domenica 28 agosto 2011

Mito e realtà

C'è qualcosa che non quadra nel bisogno di separare le fonti storiche, quindi vere, quindi affidabili, quindi portatrici di significato e senso, dalle altre genericamente dette "mitologiche", quindi false, quindi fuorvianti, frutto della fantasia eccessivamente fervida di qualche stregone di un lontano passato. C'è qualcosa che non va, innanzi tutto perchè il racconto "storico" è sempre segnato dal punto di vista di chi racconta, quindi limitato e parziale, e sia perchè a ben guardare il racconto mitologico è pieno di cose vere e non va affatto disprezzato. 
Il mito ha sempre accompagnato l'uomo nella sua angoscia esistenziale. Gli ha permesso di uscire dal tempo per riunirsi all'origine di tutto: una origine capace di spiegare perchè l'oggi è così come lo vediamo. Ecco allora che il mito ci fa sognare un nuovo inizio, una nuova gioventù, ci permette di "staccare" da una quotidianità muta, banale, ripetitiva ed inesorabilmente direzionata verso la morte. Potremmo dire che in un racconto mitologico non abbiamo la cronaca precisa e dettagliata di un determinato periodo o evento storico, ma abbiamo in compenso l'esperienza interiore che i protagonisti di quel lontano evento hanno vissuto. Un'esperienza raccontata con un linguaggio colorito, fantasioso, ma comunque densa di senso, almeno per loro.
Il mito infine è segno che all'uomo dell'antichità non interessa la storia, vista come un assurdo susseguirsi di dolori, ingiustizie, perdite. Fin qui quello che ho capito leggendo "Mito e realtà", "Il mito dell'eterno ritorno" e "Trattato di storia delle religioni" di Mircea Eliade (consiglio i primi due, veloci e di facile lettura).
Ora, perchè questo interesse per il passato?
Potremmo fregarcene, accontentarci di ricevere poche certezze "cronologiche" dalla storia, sensonchè il Cristianesimo ha la pretesa di essere fondato su un fatto storico ben preciso, e non accetta, almeno nella versione cattolica, di scendere a compromessi.
Già con l'Ebraismo il rapporto con la storia aveva cominciato a cambiare. Progressivamente la storia acquista importanza e diventa il luogo della manifestazione di Dio. La questione diventa di cruciale per noi cristiani che fondiamo la nostra fede su testi, i vangeli, che risentono fortemente di un linguaggio mitico, ma allo stesso tempo pretendono la storicità concreta, la "carne", del Cristo.
Arroccarsi sulla storicità dei miracoli quando si hanno in mano testi ripresi da più mani, in epoche diverse, che raccontano lo stesso episodio spesso contraddicendosi a vicenda, non porta alcun frutto. E allora come si fa?
Lasciamo un attimo da parte i vangeli e concentriamoci su di noi, sul nostro concetto di "vero" e "attendibile". Culturalmente siamo figli di una contrapposizione tra chi da una parte definisce i vangeli testi di storia e "quindi" credibili, e chi dall'altra invece, non ritenendoli attendibili da un punto di vista storico, li scarta come racconti privi di qualsiasi valore. Se da una parte è importante definire cosa c'è di storico nei vangeli, dall'altra mi sembra opportuno sottolineare - e questo lo fanno in pochi - che anche laddove il testo risentisse di un linguaggio mitico non per questo dovremmo chiuderlo e metterlo nello scaffale delle favole per bambini.
E' fondamentale per la chiesa primitiva insistere sulla storicità di Gesù Cristo, sulla incarnazione e sulla resurrezione della carne. Questo non può voler dire che i vangeli siano una "fotografia" obbiettiva delle azioni e delle parole di Gesù di Nazaret. Non si tratta di una fotografia esatta del passato, ma neanche di un disegno frutto di allucinazione collettiva. Come ci poniamo noi oggi verso quella pretesa storica così evidente nelle lettere paoline, nei testi dei padri, nei primi concili? Cristo è solo uno dei tanti nomi del nostro bisogno religioso, o ha senso credere che in quest'uomo fosse presente qualcosa di diverso?
Rovesciando la questione: l'incarnazione e la resurrezione devono per forza essere andate letteralmente come dicono i vangeli, che non sono libri storici nel senso moderno, oppure sono "esperienze" interiori, o collettive, raccontate con quello specifico linguaggio e possono avere per noi un senso senza che per forza le intendiamo come interventi contro natura direttamente compiuti da Dio?
Come si sarà capito anche da precedenti post non ho la soluzione, ma insisto perchè il tema mi sembra cruciale e penso che una chiesa che a parole ha tanto rispetto per la ragione dovrebbe aiutare i credenti a porsi domande più che a chiedere fiducia cieca nei propri documenti.

