domenica 9 gennaio 2011

FEDE o IDOLATRIA


Il nichilismo è la negazione del senso, poichè ritiene impossibile non solo la fede in un senso supremo, ma in qualsiasi senso. (...) Il relativismo afferma la relatività di ogni valore. Ma è certo che i valori sono relativi? Si, essi lo sono, ma in un senso ben diverso da quello affermato ed inteso dal relativismo. Essi sono relativi non al soggetto che valuta, ma ad un valore assoluto. Solo partendo da un valore assoluto si può esprimere un giudizio di valore. Ogni valutazione, dunque, suppone un valore massimo, un optimum, dal quale le cose ricevono un loro valore. (...)
Insomma, solo partendo da un valore assoluto, da Dio, le cose ricevono valore. Solo quando le lasciamo comparire dinanzi al tribunale divino, sia pure in forma tacita ed inconscia, saremo capaci di calibrare il valore che loro corrisponde. (...) L'essenza di ogni idolatria sta nel dimenticare tale valore assoluto, precedente ad ogni valutazione e superiore al valore delle cose, nel dimenticare cioò che "tutte le cose servono solamente per tenere il posto del Signore" (Beer-Hofmann Richard). (...)
Dio non lo si incontra in nessuna dimensione, per il semplice motivo che egli è la dimensionalità dei riferimenti valoriali. Come il punto di fuga si trova al di fuori del piano di un quadro, e quindi non è contenuto nell'immagine, anche se ne rende possibile la prospettiva, ugualmente lo spazio della trascendenza supera il piano della pura immanenza, sebbene, lo costituisca. Le cose possiedono senso e valore nella misura in cui li trasmettono ad un altro, a qualcosa di superiore, nella misura in cui li sacrificano per amore di qualcuno. Questa è la vera relatività dei valori. In una parola, sebbene sembri paradossale, le cose valgono per essere sacrificate. Il senso sacrificale costituisce il loro vero valore. Ciò che in fondo determina il prezzo di una cosa è la possibilità di essere offerta a qualcosa di superiore. (...)
Alla persona intesa in questo senso si riferisce l'Antico Testamento quando parla del cuore, quando dice che l'uomo deve "amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze". L'uomo deve amare Dio in qualsiasi circostanza, in maniera assoluta, anche se gli sono sottratte tutte le possibilità nella scala dei valori, anche se rischia di perdere il penultimo valore, cioè la vita stessa. Ciò che gli viene chiesto è di essere pronto a dare, ad offrire, a sacrificare tutto: in fondo gli viene chiesta l'incondizionata disponibilità all'oblazione. (...) Disperato può essere solo un uomo che ha idolatrato qualcosa, che ha posto qualcosa al di sopra di tutto. (...) L'idolatria che è alla base della disperazione, proietta al di là della vita e affonda le radici nella dottrina, nella teoria, nella filosofia, portando con sè la disperazione non solo nella dimensione personale, anche in quella delle cose. Colui che dubita dell'esistenza di un senso supremo, e PER QUESTO dispera, ha anch'egli idolatrato qualcosa: la ratio come unica possibilità di ricerca e di interpretazione del senso. In tale idolatria della razionalità naufraga l'uomo faustiano, così come naufraga la sua caricatura, ossia l'uomo nevrotico, che cavilla e sospetta in modo ossessivo e nevrotico, alla ricerca, per vie razionali, della sicurezza al cento per cento, sia nel conoscere che nell'agire. Invece di abbandonarsi fiducioso alla sapienza del cuore, allo spirito inconscio, non riflesso e non intellettualizzato, invece di rimettersi fiducioso a tale emozionalità, in senso ampio e profondo, ed accettare la provvisorietà ed occasionalità della vita, egli vuole fare assegnamento solo sulla razionalità.
Si comprende allora cosa si intende con l'espressione "sacrificium intellectus", che ha una considerazione tanto cattiva: anche l'intelletto può essere idolatrato e tale idolatria conduce alla disperazione quando l'uomo lo finalizza in maniera esclusiva alla comprensione dell'essere e del senso. Il "sacrificio dell'intelletto" significa il riconoscimento che c'è qualcosa di più alto, di superiore a lui, e che si è disposti a sacrificarlo, a rinunciarvi. Il "sacrificium intellectus" infatti, non è la rinuncia all'intelletto, alla ratio come tale, ma solo la rinuncia alla sua idolatria.
Brano tratto da Homo Patiens, di Victor Frankl, Queriniana.

2 commenti:

Mauro Borghesi ha detto...

Bellissimo!

CiPi ha detto...

Questa prolusione sul sacrificium intellectus avrebbe valore SOLO SE dessimo per scontata la premessa che l'intelletto umano NON E' fatto a immagine e somiglianza dell'Intelletto Divino e che dunque seguendo il cammino della Ragione non giungeremo mai a Lui come, invece, possiamo fare seguendo il cammino dell'Amore. Ma ci si dimentica che Dio non è solo Amore, ma anche e soprattutto VERITA'; e la Verità non si persegue con i sentimenti, ma con l'intelletto.
Da questo punto di vista, la fede non è che una stampella chiamata a compensare il "sacrificium intellectus".