venerdì 18 luglio 2008

Quello che non si dice


Quello che non si dice è ben più importante e più grave di quel che si dice. A tutti i livelli. A livello personale, a livello socio politico, a livello ecclesiale. E quando i dibattiti si fermano all’apparenza, alla notizia di cronaca, alla dichiarazione fatta, occorre stare all’erta perché molto spesso quel dibattito è un parlarsi addosso, un modo per sviare l’attenzione, un giudizio pesante verso altri temi riguardo ai quali non si vuole che vi sia alcun dibattito.

A livello personale
Questa regola di vita è vera innanzi tutto a livello personale. Ognuno di noi può constatare come il fatto di evitare certi giudizi, certi discorsi, evitare certe persone e situazioni sia forse conveniente nell’immediato, ma disastroso sui lungo tempo. Se lavoro in un ufficio che divido con due colleghi ed ogni mattina saluto uno e passo indifferente davanti all’altro non è vero che a quest’ultimo non faccio nulla di male: quel mio silenzio lo pugnala ogni volta, perché lui vede che con l’altro mi trovo a mio agio e comincia a pensare quali possono essere i motivi per cui non faccio altrettanto con lui, e di sicuro pensa a motivi poco carini.
In famiglia poi, è molto più diseducativo quello che non si dice di quello che si dice magari con troppa enfasi, magari in modo sbagliato. La nostra educazione basata sul non dire parolacce, non rispondere male, non urlare… troppo spesso dimentica che ben più importante di tutto questo è quello che trasmettiamo con il nostro silenzio. Un bambino piccolo che non piange mai ci sta segnalando un problema, anche se di certo il suo pianto non è piacevole da ascoltare. Ma anche tra i più grandi: quando c’è un argomento di cui non si può parlare o di cui per qualche tacito accordo di fatto nessuno parla (un lutto, un handicap, una separazione…) la tempesta è solo rimandata e a suo tempo presenterà il conto con interessi da strozzino.

A livello socio politico
Pensiamo alle notizie che giungono nelle nostre case attraverso i telegiornali più noti. Pensiamo a quanto è grande il mondo a quanti fatti importanti avvengono ogni giorno e a come sia riduttivo e ideologico sceglierne solo sei o sette, gli stessi per ogni rete, e informare su quelli. E magari tra questi vi troviamo la nascita dei gemellini di Brad Pitt, l’ultimo amore di Anna Falchi o le vacanze di Briatore. Dove è quello che non mi dicono?
Pensiamo anche alla tattica di Berlusconi che sta facendo scuola in Parlamento, e cioè cambiare rapidamente argomento presso l’opinione pubblica, quando le cose si mettono male. Il Popolo della Libertà si sta sfasciando per le dichiarazioni di Casini? Eccolo sul tettuccio di una decappottabile che annuncia la nascita del Partito unico. Ci sono problemi con l’Alitalia? Ecco spuntare dal cappello una dichiarazione sulle toghe rosse e sui processi che gli impediscono di governare.
Un breve focus anche su questioni di natura non prettamente politica. In questi giorni vi è un gran discutere su tutti i media sul caso Eluana Englaro e la relativa sentenza del Tribunale di lasciarla morire. Non entro nel merito della questione, ma anche qui mi chiedo: perché si parla di questo? O meglio, perché si parla così tanto di questo e così poco, per esempio, dello scioglimento dell’Artico? Forse che l’innalzamento dei mari ed il cambio di temperature non sta causando abbastanza morti? In realtà dei morti, che si chiamino Eluana o migliaia di Birmani travolti da un ciclone di proporzioni enormi, non importa granchè a nessuno. Semplicemente quello di Eluana è un argomento che in questo momento vende, e non crea fastidi a nessuno. Il clima invece qualche fastidio a qualcuno lo crea.

Non è mia intenzione criticare qui questo governo o fare una lezione di psicologia aziendale. Voglio solo dire che in una epoca pluri informatizzata, dove una notizia in un secondo fa 12 mila chilometri e dove si sa tutto di tutti telefonate comprese, il problema non è più sapere le cose, ma filtrarle, trattenere quelle rilevanti e tralasciare le altre. E magari fare una certa attenzione proprio a quelle notizie che per qualche strano motivo non ci inondano la casa, ma dobbiamo andarcele a cercare con santa pazienza.
Oggi infatti il modo nuovo di non far sapere una cosa è parlare d’altro, dando all’argomento di facciata grande enfasi, catalizzando l’attenzione in modo che ci si distragga da altri temi. Per questo ritengo che sarebbe molto più profetico stanare gli argomenti proibiti piuttosto che prendere posizioni sulle questioni su cui ci vengono propinate opinioni, sondaggi e via dicendo.