Bultmann e il manifesto della demitizzazione
Rudolf Bultmann, teologo protestante, ha tentato una radicale demitizzazione del Nuovo Testamento. Riporto alcuni passaggi che da soli rendono l'idea delle "pericolose" conseguenze a cui è possibile arrivare.
"La raffigurazione neotestamentaria dell'universo è mitica. Si considera il mondo articolato in tre piani. Al centro si trova la terra, sopra di essa il cielo, e sotto gli inferi. Il cielo è l'abitazione di Dio e delle figure celesti, gli angeli; il mondo sotterraneo è l'inferno, il luogo dei tormenti. Ma non perciò la terra è unicamente il luogo dell'avvenimento naturale quotidiano, delle sollecitudini, cioè, e del lavoro dove regnino l'ordine e la regola: è anche il teatro d'azione delle potenze soprannaturali, di Dio e dei suoi angeli, di Satana e dei suoi demoni. Le forze soprannaturali agiscono sugli avvenimenti naturali, sul pensiero, sulla volontà e sull'operare dell'uomo; i miracoli non hanno nulla d'insolito (...). Ora, quando leggiamo i vangeli o il resto del Nuovo Testamento, non possiamo onestamente dimenticare che queste cose sono nella mente di chi scrive. Questa per l'autore, è la normalità. E per quanto crediamo nel Dio di Gesù Cristo, non potremo mai arretrare di un passo su questo.
Continua Bultmann: "La rappresentazione dell'evento della salvezza, che costituisce il contenuto specifico dell'annuncio neotestamentario, è coerente con questa immagine mitica del mondo (...) Quello neotestamentario è tutto un discorso mitologico, e i motivi in cui lo si può scomporre sono facilmente riconducibili alla contemporanea mitologia dell'apocalittica giudaica e del mito gnostico della redenzione. Ora in quanto discorso mitologico, non è credibile dagli uomini di oggi giacchè per costoro la figura  mitica del mondo è dissolta". 
A me questa pagina sembra veramente come il lancio di un masso nello stagno. Date queste premesse non possiamo non chiederci se il Nuovo Testamento "contenga una qualche verità che sia indipendente dalla visione mitica del mondo; in tal caso compito della teologia sarebbe quello di demitizzare il messaggio cristiano"
Così Italo Mancini ripropone la questione di Bultmann:
"Possiamo determinare meglio l'interrogativo cruciale, o per esprimerci con le parole di Bultmann, "la questione bruciante". Eccola: qual'è il significato della predicazione di Gesù e della predicazione di tutto il Nuovo Testamento per l'uomo moderno? Visto che le concezioni mitologiche sono sorpassate e soppresse, un rapporto con il Nuovo Testamento sembra non potersi dare che in uno dei tre sensi seguenti:
1. O continuare a credere nella vecchia maniera facendo un difficile e sempre meno consentito sacrificium intellectus, rinunciando a comprendere per accettare ciò che non possiamo onestamente tenere per vero, semplicemente perchè tali rappresentazioni si trovano nella Bibbia (...)
2. Oppure riprendere il motivo riduttivistico della scuola liberale per cui si ritiene valido quanto Cristo ha inculcato sulla società spirituale, sulla interiorità e dirittura della coscienza, sulla vita etica, rinunciando alla sua predicazione escatologica, al suo annuncio di salvezza (...) 
3. Oppure (...) attuare il gran disegno ermeneutico di leggere dentro al mito una comprensione autentica dell'esistenza che non sia soltanto dottrina inefficace (...). Se è così dobbiamo abbandonare le rappresentazioni mitologiche proprio perchè vogliamo conservare il loro significato più profondo. Questo metodo (...) lo chiamo demitizzazione. Lo scopo non è quello di eliminare gli enunciati mitologici, ma di interpretarli."

Mi sembra evidente che l'unica strada percorribile per l'autore, ma anche per me, sia l'ultima. Si apre qui il problema ermeneutico, cioè di cosa significa interpretare, come si fa, chi lo può fare. Però, se almeno potessimo dire, come cattolici, che questa è l'unica pista sensata da percorrere, sarebbe già un passo in avanti enorme.
L'annuncio della resurrezione, oggi, non dipende in definitiva solo dalla credibilità della chiesa, dalla coerenza dei suoi uomini di spicco, dalle buone azioni. Un cattolico "ragionante" dovrà prendere in mano anche la parte teorica - dottrinale che lo definisce in quanto cattolico e chiedersi oggi a che serve questa resurrezione "storica" di Gesù. In quale luogo fisico è ora, se è risorto con il corpo, oppure, se si rinuncia ad un atteggiamento miracolistico - non alla fede! - quale messaggio di resurrezione può essere svelato nella reale morte in croce dell'uomo Gesù.Certo. Si rischia l'eresia, la caduta in posizioni gnostiche, ok. Ma "credere" rinunciando all'intelletto non ci fa certo grande onore.

Nota: Le citazioni di Bultmann e di Mancini sono prese dall'inizio di "Nuovo Testamento e mitologia", di Rudolf Bultmann, Ed. Queriniana, 2005.

1 commento:

Evergreen ha detto...

Tutto quaggiù è simbolo e sogno. Lo diceva ancor prima quel grande spirito liberale che fu Ernest Renan.
Il suo incantevole "Ricordi d'infanzia e di giovinezza" oltre che la sua bellissima "Vita di Gesù" andrebbero consigliati a tanti cattolici timidi e dalla mente pigra e indolente.
P.S.: ottimo post. Complimenti!