domenica 5 giugno 2011

Alla Ricerca di Un'etica Universale


Propongo qui di seguito la trascrizione di un breve passaggio di Vito Mancuso, estratto da una conferenza sul Bene Comune tenuto a Milano il 4 aprile 2011.
Mi pare importante lavorare per costruire "ponti" con il mondo non cattolico e in genere con la società civile. Ponti di intesa etica, più che di compromessi politici e vantaggi economici. A questo fine ogni contributo mi pare prezioso. Certo, qualcuno mi ricorderà che la Chiesa ha la missione di annunciare una novità, non solo di dialogare, ma l'annuncio oggi non può più essere principalmente un contenuto razionale - dogmatico: l'annuncio oggi si gioca sulla coerenza, sulla testimonianza, sul fare. A livello teorico invece, ritengo importante valorizzare il bene che esiste fuori dalla religione, il bene che sorge per vie diverse da quelle della fede, il bene che senza vergogna o timore alcuno possiamo giustamente definire "comune"
La trascrizione del'intero intervento è presente sul suo sito www.vitomancuso.it , ma il testo è un pò lungo. In questo estratto Vito commenta positivamente un documento della Commissione Teologica Internazionale che si intitola "Alla Ricerca di un'etica Universale", datato 6 dicembre 2008. Quindi un testo ufficiale, approvato dalla Santa Sede. Il documento in questione si può scaricare sul sito del Vaticano.

Autonomia delle realtà terrene
(Questo testo) dice che esiste un’autonomia di tutto ciò che è al mondo. Esiste un’autonomia del mondo, anche dal punto di vista etico, perché la persona umana, a differenza di chi umano non è, è capace di valutare ciò che per lei è buono o non è buono. (...)
Altre parole che scrivono: “L’uomo deve inserirsi in modo creativo e insieme armonioso in un ordine cosmico o metafisico che lo supera e che dà senso alla sua vita. Infatti tale ordine è impregnato di una sapienza immanente. E’ portatore di un messaggio morale che gli uomini sono in grado di decifrare”. Ed è bellissimo che in questo documento ci siano delle belle pagine dedicate alla Regola d’Oro. Tutti voi sapete che cos’è la Regola d’Oro! “Non fare agli altri quello che non vuoi che gli altri facciano a te”. (...) il fare agli altri quello che vorresti che facessero a te, può generare anche qualche cosa di attivo, cioè non aspetti semplicemente che l’altro ti chieda, ma tu intervieni, tu fai qualcosa. E non è un caso che il cristianesimo certamente ha fatto le conversioni forzate, ma ha fatto anche gli ospedali, ha fatto anche le scuole, ha messo in piedi tutta un’azione caritatevole indubbiamente diffusa in tutto il mondo. E probabilmente la via giusta è sempre tenere questa duplice cosa: Non fare agli altri e Fare agli altri. Non è mai semplice la vita … questo è il discorso. Continuo a citare dal documento al n. 42, mentre quelli di prima erano tratti dal n. 12: “La persona umana, a differenza degli esseri che non sono dotati di ragione, è capace di valutare ciò che per lei è buono o cattivo. Questa insistenza sulla dignità del soggetto morale e sulla sua relativa autonomia si fonda sul riconoscimento dell’autonomia delle realtà create”.
Esiste un’autonomia. Cioè, chi ragiona dicendo – tanto per fare un esempio noto che abbiamo letto sui giornali - “C’è stato il terremoto, la catastrofe e quindi Dio, attraverso questa catastrofe ha voluto punire le persone” …
Oppure chi ragionava un tempo dicendo “Hai avuto un bambino che ti è nato con la sindrome di Down, o con la spina bifida, è perché Dio ha voluto punire te, tuo marito o chissà chi …”. Ecco chi ragiona così dimostra innanzitutto un’umanità che è vicina allo zero, secondo poi, non sa nulla di teologia, terzo non sa nulla di metafisica cristiana. E, ragionando così, esprime tutto il suo risentimento, la sua cattiveria, il suo disagio nei confronti del genere umano e della vita. E genera nella sua mente un mostro divino che è blasfemo rispetto al vero Padre di cui parlava Gesù di Nazaret.


