lunedì 24 dicembre 2007

Aristotele, Tommaso, Ratzinger

L’ultima Enciclica – la Spe Salvi - ha sciolto ogni dubbio.
Non si può comprendere Ratzinger senza comprendere la filosofia greca, in particolare Aristotele, e la relativa cristianizzazione che ne ha fatto San Tommaso d’Aquino nel Medioevo. Non è certo la prima volta che un documento Magisteriale loda “l’angelico dottore”, ma le pagine di questa Enciclica ruotano particolarmente attorno ad una filosofia dell’Essere, “la grande filosofia greca” (28), che pare intramontabile e insostituibile. Da essa deducono valori, comportamenti, indicazioni per i cristiani di oggi come per quelli di ieri.
Con queste pagine vorrei mostrare come e perché siano collegati personaggi così lontani, e soprattutto mettere in rilievo il fatto che mentre Aristotele e Tommaso per i loro tempi furono dei veri rivoluzionari, artefici di una svolta epocale, il loro riciclaggio nei nostri giorni sia segno di una Chiesa che non vuole pensare più sé stessa come realtà in trasformazione, anch’essa limitata nel tempo, ma definitiva, sicura di sé, come della fede che custodisce.

Platone e Aristotele
La filosofia greca ha certamente rappresentato nei secoli che hanno preceduto l’era volgare il tentativo più grande di comprendere il senso delle cose con il solo uso della ragione.
Non è stato l’unico tentativo , ma di certo il più riuscito, capace di modellare la lingua, il sistema politico e la religione Occidentale per molti secoli a venire. In un mondo dominato ovunque dalla cieca obbedienza al potere religioso e politico, il mondo greco si è trovato in una fase di sviluppo economico e con una libertà di pensiero che gli hanno permesso di intraprendere una via diversa dalle altre. Grazie alla Grecia nasce infatti la filosofia i cui suoi principali esponenti sono stati indubbiamente Platone ed Aristotele (IV secolo a. C.). Con loro la filosofia compie un salto di livello, passando dal chiedersi il perché delle cose, al perché dell’uomo. Non è più la presenza delle stelle, del fuoco, del cielo e della terra che pongono domande al filosofo, ma il senso dell’agire e del fare dell’uomo stesso. Nasce insomma il problema “morale”, quel interrogativo che porta ancora noi oggi a chiederci cosa è bene e cosa è male, cosa lecito e illecito.
L’impostazione di Platone e Aristotele porta a supporre, al di là del mondo fisico, un mondo metafisico, che cioè và oltre il piano fisico, non si vede, e spiega quello che si vede e verso il quale tutto ciò che è visibile tende. Entrambi arrivano anche a supporre l’esistenza di Dio. Ma mentre per Platone la materia è unicamente un peso, una zavorra negativa dalla quale l’uomo deve cercare di liberarsi per lasciar tornare la propria anima al mondo puro delle Idee, Aristotele tenterà una rivalutazione della materia, vedendo in essa una tensione, un movimento positivo, verso l’Essere puro e imperturbabile. Ogni cosa, anche il nostro corpo, “tende” all’Essere supremo, a Dio, senza mai raggiungerlo. Il Dio di Aristotele ovviamente non è il Dio cristiano, è descritto solo come una “Causa”, una spiegazione necessaria a tutto ciò che si muove e muta nel tempo. Egli lo definisce l’Atto puro, il Motore immobile, la Causa finale di tutto.
Se l’uomo può arrivare a ipotizzare l’esistenza di Dio senza l’ausilio di una fede o di una religione, ciò significa che possiede una facoltà, la ragione, molto preziosa e “buona”. Non stanno così le cose per Platone, che invece non vede nulla di buono nella materia e apprezza la mente umana solo nella misura in cui “ricorda” il tempo in cui l’anima viveva nel mondo delle Idee, disgiunta dalla gabbia del corpo che momentaneamente la obbliga su questa terra. Questa idea di Platone, con le dovute correzioni, ha fornito ad s. Agostino la base per una prima solida filosofia cristiana. In essa ovviamente ebbe un grande risalto lo studio per la Sacra Scrittura, vista come l’unica porta di comunicazione tra l’al di qua e l’al di là, l’unico modo per conoscere qualcosa di Dio.
Ovvio che non si può trattare due filosofi di tale portata in dieci righe, però questo passaggio, pur veloce, mi serve per dire che pochi secoli più tardi, con l’espansione della Chiesa nascente verso il mondo greco e latino, la nuova fede ha inevitabilmente cercato un appoggio razionale in questa filosofia. Le definizioni dogmatiche dei primi 8 Concili (cioè prima che avvenisse lo scisma con la Chiesa d’Oriente, nel 1054) risentono molto di concetti e termini che attingono dalla filosofia greca.
Nei primi secoli dell’era cristiana, di fronte a problemi legati a correnti filosofiche come lo gnosticismo o il manicheismo è stata l’impostazione platonica ad avere la meglio, in particolare grazie all’opera colossale di sant’Agostino che con il suo contributo ha influenzato il pensiero teologico e filosofico della Chiesa fino al Medioevo; poi nel XIII secolo è stata la volta di Aristotele, grazie ad un altro grande pensatore cristiano, appunto san Tommaso.

