giovedì 4 febbraio 2010

Io cosa annuncio?


Qualcuno, più laico, valuterà questa domanda troppo cattolica: ma è proprio necessario “annunciare” qualcosa? Non sarà una fissa di voi cattolici? E allora parto da qui.
Annunciare non è facoltativo. Qualunque cosa tu creda o non creda annunci qualcosa, nel senso che dalla tua presenza, fatta di parole, silenzi, comportamenti, assenze, gli altri riceveranno sempre e comunque un messaggio, che tu lo voglia o no. Tanto vale rendersene conto ed usare questa capacità di comunicare in modo consapevole.
Dunque la domanda iniziale ha un fondamento. Io, visto che qualcosa annuncio, cosa annuncio?
E' una domanda che mi frulla dentro da un po' e penso mi faccia bene, perché mi aiuta a guardarmi da una certa distanza per vedere, in definitiva, se mi piace o no quello che rimando a coloro che incontro.
Uno potrebbe scoprire, per esempio, di annunciare soprattutto un gran rancore, una gran delusione nei confronti del Vaticano e delle autorità ecclesiastiche. E poi chiedersi, vale la pena vivere per annunciare questo? A volte, parlando con ex preti, ma anche con preti, sembra proprio di incontrare rabbia e delusione. Non che si debba accettare acriticamente tutto ciò che viene dall'alto, ma credo che non bisognerebbe mai permettere alla critica di conquistare l'anima di una persona, perché questa, per quanto abbia ragione nelle sue argomentazioni, lentamente cambierà, diventerà cinica, prevenuta, arida.
Uno potrebbe scoprire, per fare un esempio opposto, di credere ed annunciare solo la chiesa, quello che dice, che fa, che propone. Ma è assurdo. Scopo della chiesa non è annunciare sé stessa: se si vuole vivere per una associazione umanitaria non c'è bisogno di far parte della chiesa.
Ci sono persone che annunciano soprattutto i miracoli della Madonna, altri il pericoli del demonio. Si potrebbe andare avanti.
Poi da un punto di vista più personale, accanto all'aspetto religioso, c'è un annuncio che riguarda noi stessi e la considerazione di chi incontriamo. Si possono usare le proprie energie per decantare le proprie qualità e capacità, oppure per additare i difetti degli altri. In definitiva un errore che si fa spesso è proprio quello di annunciare sé stessi. So fare, sono capace, merito, non è colpa mia.
Credo che sia salutare per chiunque fermarsi di tanto in tanto e chiedersi, ma quello per cui mi do tanta pena, vale tutta quella pena?
Può darsi di sì, ma può darsi anche di no. Il mio annuncio vale il prezzo della mia vita?

Una volta fatto spazio sul tavolo della propria anima, un cristiano non può esimersi dal fare un passo avanti: ma io annuncio Cristo? In che senso sono cristiano? E prima ancora: me ne frega qualcosa di Cristo, della sua salvezza, delle sue parole, di quello che ha fatto “per me”? Il mio
annuncio è fatto di parole, di riti, di simboli tradizionali, o è qualcosa che davvero influisce nella mia vita?
Si può credere di annunciare Cristo perchè ci si dice cristiani, e poi di fatto annunciare con il proprio linguaggio “non verbale” tutt’altro. Si può credere di non credere in nulla ma avere un rispetto per cioè che chiamiamo “valori” che di certo non lascia indifferenti coloro che incontriamo.
Io non so bene cosa annuncio. Di certo anche la mia incertezza, i miei dubbi, le mie domande. Ma in certi momenti mi nasce dentro un GRAZIE che viene da lontano, che non ha senso, non vuole ottenere niente, non appartiene ad un ragionamento logico, ed in quei momenti penso di annunciare questa fede come altrimenti non accade mai.
Anche se non mi vede nessuno. Anche se in una folla non sono al centro. Anche se in quei momenti il pensiero di annunciare è proprio l’ultimo che mi passa per la testa.

1 commento:

Evergreen ha detto...

A commento di questo sereno e disarmante "messaggio" non mi viene altro in mente che questo: bellissimo!