La morale del sillogismo
“Esiste un’autonomia delle realtà create”, continua il documento della commissione, “E per questo in morale la pura deduzione per sillogismo non è adeguata”, sentite com’è forte questa affermazione. Cioè, se tu vuoi essere un cattolico nel vero senso delle parole, e non nel senso bacchettone del termine, tu non puoi prendere i principi morali del cattolicesimo e applicarli per sillogismo ad ogni situazione concreta. Non lo puoi fare, perché ti comporti come il peggiore dei talebani, come il peggiore dei fanatici, cioè di chi non conosce la concretezza della situazione reale.
L’azione morale si costruisce tenendo presenti sempre due pilastri. Questo è un concetto decisivo e importantissimo! Il primo pilastro sono i principi morali, il secondo è la conoscenza della situazione concreta. L’azione morale non è nient’altro che il ponte che collega questi due pilastri nel modo migliore possibile, per creare la migliore armonia, la migliore giustizia, il migliore benessere per la situazione concreta. Questa è la vera azione concreta che si pratica mediante la sinderesi, (cioè) mediante la coscienza personale.
E qual è la virtù della mente per cui “la pura deduzione del sillogismo” non è adeguata? Qual è la virtù morale che si richiama? E’ quella che costituisce la prima delle quattro virtù cardinali, cioè la prudenza. Ora, quando noi diciamo prudenza dobbiamo cancellare dalla mente il concetto consueto con cui noi argomentiamo al riguardo: “sta attento ad attraversare la strada”, questa è la prudenza … perché la prudenza è diventata la virtù ecclesiastica per eccellenza, “bisogna essere prudenti …”, la diplomazia. Ecco, tutto ciò ha ben poco a che fare con la prudenza nel senso di phronesis, questa è la vera prudenza. La prudentia latina traduce il greco phronesis, che è la virtù del discernimento. Phren in greco significa “mente”, quindi è l’esercizio della mente, è la comprensione della situazione concreta, cosa a cui Carlo Maria Martini ha educato largamente la nostra diocesi, proprio nel discorso del discernimento, il fare discernimento. E questo significa praticare la prudenza, ma nel senso classico del termine, non nel senso ecclesiastico.


Oggettività del Bene e Soggettività della Fede
Vorrei completare questa "provocazione" di Mancuso, vero profeta dei nostri tempi, con un'altra citazione presa da un suo articolo scritto per “la Repubblica” il 26 febbraio 2010. Il titolo era "Se la vita è senza fede" e gli argomenti erano i medesimi affrontati qui sopra.

Una coscienza matura non fa il bene perché lo dice il papa, eseguendo quello che dice il papa, all'insegna della morale eteronoma; la coscienza matura fa il bene autonomamente, lo fa perché sente che è suo dovere farlo, senza temere, quando è il caso, di andare persino contro quello che dice il papa (come quei cattolici che nell'Ottocento si battevano per la libertà religiosa, condannata aspramente dai papi del tempo). Mi chiedo però di che cosa sia segno questo senso del dovere rispetto al bene che la coscienza avverte dentro di sé, mi chiedo che cosa dica dell'uomo. E rispondo dicendo che esso è l'attestazione di una dimensione più profonda
dell'essere, la quale, se risulta così affascinante e normativa per la coscienza retta, è perché ne costituisce l'origine da cui viene e il fine verso cui tende, ovvero quel "principium universitatis" che Tommaso d'Aquino in Summa contra gentiles I,1 dice essere il nome filosofico di Dio. (...)
Questo mio legare Dio all'oggettività del bene e della giustizia, ben lungi dall'escluderlo come mi si accusa, riproduce la medesima prospettiva di Gesù: "In quel giorno molti mi diranno: «Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome?». Ma io dichiarerò loro: «Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l'iniquità»" (Matteo 7,22-23). È solo la concretezza della giustizia quale forma stabile della nostra più intima energia vitale a condurre in quella dimensione eterna dell'essere che chiamiamo Dio, mentre non serve a nulla riempirsi la bocca delle più devote professioni di fede se, dentro, si è iniqui ("non vi ho mai conosciuti").

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