lunedì 2 marzo 2009

Paolo e le donne


incontro a Sorrivoli con la biblista Rosanna Virgili, svolto il 15 febbraio 2009. Appunti non rivisti dall'autrice di Mauro Borghesi

Paolo viene spesso visto come un autore biblico misogino, poco disponibile verso il mondo femminile. Questo in particolare a causa di un versetto (1Cor 14, 34-35) tristemente famoso in cui l'apostolo impone “le donne nelle assemblee tacciano perchè non è loro permesso di parlare... è sconveniente per una donna parlare in assemblea”.
In realtà Paolo valorizza molto le donne. Come vedremo Paolo condivide l'esperienza di marginalizzazione culturale delle donne all'interno del gruppo degli apostoli, e una volta accettato come apostolo affida addirittura intere comunità alle donne o alle coppie.

Innanzi tutto una nota sul suo stile. Sa essere materno, semplice, umile (2 Corinti). Dà grande importanza al corpo (1 Corinti) e alla sua resurrezione.
Annuncia la “debolezza” della fede (1 Cor. 3,18). Sono aspetti importanti perchè nella sua formazione essere maschio e avere un figlio maschio era molto importante.

Paolo vive sulla sua pelle l'emarginazione della donna. Fatica a prendere la parola nell'assemblea, a ottenere autorevolezza e titolo di apostolo. L'autorità nella chiesa all'inizio si basa sul contatto con Gesù, poi diventa sacramentale. Paolo stesso ha bisogno di una comunione con la chiesa di Gerusalemme. Ciò lo renderà sensibile verso le minoranze e lo aiuterà ad associare il messaggio evangelico all'abbattimento di tutte quelle differenze sociali che portano gli uomini a fare categorie di valore.
In Galati 3,28 dice “Non c'è più giudeo né greco, non c'è più schiavo né libero, non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo”. Questa affermazione di Paolo rappresenta il DNA del Cristianesimo. Ci soffermiamo per capirla meglio:
1.giudeo/greco: Non ci si salva più per elezione. I giudei escludevano dalla salvezza tutti i pagani, erigevano un muro di appartenenza che Paolo abbatte.
2.schiavo/libero: Paolo interpreta la Legge in Galati 4,21-31 (e in questo ci indica un metodo attualmente visto con molto sospetto dalle autorità religiose). Facendo questo da una parte mostra di tenere in seria considerazione l'Antico Testamento, ma anche di leggerlo secondo una luce nuova, opposta a quella dei farisei. Essi infatti insistevano molto sul fatto di essere figli di Abramo, figli della promessa, non figli della schiava. Paolo allora riprende il discorso della discendenza per dire che la discendenza di Abramo è Gesù, e solo chi ha fede in Gesù è davvero figlio di Abramo. Paradossalmente per Paolo i figli di Agar, la schiava, sono proprio quelli che stanno nel Tempio, “schiavi” della Legge. Mentre i figli nella discendenza di Sarah e di Isacco, sono i figli della fede (la promessa ad Abramo è frutto della sua fede), figli liberi dalla Legge. Siamo noi.
3.uomo/donna: in 1 corinti 11,7-16 Paolo commenta la creazione della donna dalla costola dell'uomo. Interessante l'interpretazione che lo porta a dire che la donna non è cosa diversa dall'uomo perchè come la donna viene dall'uomo (costola) così anche l'uomo viene dalla donna per nascita. Peccato che la liturgia non citi questi versetti 11-12 ma si fermi a quelli 8-9 dove viene troncato il discorso a metà, dicendo solo della nascita della donna dall'uomo.
la chiesa di Paolo sceglieva i vescovi in maniera orizzontale, non calati dall'alto. (Parentesi: il Concilio Vaticano II ha tentato una riscoperta della “collegialità” dei vescovi, ma oggi vedono bene di starsene zitti, non hanno alcuna libertà di parola. La chiesa di oggi non ha ancora affrontato due grosse questioni: la democrazia e la donna).
I testi autentici di Paolo ci parlano di donne importanti. In Atti 16,15 Lidia dice “se avete giudicato che io sia fedele al Signore, venite ad abitare nella mia casa”. Abitare nella sua casa significa formare una chiesa nella sua casa. Questo fatto ci dice che c'erano donne che facevano lo stesso che faceva lui. Lavoratrici, “collaboratrici”. Stessa autorevolezza, stessi compiti. In Romani 16,2 vediamo Febe definita “diaconessa” (nella nuova traduzione ora tradotto con “al servizio”). Paolo invita a considerarla come lui. Sull'importanza del diacono nelle comunità di Paolo basterebbe leggere Atti 8. Esemplare è poi la descrizione di Stefana in 1 Corinti 16,15-18 come responsabile di comunità o anche Giunia in Romani 16,6-8 che con il marito è definita apostola “prima di me”.
A questo punto sorge spontanea la domanda su quel versetto che impone il silenzio alle donne in assemblea. In base a quanto detto finora in particolare osservando l'atteggiamento di Paolo verso Stefana e Giunia è difficile pensare che si tratti dello stesso autore. E' facile che quel versetto così duro e severo verso le donne sia una glossa posteriore palesemente in contrasto con lo spirito di fondo di Paolo verso le donne. La glossa è stata fatta dall'autore della lettera prima a Timoteo, lettera sicuramente non paolina, che risente di una impostazione successiva, posteriore al periodo di Paolo, in cui la chiesa si era strutturata maggiormente (anni 80/90), aveva inserito il sacerdote (figura sacra di radice ebraica) tra vescovi e popolo ed allontanato le donne da posizioni di autorità. L'autore ha un linguaggio diverso da quello di Paolo, pur spacciandosi per lui, e impone alle donne di non insegnare e non avere posizioni di autorità nelle comunità. Il contrasto fra i due paolo è forte, ma anche in questo vi è un bell'insegnamento. La Scrittura non cestina niente. Sopporta testi tanto diversi, tenendoli a fianco, senza doverne sopprimere uno a favore dell'altro. E' anche questo un aspetto che viene dalla mentalità ebraica che è inclusiva, come anche accade per i due racconti della creazione in genesi.

Efesini 5
Per concludere qualche considerazione su un altro brano piuttosto discusso a proposito di donne, che è il famoso Efesini 5. Paolo qui non intende parlare di morale domestica come erroneamente titola la bibbia di Gerusalemme, ma della chiesa.
Il concetto di fondo è “siate sottomessi gli uni agli altri”, cioè non ci sia un capo, siate legati gli uni agli altri … nel timore del Signore. Che non è paura, ma la reazione dell'uomo quando si trova a tu per tu con Dio.
Il matrimonio viene usato come metafora, e la moglie è metafora della chiesa per una ragione biblica, sempre infatti i profeti hanno usato questa immagine popolo/moglie. “Voi mogli siate sottomesse” significa “voi mogli siete come la chiesa sottomesse a Cristo, il quale Cristo però è salvatore del suo corpo. Il rapporto di dominio è scardinato alla base. Ai mariti dice “amate come Cristo”, dove l'accento di Paolo è sul “come”, non sul matrimonio. E lui ha amato “consegnando” il proprio corpo. Non dice “sacrificandosi” come siamo abituati a dire, ma “consegnando”. Cristo per Paolo fa un atto di resa, consegnare significa dire: il mio corpo ha bisogno di qualcuno che l'abbracci. L'amore è questo scambio, e non uno solo che dà e l'altro che riceve.

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