Tommaso
Nel Tardo Medioevo vari eventi preludono l’avvento di cambiamenti importanti. Nascono le prime università (Parigi, Bologna, Padova, Oxford, Praga…), le idee circolano su carta stampata, il mondo arabo si muove nell’area del Mediterraneo e porta con sé soprattutto in Sicilia ed in Spagna alcuni elementi che influiranno anche sulla nostra cultura: i numeri con il sistema decimale, elementi di matematica, i nomi delle stelle e pure il pensiero di antichi filosofi greci che fino ad allora erano rimasti sconosciuti, come appunto Aristotele.
La Chiesa ha fatto una certa fatica a ripensare la propria fede con categorie filosofiche nuove, tant’è vero che a lungo il povero Aristotele è stato visto come un pericolo ed portatore di disordine e fumo satanico, in un castello teologico che ormai sembrava inattaccabile.
Ma la pressione di nuove conoscenze, il movimento culturale che nei secoli a venire portò alla nascita della scienza ed alla conquista di un suo settore distinto da quello della teologia, fecero sì che sempre più diffuso fosse avvertita come insufficiente l’impostazione di Platone, che risentiva di un concetto troppo negativo della natura e che, per l’insegnamento di Agostino, attingeva ogni sapere dalla sola Sacra Scrittura. Aristotele invece si presentava come un pensatore capace di salvare la metafisica senza disprezzare la fisica, anzi proponendo una sua suddivisione della materia piuttosto articolata e completa.
Uno dei primi sostenitori dell’armonia tra pensiero cristiano e filosofia aristotelica fu Alberto Magno. Lui ed altri pensatori dell’epoca sostengono la possibilità che si possa arrivare con la ragione, indipendentemente dalle Sacre Scritture, considerate fino ad allora l’unica fonte di sapere, a conclusioni molto simili a quelle a cui aveva portato la fede cristiana. Questa separazione tra fede e ragione ovviamente preoccupava le autorità ecclesiastiche, ma allo stesso tempo offriva una grande occasione, perché se la ragione arriva da sola alle stesse conclusioni che la Scrittura ci rivela per fede, le Scritture (e quindi la Chiesa) ne escono di certo rafforzate e ancor più credibili.
Aristotele offre dimostrazioni logiche dell’esistenza di Dio e questa possibilità attira molti talenti emergenti, ben disposti verso il nuovo.
Nasce quindi il grande dilemma del rapporto tra fede e ragione. A titolo esemplificativo faccio solo un accenno alla reazione del Francescanesimo che in quel periodo prendeva piede in tutta la cristianità. Esso era completamente “agostiniano” e vedeva con orrore le idee di Aristotele. Il suo esponente più prestigioso in campo teologico fu San Bonaventura, il quale era contrario al confronto con una filosofia non cristiana proprio perché supponeva l’autosufficienza arrogante della ragione di fronte alla fede. Bonaventura insegnava che la ragione può scrivere solo ciò che la fede detta e che di fronte all’arduo compito del cristiano di avvicinarsi a Cristo “occorre dare poca importanza all’indagine e molta all’unzione, poca alla lingua e molta alla gioia interiore, poca alla parola e ai libri e tutta al dono di Dio, cioè allo Spirito Santo, poca o nulla alla creatura e tutta al Creatore”.
La Chiesa, pur combattuta, continua a rifiutare Aristotele nel timore che la sua “ragione” sembra salire sullo stesso trono della fede, finchè Tommaso, discepolo di Alberto, non trova la soluzione che – col tempo - mette d’accordo tutti.
