantesimo nascente, ma fu l’occasione per operare comunque una riforma interna molto importante, dando forma ad una organizzazione che nel suo modo di intendere i sacramenti, i ministri, la liturgia, è valida ancor oggi.
Dal Concilio di Trento la Chiesa esce con rinnovato entusiasmo e più pulita, ma mettendo ancor più sé stessa sul piedistallo. Lei, la Chiesa, amministra i sacramenti che sono l’unica strada per la salvezza. Lei è il tramite che sta tra gli uomini e Dio, e sempre attraverso di lei era necessario dare ossequio e ubbidienza per arrivare a Dio. Il Concilio di Trento, un po’ per le sue numerose vicende interne , un po’ per il suo tono definitivo su molte questioni di carattere dogmatico e non, sembrò decretare anche la fine dei concili. Per tre secoli i vertici della Chiesa non si raduneranno più in Concilio, e quando nel 1870 lo rifaranno con il Vaticano I, sarà per decretare dogmaticamente l’infallibilità del papa: una puntualizzazione ulteriore per chi non fosse ancora convinto, che non serve discutere.
Ogni scelta porta qualcuno ad allontanarsi ed altri ad avvicinarsi. Il frutto di queste decisioni è dato da una Chiesa che ha perso il contatto con il mondo operaio, con i giovani, con le famiglie, ma che paradossalmente sa radunare anche 2 o 3 milioni di persone per gli incontri mondiali della gioventù con il papa, e più del doppio per i funerali di Woitjla, nell’aprile 2005. Una Chiesa capace di canonizzare più santi sotto il pontificato di Giovanni Paolo II che sommando tutti quelli degli ultimi 400 anni ; senza più vita in molti suoi oratori, ma affollata là dove vi è il solo sospetto di miracoli eucaristici, apparizioni mariane, devozione verso immagini miracolose, stigmatizzati… .

Perché l’uomo costruisce idoli?
L’uomo si è sempre costruito idoli. Anche oggi lo fa, nonostante tutte le conoscenze di cui dispone. Perché? Perché l’uomo fa questa cosa che da un punto di vista razionale è così stupida?
Mircea Eliade, nei suoi studi sulla storia delle religioni, ha dimostrato che dai suoi albori l’umanità è religiosa, costruisce “simboli” per provare nel contatto con determinati oggetti sacri, emozioni profonde: "Un albero o una pianta non sono mai sacri in quanto albero o pianta; lo diventano partecipando a una realtà trascendente, lo diventano perché significano tale realtà trascendente". Anche C.G. Jung ha affrontato questo tema definendo quelle forme simboliche che ritroviamo in tutte le religioni “archetipi primitivi umani”. Niente è più affascinante della capacità dell’uomo di creare e comunicare attraverso un linguaggio simbolico, soprattutto laddove, come nell’esperienza religiosa, le parole sono assolutamente insufficienti e inadeguate.
Quando però il simbolo diventa esso stesso ciò che significa, si ha l’idolatria. Quell’oggetto diventa dio stesso, e questo decadimento avviene continuamente, anche nel monoteismo. Non ci si avvicina al quadro perché raffigura Maria e risveglia in noi sentimenti di riconoscenza verso colei che ha generato Gesù, ma proprio per il quadro in sé stesso, che parla, piange, versa latte, guarisce, insomma fa tutto quello che vorremmo che Dio facesse.
Ad esempio, per tornare a Eliade, riguardo delle origini del simbolismo della perla, esse non erano in origine "empiriche, ma teoriche e metafisiche"; tuttavia "questo simbolismo, in seguito, fu interpretato diversamente, poi degradato fino alle superstizioni e al valore economico-estetico che rappresenta per noi la perla"
Con una approfondita e documentata ricerca Eliade mostra come questo bisogno di distinguere tra il Dio supremo, irraggiungibile ed eterno e tutti quegli intermediari più vicini ai nostri bisogni quotidiani e meglio raffigurabili, è continuamente presente, nelle religioni antiche come in quelle nuove . Da qui ne deriva il maggior successo del politeismo, nella pratica, se non nella teoria.

