sabato 4 dicembre 2010

La fede come pericolo


L'informazione guida e orienta tutto il resto. L'informazione e, chiaramente, la mancata informazione.
Chi guida l'informazione sa cosa incanta, cosa spegne il senso critico e per l'inverso cosa destabilizza e spinge al senso di giustizia, di verità. Sapendo, sceglie, non di rado in funzione degli appoggi finanziari che la sostengono.
Siamo inondati da brutte notizie. Se ne accumulano più di quante se ne possano smaltire presso quei bidoni - pattumiera che sono i tg nazionali. Proprio come l'immondizia di Napoli.
I commenti di disgusto e distacco sembrano fatti con lo stampino.Tutti in fila ad additare lo zio mostro, l'immigrato stupratore, la madre assassina. Anche le scappatelle con minorenni dell'attuale dotato premier sembrano stuzzicare più la voglia di scandalo che di capire.
La cronaca nera vende più della malapolitica, perchè questa è più complicata da capire e ci tocca da vicino.
Le belle notizie non vendono.
Abbiamo bisogno di emozioni, ma che non ci coinvolgano in prima persona. Vogliamo provare emozioni forti legate a storie mitologiche, assolute, dove il bene è bene ed il male è male, e soprattutto dove noi siamo spettatori, al di là del bene e del male e perfettamente in grado di giudicare e scegliere da che parte stare, un potere illusorio ben rappresentato dal telecomando in mano. E chi fa informazione lo sa.
Questo è l'aspetto che più mi preoccupa: più che conoscere i risvolti dell'ultimo omicidio in diretta.
Abituati a dare colpe a media, politici, multinazionali, banche... ci siamo convinti che ci sia ben poco da fare, perchè ben poco dipende da noi. L'Italia in particolare, sta passando per un paese di pessimisti.
Questo quadro mi sta facendo riflettere su un paio di questioni:
1. Possiamo renderci conto che qualcosa possiamo fare. L'accento non è tanto sul "qualcosa possiamo fare", quanto sul "renderci conto". Fare un atto di consapevolezza. Prima di cambiare il mondo bisogna cambiare sè stessi, la nostra auto percezione e la percezione che abbiamo del mondo. Scoprire che il mondo dipende da noi, non dagli altri. Non basta votare per dare il nostro contributo al paese. E' comodo fare una croce e poi "fidarsi" per qualche anno, dopo il qualche puntualmente scoprire con disgusto che le promesse non sono state mantenute. Rompere le palle, ecco cosa bisogna fare, tramite sindacati, associazioni, piazze, internet. In una parola: non delegare. C'è una fede che tanto il laico quanto il credente devono combattere: è la fede di chi delega, per non occuparsene. Una fede che è stretta parente del credere nei miracoli e giustamente dice Renè Girard "il miracolo favorisce la pigrizia intellettuale e persino spirituale, sia nei credenti, sia nei miscredenti". Certamente un genitore deve fidarsi della scuola, dell'associazione sportiva, della parrocchia, non può essere onnipresente. Però può interessarsi, informarsi e soprattutto non dare per scontato che ci si possa fidare sempre di chi dice "fidati di me". Un genitore che affida suo figlio a qualche palestra, o catechismo, o chicchessia vigilerà sugli effetti di tale affidamento sul figlio stesso. Lo osserverà senza ossessionarlo, saprà cogliere tutti i segnali di cambiamento, in bene o in male. Se smettiamo di fidarci acriticamente delle istituzioni e vi entriamo dentro per capire come funzionano, che gente e che aria tira... ecco che stiamo già cominciando a fare qualcosa.
2. Educare all'informazione. Una volta ci venivano dette solo alcune cose e mancava la libertà di informazione. Era l'epoca dei governi esplicitamente totalitari, che ti imponevano una idea, un concetto di bene, pronti a sacrificare la realtà, in nome della loro idea. Oggi pensiamo di aver superato quel periodo. E pensiamo che per ascoltare un telegiornale non ci voglia una laurea. Le notizie sono lì, a tutte le ore, di tutti i tipi. Le tv sono tutte accese, i siti web tutti accessibili, le radio ci accompagnano negli spostamenti, e poi news sul telefonino, quotidiani gratuiti, e tutti possono dire tutto. Senonchè pochi si sono accorti che in questa babele dei linguaggi, in questo caos frastornante di informazioni, dove ogni giorno anche sul meteo si riesce a dire una cosa ed il suo contrario e tutto è opinabile, l'effetto finale è lo stesso che voleva il comunismo ed il fascismo, abbiamo smarrito la notizia. In fondo il giochino è semplice: se una voce non puoi zittirla, puoi comunque confonderla in un mare di voci, dove anche lei diventerà una fra le tante, un bla bla inutile tra gli altri. La notizia affogherà a causa delle parole. Ecco allora che educare all'informazione è una sfida ancora attuale, come ai tempi in cui sapere era vietato. Guai a bere in modo acritico dalla prima fonte che ci sveglia al mattino. Oggi una cosa che posso fare per cambiare il mondo è cercare le informazioni. Fare attenzione agli avverbi, agli aggettivi, con cui ci vengono confezionate. Ti diranno che la notizia pura e oggettiva non esiste, che una interpretazione c'è sempre ed è inevitabile, ok, ma allora a maggior ragione dovrò ascoltare più fonti e mettere una distanza tra me e quello che tu dici.
Educare all'informazione però non significa semplicemente cercare la vera informazione. Significa anche tenere desto uno sguardo vigile sulle intenzioni di chi mi da informazioni. Al di là della fondatezza della informazione, perchè mi viene detta questa cosa? Perchè questa insistenza? Perchè questa precisione di particolari? Cosa non mi viene detto mentre la mia attenzione è pilotata, quasi obbligata a districarsi tra le affermazioni dell'ultimo criminologo o presentatore televisivo?
Ecco che l'informazione, pur con tutti i suoi limiti, sconfina nella formazione.
Qualunque cosa entri nel cervello nostro e dei nostri figli educa, oppure diseduca. Niente è neutro. Niente passa inosservato o senza conseguenze. Per questo Popper nel 1994 diceva che bisognerebbe dare una patente a chi fa televisione. Per questo al contrario, alcuni autori preoccupati solo dell'indice degli ascolti, sostengono apertamente il contrario (Brachino, Lanza...).

Come cristiani ci chiediamo infine anche come la chiesa potrebbe affrontare questa crisi educativa. Certamente sono positive tutte qulle realtà che educano al bello e al difficile, e sono tante. La chiesa dal basso non ha a mio parere una grande formazione educativa, ma si da da fare, raggiunge con proposte di vita tantissimi ragazzi. Più problematica è la chiesa dei vertici, che indica gli obiettivi, le regole, i valori. Che promuove e rimuove, che interviene e tace. Un sapere verticale che cala dall'alto sottoforma di comandamento di certo non aiuta a vivere la fede in modo consapevole e pienamente cosciente. La chiesa, se crede alla formazione e al ruolo dell'informazione, deve cominciare a interrogarsi sul suo modo interno di comunicare, di collaborare e di formare.

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