Tommaso, in sostanza, accetta e valorizza la ragione, ma la sottomette all’autorevolezza della fede. Questo significa che abbiamo due modi di “conoscere”. Uno ci viene dall’alto, ed è la Rivelazione, e lo si accoglie per fede; l’altro è dal basso, ed è costituito dalla nostra ragione, di cui Aristotele ci mostra il potere espositivo e persuasivo. Ovvio che la ragione così intesa non può mai contraddire la fede, e quando lo fa significa che ha imboccato una strada sbagliata.
Ovvio anche che Aristotele non conosce la Verità rivelata e allora occorre correggerlo per trasformare il suo pensiero in una filosofia nuova, cristiana, senza quelle sbavature che potrebbero portarci lontano dalle Sacre Scritture. L’idea che si possa conoscere per fede, infatti, non appartiene alla filosofia greca che parla di Dio solo nella misura in cui gli serve una spiegazione per ciò che con la sola natura non si riesce a spiegare (l’origine dell’universo, dell’uomo…). Aristotele poi sostiene che la materia è eterna e non è creata da Dio (l’idea della creazione dal nulla è biblica), e su questo ovviamente non si poteva acconsentire.
Tommaso quindi “cristianizza” questi aspetti e fonda tutto il suo pensiero sull’alleanza tra fede e ragione, la quale è preambula fidei, e può dirci qualcosa di quella Verità che la fede ci svela senza ombre e senza fatica. Su queste basi Tommaso descrive le famose cinque vie, attraverso le quali, sostiene, la ragione da sola può arrivare ad accettare l’esistenza di Dio.
Il legame di dipendenza tra fede e ragione porta schematicamente a suddividere una legge divina, una legge naturale, e una legge umana. Per discesa l’una si deve riversare nell’altra, come abbiamo visto, e ciò comporta che la legge umana, in fondo alla scala, può fondarsi o per Grazia direttamente sulla Rivelazione o anche sul rispetto della legge naturale, la quale come appena detto, è conoscibile con la ragione ed è specchio della legge di Dio.
Questa terminologia oggi crea qualche corto circuito che vedremo tra poco, certo però è che per i suoi tempi la sintesi filosofica di Tommaso fu rivoluzionaria . Egli introdusse infatti nella riflessione teologica il rispetto della ragione in sé stessa, seppur non ancora autonoma rispetto alla fede: una ragione che conosce Dio attraverso la natura. Se pensiamo che fino ad allora era vero solo ciò che era scritto nelle Sacre Scritture, o in loro alternativa la parola dell’Imperatore, del Papa o del Re, ci rendiamo subito conto che il passaggio è stato grande. Ora infatti si inizia a discutere se una legge umana è secondo natura, e non più se è il volere del potente di turno.
Tommaso viene canonizzato nel 1323 da Giovanni XXII e da quel momento la sua impostazione filosofica divenne sempre più ufficialmente approvata all’interno del Magistero ecclesiastico, diventò la guida portante del Concilio di Trento , e da lì continuò a illuminare i documenti papali fino ai giorni nostri.
Nei secoli seguenti la scienza vide uno sviluppo enorme e quello che la Chiesa temeva si realizzò: la ragione se ne andò per la sua strada, pretendendo con sempre maggior forza di fare a meno della fede. La ragione mise in discussione persino sé stessa e le sue fondamenta, abbandonando poco a poco quel metodo deduttivo che la faceva partire sempre da verità prestabilite, per dare spazio all’osservazione della natura. Una svolta epocale fu quella segnata dalla vicenda di Galileo, che partendo dalla “ragione” valorizzata da Aristotele arrivava a confutare le sue stesse tesi sul cielo e gli astri, tesi che appunto risentivano troppo di “deduzioni” di tipo filosofico, e non usufruivano dell’osservazione scientifica .
Da qui secoli di condanne e accuse reciproche, fino a tornare nell’ultimo secolo all’unica sintesi che ai vertici della Chiesa sembra possibile, quella appunto di Tommaso. Peccato che nel frattempo siano passati otto secoli.

