domenica 5 ottobre 2008

San Francesco, prega per noi


Il santo d’Assisi ha sempre esercitato un fascino particolare su di me. Mai la tentazione di farmi frate, no niente del genere, ma proprio lui come persona rappresenta qualcuno che ha qualcosa da dirmi.
Francesco ha una intuizione che lo folgora, e si spoglia di tutto ciò che vi si mette in mezzo, tra lui e quella intuizione.
Và contro suo padre in un tempo in cui non tutti avevano la fortuna di nascere in una famiglia come la sua.
Và contro la logica, abbracciando lebbrosi e persone contaminate.
Và incontro al papa in un tempo in cui nascevano movimenti di contestazione che non riconoscevano l’autorità del pontefice. Và e gli chiede la benedizione, andando contro le aspettative degli innovatori e dei ribelli.
Và a predicare la conversione ad un sultano, in tempo di crociate, come andare verso morte certa. Come andare da Bin Laden a dirgli di farsi battezzare.
Fonda un ordine in cui c’è posto per le donne, il secondo ordine, e per gli sposati, il terz’ordine. Una cosa decisamente nuova per i suoi tempi.
Poi il suo stesso Ordine, fondato da lui, prende una strada che non è quella della sua intuizione, e si spoglia anche di quello, del frutto più grande, più prestigioso, della sua santità. Muore cieco e malato, incompreso, vicino a quei pochi fedelissimi che lo seguivano dalla prima ora.
Sperimenta l’assenza di Dio, perché nel momento di maggior bisogno non sa cosa fare, e nessuno – a quanto dice lui stesso – gli suggerisce cosa fare. Sperimenta la solitudine, la croce, diventa l’immagine di un crocifisso.
Non è la povertà di Francesco che mi colpisce. Non il suo amore per la natura. Non i suoi fioretti, i suoi miracoli, i canti che lo inneggiano. E’ lui.
La sua scelta così radicale. La sua capacità di guardare dritto alla metà senza lasciarsi distrarre da niente, neanche quando la sua creatura, il suo Ordine francescano, lo implora di scendere a compromessi, essere un minimo più accomodante, disposto a fare qualche eccezione sulle proprietà, sulle ricchezze, sulla formazione.
Ogni svolta nella sua vita è una specie di bivio, dove da una parte potrebbe scegliere di fermarsi e godersi i frutti del suo lavoro e della sua fama, e dall’altra c’è il vuoto, la solitudine, c’è lui e nessuno che gli dice “vieni qua”, tranne quell’intuizione degli inizi. Pure Dio tace.
E’ questo che lo fa grande, e me lo rende così attuale. Questa sua passione, questa sua fedeltà al Francesco delle origini, l’amore per quel Dio che non si vede, che continua a lasciare che gli uomini si perdano, si ammalino, si arricchiscano a danno di altri. Questo Dio che tace è però il Dio che veste i gigli del campo e nutre gli uccelli del cielo; è il Dio che nasce bambino e muore in croce per amore nostro e niente gli impedisce di pensarlo così, di vedere questo di Lui, prima della sua assenza.

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