domenica 27 aprile 2008

Il viaggio del papa negli USA


La prima cosa che mi ha colpito ancor prima che questo viaggio del papa avesse luogo, è stata l’attenzione che un simile evento ha catalizzato su di sé.
Eravamo tutti pronti, con gli occhi su qualche video per sapere cosa avrebbe detto, chi avrebbe incontrato, e poi per approvare o disapprovare con mail, blog, e quant’altro.
Questo papacentrismo, o meglio, questa papa - dipendenza, a mio parere deve farci riflettere. Perché sinceramente penso che così facendo siamo i primi a creare il mito attorno alla sua persona a discapito dell’attenzione che dovremmo, in quanto cattolici, alla Chiesa intera.
Io credo che il papa sia una figura importante, non intendo dire che dobbiamo fregarcene di ciò che fa e dice. No, però vorrei che si guardassero le cose un po’ più dall’alto, con un orizzonte più ampio.
Se penso che questo pontefice viene dopo un mostro della comunicazione con le folle come Woitila, e che ha passato la vita sui libri e nelle università, ecco che diventano per me meno interessante le sue gaffe nei rapporti con i musulmani o con gli ebrei. E’ un uomo che ragiona in un certo modo, procede in modo logico e diciamo “didattico”. Ama una fede ragionata e dimostrata e si mostra così come è: non è colpa sua in fondo, se altri lo hanno vestito di bianco. Penso che non abbia voluto lui la sedia che occupa, e che faccia del suo meglio; soprattutto mi ripeto spesso che io non farei meglio al posto suo.
E’ un tipo che non si rende conto in tempo che quando si parla al mondo intero occorre un linguaggio adeguato, e anche una virgola messa al posto sbagliato può provocare rivoluzioni e incidenti.
Il papa non è la Chiesa, non finirò mai di dirlo. Nessuno da solo è la Chiesa, e Ratzinger è il primo a dirlo (vedi il testo “Perché sono ancora nella Chiesa”, dei primi anni ’70, se interessa lo posso mettere on line). Possiamo continuare a rivoltare la sua vita privata come un calzino, analizzare i suoi discorsi cercando il pelo nell’uovo, ma non so quanto tutto questo possa servire. Il rischio è di rendere questa figura (il papa in sè, non il singolo papa) sempre più grande e decisiva. Ci sono fenomeni che invece meriterebbero più attenzione e che rimangono al margine:
Come si spostano geograficamente i cristiani nel mondo, e perché?
Come viene recepito o tollerato il Magistero, ad esempio sulla morale sessuale?
Cosa pensano i cattolici di questo tipo di sostentamento economico della Chiesa?
Cosa significa per un cristiano essere cristiano oggi?
Che differenza c’è tra il cristiano d’Irlanda, quello delle Filippine e quello del Brasile?
Come si può ben immaginare rispondere a queste e altre domande simili non significa dimenticare il papa, ma metterlo in un contesto più ampio, come un elemento tra gli altri, non il più importante e soprattutto non l’unico degno di nota.
Date queste premesse volgo velocemente lo sguardo al viaggio negli Stati Uniti.

La prima impressione è positiva, per quel che mi riguarda.
Intanto penso che questo viaggio in sé sia una cosa buona. E’ importante che il maggior rappresentante del mondo cattolico si faccia vedere e vada a vedere. Non si può chiedere più di tanto in spostamenti ad un uomo di 81 anni, ma qualcosa sì.
Mi ha colpito la decisione di affrontare in modo esplicito e ripetuto la questione dei preti pedofili.
Questa la dichiarazione fatta durante il volo d’andata:
'Mi vergogno profondamente': Il Papa assicura che la chiesa 'farà di tutto per sanare le ferite' causate dallo scandalo dei preti pedofili. 'Vicende del genere non accadranno piu'', ha promesso Ratzinger durante il volo che lo porta in Usa, esprimendo la sua 'profonda sofferenza', la sua incredulità per quanto è successo. 'La pedofilia è del tutto incompatibile con il ministero sacerdotale. I pedofili saranno completamente esclusi dal sacerdozio'.
Ricordo che quando Giovanni Paolo II nel 2000 ha fatto la sua pubblica richiesta di perdono per i peccati dei figli della Chiesa un esercito di farisei ha lanciato le proprie pietre dicendo “Facile chiedere scusa dopo 400 anni!”
Beh, ora abbiamo un “mi vergogno” per qualcosa di grave che riguarda i nostri giorni. Credo che la cosa andrebbe apprezzata, e spero davvero che finalmente il Vaticano inizi a curare più la qualità che la quantità dei propri preti.
Certo non nego che queste affermazioni suscitano in me anche un po’ di irritazione. Questo cader dalle nuvole, questa visione angelica del sacerdozio, dopo che da cinquant’anni diciamo in ogni modo che i seminari non funzionano…

Poi ha ricordato un’altra questione che ha diviso spesso gli storici e il Vaticano: “… le 'ingiustizie' compiute dai colonizzatori nei confronti dei nativi del continente e poi nel commercio degli schiavi dall'Africa”. E anche per dire questo credo ci sia voluto un po’ di coraggio.

Ovviamente ci sono anche tante cose che non mi hanno convinto. A partire dal momento in cui è avvenuta la visita: proprio in piena campagna elettorale… quando sono facili le strumentalizzazioni, e poi la questione del Tibet: il mondo bolle ad est e noi guardiamo tutti ad ovest per vedere cosa dice il papa e cosa fa il dollaro.
Non mi piace poi la spettacolarizzazione della visita papale, che sempre più spesso viene accolto come una star, che viene messo al centro quasi il suo messaggio fosse sé stesso, che ha tutte le telecamere puntate su di sé, e tutti i presenti in cerchio attorno a lui, anche quando prega in silenzio (“quando pregate non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa”. Matteo 6,5)
Certo non è bello vederlo andare a braccetto con Bush alla Casa Bianca, vederlo seduto davanti alle guardie armate che marciano, vedere potenti a cui non interessa niente della fede cattolica, dargli la mano e applaudire ai suoi discorsi sul relativismo etico.
Non è chiaro il comportamento del papa nei riguardi di Bush. All’uscita dell’incontro personale ha voluto dare l’idea di una totale consonanza, ma poi nel discorso alle Nazioni Unite ha denunciato “l’evidente paradosso di un consenso multilaterale che continua ad essere in crisi a causa della sua subordinazione alle decisioni di pochi…”.
L’impressione generale che ne deriva è di aver soppesato bene le parole, di aver fatto bene attenzione a dire e non dire, a dire qui ma non dire la stessa cosa là e viceversa. Un equilibrista bisognoso di recuperare consensi, insomma.

Questo papa probabilmente sta facendo del suo meglio, nelle sue condizioni, e nella Chiesa di oggi non può fare molto di più, ma soprattutto: il nostro disprezzo non lo aiuta minimamente.

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