Ratzinger
Tutti sono oggi a conoscenza del forte legame che ad esempio papa Benedetto XVI ha con la filosofia greca. Lui stesso d’altronde la difende con orgoglio, come ha fatto ad esempio al famoso discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006 . Non è però per fare una critica al suo pensiero che ho scritto queste pagine. Penso che egli, con la sua formazione rappresenti bene un intero Magistero che si ostina su tale strada , a parte la breve parentesi del Concilio Vaticano II, e forse non è un caso che proprio un cultore degli antichi greci e della Scolastica sia stato eletto al soglio pontificio nel 2005.
Il problema è, come già accennato, che questa filosofia, da Galileo in poi, non è più sufficiente per sostenere la fede cristiana ed il confronto con il pensiero laico.
Vediamo sinteticamente alcuni nodi problematici:
La ragione non può essere sottomessa alla fede.
Ai tempi di Tommaso il mondo era molto più ristretto. Non vi erano tante religioni, né atei con cui confrontarsi. Non era proprio previsto il concetto di confronto e le Crociate stanno lì a dimostrarlo. Oggi possiamo presentarci al mondo continuando a sottomettere la ragione alla fede? Io non credo. Non si può dialogare con un ateo dicendo che la sua ragione è vera ragione solo se non contraddice la fede o se è “illuminata dalla fede” . E non si può dire ad un cattolico che sì, deve seguire la sua propria ragione, ma a patto che questa sia uniformata ai dettami del Magistero . Come si può pensare che la ragione, per quanto rispettosa della fede, riesca ad accettare il mistero dell’Incarnazione, la Resurrezione, l’Immacolata Concezione, e via dicendo, fino ai miracoli e alle apparizioni mariane sempre più invadenti all’interno del mondo cattolico?
E poi c’è il problema dell’infallibilità . In ambito psichiatrico non è ritenuto un gran bel segno ritenersi infallibili, e comunque resta difficile dialogare con una istituzione infallibile. Se è infallibile non c’è dialogo, c’è solo ascolto dei suoi dettami.
Quando il Papa parla di fede e ragione, di quale fede parla? Di quale ragione? Si rende conto che la fede giusta è solo la sua e la ragione “retta” è solo quella che và nella direzione della sua fede? Chi non crede come può, in onestà verso la sua ragione, accettare un discorso simile? A mio parere sarebbe più onesto dire che la fede è fede e la ragione è ragione. E se non si incontrano, non sempre si dovrà cercare l’errore nella ragione, ma umilmente dovremo qualche volta chiederci se abbiamo ben interpretato la nostra fede (vedi la lunga diatriba sull’evoluzionismo, sul modo di interpretare la Bibbia, sulla separazione tra Chiesa e Stato, sull’accettazione della democrazia…).
Cos’è la natura?
Continuare a pretendere che la legge degli uomini attinga dalla legge naturale, che a sua volta è voluta dalla legge divina, mi pare pretestuoso. Certo sarebbe bello, se fosse possibile, ma come possiamo oggi continuare a parlare di legge naturale, dopo che abbiamo visto con tutti gli studi sull’evoluzione delle specie, che tali leggi sono così adattabili all’ambiente e alle esigenze di sopravvivenza? La Chiesa dai tempi del Medioevo in poi ha cambiato l’argomentazione, ma non la sostanza del suo intervento. Prima diceva: “le cose stanno così, come diciamo noi, perché lo dice la Bibbia”; dopo Tommaso ha imparato a dire: “le cose stanno così, come diciamo noi, perché sono scritte nella natura, quindi sono alla portata anche di chi non crede”. Con questo sistema si sono dette cose terribili. Ai tempi di Giovanna d’Arco se una donna portava abiti maschili era visto come un atto contro la legge naturale. I papi a cavallo tra il XVIII e XIX secolo hanno ripetutamente preso le distanze da quella strana idea nata nella Rivoluzione Francese che gli uomini sono tutti uguali. E lo hanno fatto adducendo che la disuguaglianza e la distinzione in classi sociali è scritta nella natura. Per non parlare della libertà di coscienza o della democrazia. Tutte cose che oggi la Chiesa accetta tranquillamente.
Ciò nonostante ancor oggi troviamo nel Catechismo l’affermazione che “la legge naturale è immutabile e rimane inalterata attraverso i mutamenti della storia” . Frase che si cerca di far passare come una citazione del Concilio Vaticano II, il quale però, dice una cosa un po’ diversa .
In realtà il concetto di natura non sembra più così chiaro come ai tempi di Tommaso: possiamo dire che un omosessuale dalla nascita è “contro natura”, se la natura stessa lo ha partorito? E se è contro natura l’omosessuale non dovremo dire altrettanto per il down, lo schizofrenico, il ritardato mentale? E a proposito di andare contronatura, che dire del celibato obbligatorio dei preti o della riprovazione verso la masturbazione?
Gli effetti di una filosofia definitiva
A ben pensarci l’idea che le regole del gioco siano scritte da Altri, siano eterne ed evidenti (che siano frutto della Natura o della Rivelazione) ha un duplice effetto psicologico da non sottovalutare. In primo luogo ci mette nelle condizioni di conoscere la Verità, di possederla, di averla raggiunta una volta per tutte: è lì, scritta a chiare lettere, incontrastabile. Non c’è bisogno di rinnovamento, di aggiornamento, quando si “sa” tutta intera la verità: e questo lo si vede nel ritorno della lingua liturgica eterna, il latino, o nel recupero del canto gregoriano. Ma anche in questioni più importanti quali la famiglia, modello di convivenza che continua ad essere proposto come l’unico possibile “secondo natura”.
In secondo luogo questo sistema porta l’uomo a deresponsabilizzarsi di fronte ai valori. Essi sono eterni, immutabili, indifferenti, che li si segua o no. E io nel mio piccolo, dove credo di andare? Ben diverso sarebbe il discorso se la Verità fosse la mia sfida personale, ciò che devo scoprire, sempre più in là rispetto alla mia conoscenza di essa.