A livello ecclesiale
La cosa vale ovviamente vale anche per la Chiesa. Io molto spesso provo una certa frustrazione non tanto perché il Magistero si esprime in modo differente da come mi esprimerei io, ma per il fatto che le mie idee e quelle di tanti altri come me, non sono proprio prese in considerazione. Per il Vaticano i cattolici “critici” non esistono, semplicemente non sono cattolici per il solo fatto che contestano qualcosa.
Altrettanto problematico mi sembra un certo atteggiamento di omertà per cui spesso ci viene detto che è bene “non dare scandalo”, e quindi non dire, non pubblicare, non approfondire. Che grande autogol sia stato questo modo di fare ad esempio nel caso dei preti pedofili è sotto gli occhi di tutti. Non sarebbe stato meglio dire: “guarda che prima che alla legge canonica hai mancato verso la legge civile e quindi è giusto che paghi. Vatti a costituire, altrimenti ti denunciamo noi”?
Oppure prendiamo la grande fatica che la Chiesa intera fa a chiedere scusa per le proprie colpe. C’è riuscito a stento papa Woitila nel giubileo del 2000 andando un po’ contro tutti i pareri della curia vaticana. D’altra parte è ovvio che se si continua a sostenere che alcune persone sono infallibili, è difficile poi mettere in discussioni le loro affermazioni. No, ammettere di aver sbagliato è segno di debolezza, i semplici ne verrebbero scossi, “scandalizzati”. Guai dare scandalo! Come se non fosse uno scandalo su scala planetaria la stessa divisione dei cristiani tra cattolici, protestanti e ortodossi!
Oggi nella Chiesa non si dice che nessuno arriva vergine al matrimonio. Non se ne parla, ci si confessa prima del matrimonio, e poi via, a posto. E con questo sistema si benedice l’unione di due perfetti “pagani” come Briatore e la Gregoraci, dando per scontato che con una bella confessione prima del matrimonio si sono pentiti della loro vita precedente, e non si da alcuna benedizione ad un matrimonio dove si sa già che i due non possono avere figli (vedi la recente vicenda di Viterbo). Non si dice che molti sacerdoti non rispettano il celibato oppure lo rispettano in mezzo a mille tormenti. Anche qui basta confessarsi e tutto torna come prima. Si afferma con orgoglio che l’Italia è un paese cattolico, che ascolta le direttive dei vescovi quando è ora di non partecipare a certi brutti referendum proposti dai Radicali, ma ci si dimentica di andare a vedere in cosa credono questi cattolici che prevalentemente non vanno neanche a messa la domenica (quanta varietà di posizioni se si indaga sulle affermazioni del Credo!).
Oggi nella chiesa si continua a parlare dei divorziati risposati come di “situazioni irregolari” come se fossero poche mosche bianche in un mare di coppie felicemente sposate ed in procinto di festeggiare il 25°, il 40°, il 50° di matrimonio. Verso conviventi, divorziati, omosessuali, preti sposati c’è tanta misericordia e comprensione pastorale, ma nessun tentativo di andarli a cercare, di confrontarsi sulle loro ragioni e le loro esigenze.
Oggi nella Chiesa vi è un sistema di autosostentamento, il famoso 8 x 1000, molto discutibile perché attinge anche alle tasse di tante persone che non fanno alcuna scelta esplicita per la Chiesa cattolica. Ma anche su questo pare non sia possibile alcuna discussione, come se i soldi fossero un problema a parte, che riguarda qualche Dicastero del Vaticano nei suoi rapporti burocratici con lo Stato italiano e non qualcosa che invece compromette la nostra credibilità e coerenza evangelica come comunità di credenti.

Conclusione
Tirando un po’ le fila di tutto questo discorso dico a chi ha resistito fin qui che a mio parere il futuro della Chiesa è fatto di valori come il dialogo, la schiettezza, l’ascolto. Non dico che debba essere sempre così. I tempi cambiano, ed anche le priorità cambiano. C’è stato un tempo in cui era prioritario annunciare nelle piazze, a gran voce il messaggio del vangelo. C’è stato il tempo in cui la Chiesa è stata chiamata a governare la società tenendo insieme il potere temporale e quello religioso. Oggi il mondo è ben diverso. E’ diverso da quello che ha visto Pio IX quando ha scritto il Sillabo, è diverso ormai anche da quello con il quale ha tentato un nuovo approccio il Concilio Vaticano II. E siccome l’atteggiamento “profetico” è quello di guardare più al “dove stiamo andando” che al “da dove veniamo”, io credo sia davvero giunto il tempo, di imparare a dialogare, a dire le cose come stanno, e ad ascoltare.
Di certo la via per far questo inizialmente non potranno essere né la tv né i giornali.
L’informazione quotidiana a cui siamo sottoposti e nei confronti della quale pensiamo di mantenere una certa libertà di pensiero, forma la nostra mente non meno di quanto non faccia la scuola, il lavoro, e la vita in generale. Tante notizie mordi e fuggi, una dietro l’altra, con qualche pubblicità in mezzo, un po’ alla volta ci insegnano a dire molte cose e a non approfondirne nessuna. Anche nei talk show, dove si spera di assistere ad un dibattito in cui si confrontano voci differenti, gli invitati hanno sempre i minuti contati. Il tempo per lanciare degli slogan, delle frasi ad effetto, ma non per ragionare. Non è questo che serve. E non è questo che semina il Vangelo.
L’informazione cambia argomento velocemente e passa dal serio al faceto, dalla politica alla disgrazia in un battibaleno, senza dare tempo al nostro cervello di elaborare ciò che gli è rimasto impresso.
Una volta ho sentito un teologo, Enrico Chiavacci mi pare, dire che da un po’ aveva cominciato a rifiutare di parteciapare ai dibattiti televisivi a cui era invitato, se non gli garantivano di poter parlare almeno tre quarti d’ora senza essere interrotto. E in questo “metodo” c’è una grande verità.

2 commenti:

Felipe ha detto...

Tanto di cappello. Detto da un ateo.

Mauro Borghesi ha detto...

Grazie Felipe! Ciao.