Il mito dell’eterno ritorno
Vi è poi un altro aspetto che caratterizza la religiosità primitiva, che merita almeno un accenno. L’uomo primitivo era portato a spaventarsi di fronte a fenomeni imprevedibili e a dare loro spiegazioni soprannaturali. La reazione più spontanea di fronte alle avversità della natura, non era la riflessione, (la filosofia nascerà in Grecia molto più tardi), ma il sacrificio, il timore religioso verso quella forza che si era mostrata (un fulmine, un terremoto, una carestia, un lutto inspiegabile…). L’uomo cominciò a offrire sacrifici per placare l’ira degli dèi , cominciò a fare riti propiziatori, riti per ottenere il loro favore, riti che, un po’ irrispettosamente, potremmo dire avevano lo scopo di fare da “tappabuchi” verso le saette che continuamente il cielo minacciava di lanciare sulla terra. E cominciò a fare queste cose in modo ciclico e ripetitivo, convinto di ripetere gesti provenienti da un tempo immemorabile. Questa ciclicità sacra era ispirata dall’osservazione di tanti fatti naturali ripetitivi: il sole e la luna innanzitutto, poi le stagioni, i frutti della terra, ecc… . Ripetendo i riti l’uomo primitivo “rifaceva” le azioni divine, accontentando gli dèi, e soprattutto fuggiva la “storia”. Eliade usa questa espressione per dire che essa era troppo angosciosa e piena di domande senza risposta . La morte di un parente, ad esempio, era meglio assorbita come parte di un ciclo che sarebbe presto ripartito dalla nascita di un nuovo bambino, piuttosto che come un fatto a sé stante, unico ed irripetibile e bisognoso di un senso . La storia è costellata di fatti incancellabili, gioiosi, ma anche dolorosi ed inspiegabili. La ciclicità dei riti aiutava a non pensarci, dopo la morte il ciclo infatti ricomincerà con una nuova vita, dopo la notte tornerà il giorno, dopo la carestia verrà di certo la pioggia e l’abbondanza.
E’ importante osservare come a questo concetto di religione (ciclica) sia collegato un senso di paura verso Dio. E’ quello che il Dio ci può fare, la sua ombra minacciosa, che guida le nostre azioni.
Il monoteismo invece rappresentò una svolta, sia per fare pulizia nel mondo dei tanti dèi “tangibili”, sia per la fuga dalla storia, con il suo senso di timore, che era collegata al loro culto.
Il Dio di Abramo è fedele nella storia, ha un progetto che persegue una volta, e non infinite volte. Questa idea religiosa nuova è tipica del pensiero biblico, e quindi della religione ebraica . Il cristianesimo riprende questa idea . Dio salva l’umanità una volta per tutte, tramite il suo Figlio. Dio entra nella storia e ci chiede di amarla, starci dentro fino in fondo anche là dove non la comprendiamo .
Il cristianesimo come l’ebraismo, però, diventando una realtà molto diffusa, con il tempo tende ad adagiarsi sul vecchio canovaccio delle religioni cicliche primitive . Ecco perché nella storia della Chiesa spesso ha avuto il sopravvento l’aspetto minaccioso della punizione divina, legato ad una idea di salvezza “meritoria”, che in alcuni momenti si è arrivati ad acquistare. Pensiamo solo a quanto ancor oggi sia diffusa la credenza che le nostre messe pagate al sacerdote, siano utili al defunto per soffrire meno e o per abbreviare le pene ultraterrene.
La domanda che emerge da tutto questo discorso suona in modo chiaro come una sfida per le autorità religiose odierne: dobbiamo lottare contro certe manifestazioni superstiziose, o accettarle in quanto inevitabili e cristianizzarle se possibile?

L’avvento di un cristianesimo non religioso
La Chiesa gerarchica ha scelto la via del “cristianizzarle se possibile”. Come dicevo all’inizio di questo capitolo: molto dura da un punto di vista morale, ma estremamente indulgente verso le forme devozionali.
Anche su questo punto vorrei dare eco al richiamo evangelico “convertitevi e credete al vangelo”.
Una strada per questo nuovo cristianesimo, maturo, libero da devozioni infantili e da attese salvifiche miracolose, è stata indicata da Bonhoeffer, quel teologo protestante, morto nei campi di concentramento della Germania nazista, che per primo parlò della necessità di un cristianesimo “non religioso” in un “mondo divenuto adulto”. “Non è l’atto religioso a fare il cristiano, ma il prendere parte alla sofferenza di Dio nella vita del mondo” . “Cristo non aiuta in forza della sua onnipotenza, ma in forza della sua debolezza, della sua sofferenza! Qui sta la differenza decisiva rispetto a qualsiasi religione. La religiosità umana rinvia l’uomo nella sua tribolazione alla potenza di Dio nel mondo, Dio è il Deus ex machina. La Bibbia rinvia l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio sofferente può aiutare” .
Noi spontaneamente facciamo atti “religiosi”, per dirla con Bonhoeffer, perché è la strada più facile! Di fronte alle sofferenze, alle ingiustizie, al tanto da fare, noi invochiamo Dio, lo cerchiamo fra le nuvole perché intervenga nel nostro mondo e ci liberi dal male, dal senso di colpa, dal peso che ci portiamo dentro: in cambio offriamo orazioni, offerte, fioretti… quello che vuole, purchè al nostro mondo (alla nostra “storia”, direbbe Eliade) ci pensi Lui. Il cristianesimo, invece, spazza via questa religione, annuncia che Dio, nel mondo, non c’è a quel modo e mai ci sarà. Annuncia che Dio è nel prossimo, nel sofferente, è qui, insomma, come nostro compagno, ma non per fare al posto nostro. Paradossalmente, il cristiano vive “etsi Deus non daretur”, come se Dio non ci fosse. Questo atteggiamento rappresenta una importante rottura con ogni forma di idolatria, funzionale ad un pensiero di tipo arcaico e infantile, e chiude ogni possibile deriva verso la riduzione di Dio alla funzione di “tappabuchi”.

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