Una nuova filosofia
Questi sono alcuni problemi che pone oggi una impostazione teologica troppo legata a Tommaso ed esplicitamente sposata da papa Woitjla e papa Ratzinger. Ma all’orizzonte alcune proposte ci sono e forse troppo velocemente sono state cestinate.
L’Esistenzialismo a mio parere ha in sé una alternativa valida al pensiero elaborato dalla Scolastica, e potrebbe essere “cristianizzato”, proprio come in passato Tommaso ha fatto con Aristotele.
Come movimento filosofico nasce tra le due guerre mondiali ed esprime una crisi delle certezze a cui aveva illuso la ragione “positivistica”. L’uomo che pensava di dominare il mondo intero e sé stesso con le nuove conoscenze e possibilità, sperimenta il proprio fallimento con guerre mai viste prima, appunto dalla portata mondiale, e con il ritorno di ideologie totalitarie. La realtà, nel XX secolo, non è più identificabile con la razionalità.
Al centro dell’Esistenzialismo sta appunto l’esistenza dell’uomo, essere limitato. Tale esistenza però non è vista come una cosa data per natura, non è cioè come indicava Tommaso una realtà predeterminata e non modificabile. L’esistenza è possibilità, poter essere, è ciò che ogni uomo ha deciso per sé, di essere. E’ tensione verso… il mondo, gli altri, la libertà, il nulla, oppure anche Dio. Ecco perché in questo nuova filosofia vi è spazio anche per una applicazione teologica.
Mi pare chiaro che le verità oggettive, troppo spesso credute per dovere o per obbedienza, in questa nuova prospettiva vengono scalzate o comunque messe in discussione da quelle soggettive. Il rischio è che non vi sia più nulla di sicuro e stabile, ma certo viene riconsiderato di molto quello che il singolo uomo vive, sente, capisce e ritiene valido per sé. Ed il cristianesimo non potrebbe forse oggi ripartire da qui?
Pensiamo a quante verità oggettive allontanano le persone dalla fede. Personalmente ricordo come una profezia di sventura quando ancora giovane seminarista il vescovo mi disse “il dover essere deve coincidere con l’Essere”. Ma quello era un caso limite, allora veniamo a ciò che tutti possono vedere: pensiamo alle coppie omosessuali, che “secondo natura” sono nell’errore, ma secondo coscienza spesso manifestano amore genuino. O ai rapporti prematrimoniali, contrari al diritto naturale (?) secondo la Chiesa, ma praticati senza problemi ormai da tutti, cattolici e non. O alla masturbazione: serve ancora vederla come un atto contronatura, un atto “oggettivamente” errato, oppure non sarebbe per caso meglio evitare questi discorsi che creano nel ragazzo solo frustranti sensi di colpa per vederla come una fase della vita, un momento del proprio cammino personale, certamente non definitivo, ma importante per uno sviluppo psichico normale? E che accoglienza ha avuto una enciclica come l’Humanae vitae in cui vengono proibiti indiscriminatamente tutti i metodi anticoncezionali? E che dire poi dei divorziati risposati, o di chi desidera un figlio con la fecondazione artificiale, o dei Piergiorgio Welby che chiedono di morire…
La filosofia greca ha trascinato il Cristianesimo in un vicolo senza colori, dove tutto è bianco o nero, giusto o sbagliato, bello o brutto e non esistono vie di mezzo. Questo, a conti fatti, è un bel guaio, soprattutto se lo si considera un modello definitivo ed irrinunciabile .
Mi pare evidente che a seconda del tipo di filosofia che sotto sta al Cristianesimo, se ne deducano conseguenze diverse, e le conseguenze dell’impostazione Tomista oggi sta portando ad un rifiuto, ad un’incapacità di capire l’altro, ad una distanza sempre maggiore dai problemi della gente. La purezza dell’Essere così come è descritta da Tommaso oggi pone problemi ingombranti, perché è sempre più chiaro che la vita non è come dovrebbe essere. La vita della maggior parte delle persone “è quel che è” e ripetere ossessivamente “non dovrebbe essere così” non serve più di tanto.
Come dice bene una poesia di Erich Fried (1921 – 1988)
E’ assurdo, dice la ragione
E’ quel che è, dice l’amore
E’ sfortuna, dice il calcolo
E’ nient’altro che dolore, dice l’angoscia
E’ inutile, dice il giudizio
E’ quel che è, dice l’amore
E’ ridicolo, dice l’orgoglio
E’ sventato, dice la prudenza
E’ impossibile, dice l’esperienza
E’ quel che è, dice l’amore

Mauro Borghesi

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao, sono un ragazzo e ho appena letto il tuo articolo. Per la prima parte sul profilo storico filosofico ti devo fare i complimenti, hai fatto un ottima sintesi e hai la mia piena approvazione. Nella seconda parte condivido ben poco, anche se rispetto le tue idee. Hai analizzato moltissimi problemi e provo a risponderne ad alcuni.
Per quanto riguarda il rapporto tra fede e ragione,nella sintesi di Tommaso, credo che davvero sia attuale soprattutto oggi e non lo vedo per nulla superato come concetto. Le verità di fede e verità di ragione vengono tutte da Dio. Esiste solo l’Essere ed è da lui che deriva tutto, sia la ragione che la fede che è nella Scrittura. Se vi è un qualche errore siamo noi che interpretiamo male la fede, questo punto è fondamentale credo. Come si credeva che fosse il sole a girare attorno alla terra, oggi la società moderna si potrebbe sbagliare su alcune importanti questioni etiche, come ad esempio aborto eutanasia ecc. La Verità è molto profonda e non sempre la possiamo comprendere nella giusta ottica, la fede semplicemente (perché Dio è semplice, è puro atto privo di potenza, ipsum esse per se subsistens) è come un faro che illumina e guida la ragione, e la indirizza verso ciò cui è destinata a ritornare (l’eterno ritorno all’Uno di Plotino). Quindi per concludere questo primo punto vorrei dirti che verità e fede devono viaggiare una affianco all’altra e mai separarsi, solo così l’uomo può realmente essere se stesso e completare appieno la sua natura di essere razionale. Tutti questi temi sono trattati in uno dei capolavori di San Tommaso: la Summa contra gentiles.
Sulla seconda questione, quella relativa alla legge di natura, anche qui non sono d’accordo. La legge naturale è unica è universale, dato che è espressione della natura umana che è comune a tutte le persone. Quello che cambia è la conoscenza che noi abbiamo della legge morale naturale. La legge naturale è unica, mentre la sua conoscenza prevede dei livelli che dipendono dalla società dove viene applicata. Così ad esempio per gli Eschimesi era lecito uccidere il primo figlio, fino a quando non nasceva un figlio maschio. Quindi occhio a giudicare la legge naturale come un qualcosa che cambia col tempo, essa è universale e la storia non può far altro che aumentare la sua conoscenza. Come può aumentare può anche diminuire: si pensi ad esempio al nazismo! Siamo nel ventesimo secolo, al culmine dello sviluppo tecnico e scientifico dell’era moderna, quando assistiamo ad un regresso mai visto, lo sterminio di sei milioni di ebrei. Altri casi, più subdoli, li riscontriamo oggi, come ad esempio l’aborto: 20 mila persone (gli embrioni sono persone) a cui viene negato il diritto alla vita solo in Italia.
In conclusione ti posso dire che sono dispiaciuto, soprattutto se sei un prete, delle tue veloci conclusioni, anche se comunque le rispetto. Posso aggiungere dicendoti che per gli Arabi, Aristotele è stato l’uomo più intelligente mai esistito sulla terra. Quindi accogliamo con estrema attenzione le sue osservazioni in campo filosofico. Nel settimo libro dell’Etica Nicomacha (credo il capitolo 5) vengono appunto spiegati i motivi per i quali l’omosessualità è un “comportamento bestiale” come lo definisce Aristotele. Un conto è la verità delle cose, e un conto è la nostra opinione, ma in temi etici così sensibili è davvero difficile capire il vero punto di vista naturale. Il motivo di ciò è che nei confronti del piacere noi siamo giudici imparziali, e quindi nella maggioranza dei casi non riusciamo ad essere obiettivi e stabilire cosa è giusto oppure no. Inoltre per quanto riguarda i rapporti prematrimoniali, ti rispondo con un vecchio proverbio cinese: fa più scalpore un albero che cade, che una foresta che cresce.
So di non essere stato abbastanza esauriente, ognuno di questi temi meriterebbe decine, se non centinaia di pagine, per essere davvero chiarito a fondo. Vorrei concludere con una frase di Aristotele, il maestro di color che sanno: "In most things the error seems to be due to pleasure; for it appears a good when it is not." (Aristotle, Nicomachean Ethics, Book III, 4). Institoris@hotmail.com per chi desidera propormi contestazioni o chiarimenti. Vista l’ora, buonanotte!

Mauro Borghesi ha detto...

Grazie per le tue considerazioni. Le mie conclusioni sono effettivamente un pò affrettate, d’altra parte l’articolo era diventato già fin troppo lungo. Sono veloci, ma conseguenti a quanto detto in precedenza. Anzi lo scopo della mia riflessione era proprio mostrare un filo logico che unisce una impostazione filosofica di vecchio stampo all’attuale pontificato.
Quando tu dici che fede e ragione non possono fare a meno l’una dell’altra torni alle posizioni di Tommaso e appunto di Ratzinger, che non sono accettabili per un laico, il quale, senza fede, si ritroverebbe incapace di ragionare alla pari con chi ha fede. Capisci che in questo modo non si può discutere su niente, si può solo annunciare agli altri certezze su certezze.
La legge naturale è mutabile, questo è un dato di fatto, non lo dico io. Ma finchè partiamo da presupposti ideologici e non dai dati di fatto (per questo occorre vero un dialogo con la scienza) troveremo sempre il modo di dire che avevamo ragione noi.
Capisco che sono questioni difficili da affrontare in poche battute e essere più preciso mi richiederebbe tempo che ora non ho. Mi auguro solo di incontrarti ancora in queste mie pagine e magari di aiutare qualcuno – non a pensarla come me – ma ad andare a fondo su questioni di fondo oggi troppo trascurate dagli abbagli delle notizie di cronaca. Mauro

Anonimo ha detto...

Grazie per la risposta. Credo comunque ci sia stato un fraintendimento. Fede e ragione devono stare assieme se si vuole davvero penetrare affondo l’essenza divina. Tuttavia anche la sola ragione ha una sua autonomia indipendente dalla ragione. Basti considerare i risultati conseguiti da Aristotele solo a livello esclusivamente razionale: nel dodicesimo libro della Metafisica tratta appunto del motore immobile, dandoci una formidabile prova razionale di Dio. La ragione però non è sufficiente a spiegare ad esempio la Trinità di Dio, in questo si deve appoggiare alla Rivelazione, svolgendo così poi un discorso teologico, un discorso dove fede e ragione sono un tutt’uno (la teologia non è altro che un discorso razionale su dei dati rivelati). E’ proprio in questo senso che fede e ragione devono stare assieme per capire appieno, secondo le facoltà proprie umana, la Verità divina. Nonostante ciò, la ragione ha un valore e una sua autonomia che sono di vitale importanza, soprattutto in questa nostra società multi religiosa . Ad esempio in due persone di fede diversa, come un cristiano e un musulmano, l’unico legame che sta alla base del dialogo è appunto la ragione, grazie a cui è possibile giungere a una verità, che necessariamente coincide con la Verità divina. La fede non è altro che un qualcosa che si aggiunge alla ragione, non è un ostacolo, e a sua volta la ragione ha una sua legittima autonomia. Basta la sola ragione per dimostrare che Dio esiste o che l’embrione è una persona. La ragione ha pertanto una sua autonomia che non contrasta mai con la fede: è questo l’insuperabile e quanto mai attuale insegnamento di San Tommaso!
Per quanto riguarda la Legge Morale Naturale, essa è mutabile nel senso che la conoscenza che l’uomo ne ha può prevedere dei mutamenti, e quindi può variare nei secoli della storia. Nell’antichità la schiavitù era una cosa comune e ritenuta lecita, oggi giustamente non è più così. Ciò sta a significare che la conoscenza di questa Legge Naturale subisce dei progressi o dei regressi nel corso dei secoli. Un regresso di questa legge è, come già citai, l’avvento del nazismo con la sua ideologia folle della razza ariana; oppure, per restare ai nostri giorni, l’aborto e così via.
Unendo queste due questioni (rapporto tra fede e ragione e Legge Morale) possiamo riscontrare che ciò che ci dice la fede e la ragione, ce lo dice anche la scienza empirica. Basti ricordare il referendum sulla sperimentazione degli embrioni, dove moltissimi scienziati non credenti si sono schierati contro. Fede, ragione e scienza empirica sono la stessa cosa, tutte derivano dall’unico Dio. Non potrà dunque mai esserci nessun contrasto. Se c’è un contrasto questo dipende appunto da un errore umano. Per concludere riporto qui di seguito un passo straordinario di San Tommaso, che fa proprio al caso nostro:

QUOD VERITATI FIDEI CHRISTIANAE NON CONTRARIATUR VERITAS RATIONIS

Sebbene la verità della fede cristiana superi la capacità della ragione, tuttavia i princìpi naturali della ragione non possono essere in contrasto con questa verità. Infatti:

1. I princìpi così innati nella ragione si dimostrano verissimi: al punto che è impossibile pensare che siano falsi. E neppure è lecito ritenere che possa esser falso quanto si ritiene per fede, essendo confermato da Dio in maniera così evidente. Perciò essendo contrario al vero solo il falso, e come è evidente dalle loro rispettive definizioni, è impossibile che una verità di fede possa essere contraria a quei principi che la ragione conosce per natura.

2. Inoltre, le idee che l’insegnante suscita nell’anima del discepolo contengono la dottrina del maestro, se costui non ricorre alla finzione; il che sarebbe delittuoso attribuire a Dio. Ora, la conoscenza dei princìpi a noi noti per natura ci è stata infusa da Dio, essendo egli l’autore della nostra natura. Quindi anche la sapienza divina possiede questi princìpi. Perciò quanto è contrario a tali princìpi è contrario alla sapienza divina; e quindi non può derivare da Dio. Le cose dunque che si tengono per fede, derivando dalla rivelazione divina, non possono mai essere in contraddizione con le nozioni avute dalla conoscenza naturale.

3. In più, ragioni contrarie legano l’intelletto nostro al punto da non poter procedere alla conoscenza della verità Perciò se Dio ci infondesse conoscenze contrastanti, impedirebbe al nostro intelletto di conoscere la verità. Il che non si può pensare di Dio.

4. Inoltre, ciò che è naturale non può essere mutato finché permane la sua natura. Ora, opinioni contrastanti non sono compatibili nel medesimo soggetto. Dunque non è possibile che Dio infonda nell’uomo un’opinione, o una fede, incompatibile con la sua conoscenza naturale. Di qui le parole dell’Apostolo: “Il messaggio è vicino a te, nella tua bocca e nel tuo cuore, cioè il messaggio della fede che predichiamo”. Ma poiché le verità di fede superano la ragione, alcuni sono potati a considerarle come contrarie ad esse; e questo è impossibile. Ciò è confermato da quelle parole di S. Agostino: “Quanto viene manifestato dalla verità in nessun modo può essere in contrasto sia col Vecchio, che col Nuovo Testamento”.

Da ciò si ricava con chiarezza che tutti gli argomenti addotti contro gli insegnamenti della fede non derivano logicamente dai princìpi primi naturali noti per se stessi. E quindi essi non hanno valore di dimostrazione; ma, o sono ragioni dialettiche, o addirittura sofistiche, e quindi si possono sempre risolvere.

(Summa contra Gentiles, Libro Primo, Capitolo 7)

Mauro Borghesi ha detto...

Sul fatto che facendo teologia fede e ragione debbano andare a braccetto posso anche essere d'accordo (purchè questo non significhi che la fede detta le regole di ragionevolezza alla fede).
Il punto in cui però divergono non è sulla teologia. E' nel momento in cui un pontefice (che si autodefinisce infallibile), in base a dati di fede interpreta la legge naturale dando indicazioni che pretendono di valere per tutti, credenti e non. Tu stesso parli di Legge Naturale e Legge Morale come di verità definite dall'alto una volta per tutte e sotto gli occhi di tutti. Se la verità oggettiva fosse così evidente come pensano Tommaso e Ratzinger, non ci sarebbe alcun bisogno di fede. Ma mentre apprezzo lo sforzo di san Tommaso che con la Scolastica ha cominciato ha dare comunque un valore alla ragione prima tanto osteggiata a scapito della fede, faccio fatica a trovare un pur minimo sforzo di passo in avanti in Ratzinger che 800 anni dopo avrebbe a disposizione molti elementi nuovi per rivedere posizioni di dominio della fede sulla ragione, per lasciare aperte verità che né la fede, né la ragione possiedono appieno, quali appunto quelle “naturali”, sull'inizio della vita, sulla sua fine, sull'orientamento sessuale, su celibato, rapporti prematrimoniali e tutti quei divieti che secondo il pontefice sono scritti nella natura, e che invece sono scritti solo nelle sue carte.
Mi fa piacere che questo argomento interessi, mi piacerebbe sapere chi sei e come ti chiami. Questa è una riflessione che a suo tempo mi aveva impegnato parecchio e avevo diffuso sperando suscitasse un dibattito che invece c'è stato un pochino solo su altri siti. Oggi tu mi riporti a quei temi e se mi dai un po' di tempo potrei cercare di approfondire il discorso.

robertob ha detto...

caro mauro,

ho appena letto il tuo testo, su aristotele, sulla
ragione e la fede, in cui rimandi all'esistenzialismo.
da esso sono
stato rinviato a kierkegaard, che, come sai, è considerato
l'iniziatore di tale movimento.
che potremmo dire si fonda sul famoso
detto "credo quia absurdum". ora, è sulla parola
"assurdo" che mi
soffermo. L'assurdo ha a che fare con la sordità, con il suono.
l'assurdo
è in qualche modo qualcosa che disturba l'ascolto. ascoltare
i suoni,le parole è una delle
prime attività della ragione. Allora,
prestare ascolto a quei suoni che "disturbano", che in
quietano la
ragione è il credere. esso dunque non è una sordità alle parole; esso è
un prestare
un ascolto sensibile alle "dissonanze". l'ascolto
dell'assurdo, allora, è un'altra forma di ragione.
perché ci sia
ascolto è necessario che ci siano buone orecchie; allora è necessario
che ci sia
un buon individuo, un buon soggetto. voglio dire che perché
ci sia un ascolto dell'"assurdo",
è necessario che ci sia la presenza
di un soggetto che studi i suoni, ossia che eserciti la ragione,
che
conosca la musica. insomma; per me si tratta di percorrere da parte
della fede e della ragione
un cammino di ascolto in cui esse ritrovino,
un eqwuilibrio, una "armonia" assurda! forse, dobbiamo cercare di
porci all'ascolto di dio e dell'uomo, soprattutto del loro punto di
incontro con orecchie si ben
preparate, esercitat, educate, ma che non
rischino di fare della loro acustica una sordità.
buon poneriggio.

roberto.