sabato 20 dicembre 2008

L’inizio di un lungo viaggio


Una delle figure più bizzarre che troviamo all’inizio del vangelo di Matteo è quella dei Magi, misteriosi personaggi "giunti dall'oriente" per adorare il bambino appena nato. Personaggi misteriosi perché sono presenti solo qui, nel vangelo di Matteo, all’interno del vangelo dell’infanzia.
Personaggi di spicco dell’antico Oriente, spuntano dal nulla proprio alla nascita di Gesù. Chiedono informazioni, seguono una stella che indica loro la direzione da seguire, poi giunti davanti al bambino lo adorano ed offrono doni. Infine se ne vanno, sempre in silenzio, e di loro non si parla più.
Vista la singolarità e l’inutilità (ai fini del racconto) della loro comparsa nei vangeli è chiaro che la loro presenza ha una funzione simbolica: Matteo vuole dirci qualcosa, e stando a quanto appena esposto è un qualcosa che poi tornerà lungo tutto lo svolgimento del vangelo.
La tradizione ha sentito il bisogno di dare una veste regale, un volto, un nome, un numero a questi uomini e ai loro doni, per poi dare un significato anche a questi elementi aggiunti. In realtà è più importante restare concentrati sul senso della loro presenza piuttosto che sui particolari che il testo tralascia.
Questi uomini, come abbiamo detto, vengono dall'Oriente, cioè da lontano. Probabilmente erano sapienti, studiosi degli astri. Essi nel vangelo parlano ben poco perché è il loro viaggio che parla, la loro presenza e adorazione al bambino è più eloquente dei particolari sulle loro origini e del loro viaggio. Essi non sono ebrei, questo è l’elemento sottolineato da Matteo, e ciò nonostante riconoscono Gesù come loro salvatore. 
Con questi Magi Matteo mette i suoi lettori di fronte ad una verità scomoda: anche tra gli stranieri vi sono persone capaci di riconoscere il messia!
Matteo, ricordiamo, scrive ai cristiani di origine ebraica. A ebrei convertiti al cristianesimo, ma ben legati alle proprie tradizioni. Sappiamo dall’Antico Testamento quanto ci tenesse il popolo ebraico a non confondersi con i popoli vicini, quanto fosse geloso del suo unico Dio, più forte degli altri, al suo Tempio, a quelle pratiche religiose che rinsaldavano il legame tra le tribù nate dai figli di Giacobbe ed unite dalla parola degli stessi profeti. L’”Oriente” per gli ebrei significava Babilonia, ricordo dei tempi in cui furono deportati e sradicati dalla loro terra. Gli orientali, quindi, non erano propriamente visti di buon occhio.
Sappiamo soprattutto dagli Atti degli Apostoli (cap. 15), ma anche da alcune lettere di Paolo, come la Chiesa primitiva fosse ben presto arrivata a scontri interni piuttosto seri proprio sull’apertura del messaggio di Cristo ai popoli pagani, idea appoggiata con grande impeto da Paolo, ma fronteggiata da quegli apostoli che pur avendo vissuto a fianco di Gesù non avevano mai smesso di essere ebrei, e a lungo continuarono a pensare che il regno promesso da Gesù riguardasse esclusivamente i figli di Israele.
In questo contesto nasce il vangelo di Matteo. Il suo problema è: rispettare il passato e l’identità dei destinatari che sono appunto ebrei (per questo si usa un linguaggio a loro adatto, con circa 130 citazioni bibliche e usando i numeri per il loro significato simbolico preso dalla tradizione ebraica), aiutandoli però ad allargare i propri orizzonti ed accettare che il loro Dio è Dio di tutti i popoli, ed il Figlio di questo Dio è venuto per tutti, non solo per loro.
Matteo compie quest’opera utilizzando molti strumenti. Nella genealogia di Gesù (cap. 1), ad esempio, vengono inserite quattro donne straniere1. Grande enfasi poi viene data agli stranieri o alla predicazione di Gesù nei territori di confine (Matteo 4,13-16 e 4,24-25). La casa d'Israele conoscerà per prima l’annuncio del vangelo (missione dei discepoli al capitolo 10 di Matteo), ma l'annuncio sarà esteso a tutti i popoli, dopo la resurrezione. "Andate, e fate discepole tutti le nazioni" (Matteo 28,19).
Un altro strumento per indicare l’universalità del messaggio cristiano è dato dalla figura dei Magi.
Essi compiono un viaggio che tanto tempo prima aveva già fatto Abramo. Anche questo serve per farli accettare meglio. Egli partì come loro, da una terra lontana, sempre da oriente, seguendo la promessa di Dio che lo avrebbe reso "padre di una moltitudine di nazioni". La stella che i Magi seguono richiama fortemente quella fede, quella incoscienza di compiere (a quei tempi!) un viaggio verso l’ignoto. Quella stella diversa dalle altre, li precedeva sempre, ed era come una indicazione divina. Essi al vederla “provarono una grandissima gioia” (Matteo 2,10). Erano astrologi ed interrogavano le stelle (allora si vedevano) per conoscere il futuro. Ma quelle stesse stelle, messaggere divine, non erano soltanto un mestiere, li coinvolgevano nel profondo, li spingevano a partire per luoghi sconosciuti, ed erano capaci di suscitare forti emozioni. Quella stella che avevano visto all’inizio del loro cammino, si era oscurata quando dovettero incontrare il perfido Erode, ma non li aveva abbandonati, eccola di nuovo sul loro cammino: “li precedeva, finchè giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino” (Matteo 2,9).
Trovato il bambino, i Magi entrarono nella casa, e lo adorarono senza proferire parola. Poi consegnarono i loro doni e se ne andarono.

Cosa c’entriamo noi?
Bene, che c’entra con noi tutto questo? I problemi della comunità giudaica di quasi duemila anni fa hanno a che fare qualcosa con noi? Ed eventualmente, la risposta che si trae dal vangelo di Matteo, è attuale?
Direi di sì.
I cristiani a cui scrive Matteo erano in una situazione simile alla nostra, di occidentali che vivono duemila anni dopo. Una religione sicura e con una forte tradizione, la loro, che spesso avevano usato per difendere la propria identità dagli attacchi esterni, dai mescolamenti inevitabili con paesi di cultura orientale, greca, o latina, vista la presenza dei romani. Ora questo Messia pretendeva di ribaltare le carte, dicendo che il “nuovo” Israele, quello cristiano, non aveva confini, né limiti di razza o di cultura.
Ce n’è voluto di tempo per quella Chiesa di allora per rendersi conto che l’apertura “ai pagani” era inevitabile, anzi positiva. Inizialmente sembrava che solo in terra palestinese dovessero compiersi le conversioni richieste dal vangelo, ma nel giro di cento anni il centro del cristianesimo si spostò, dalla terra di Gesù all’attuale Turchia / Grecia, allora definita Cappadocia. E’ lì che si svilupparono le comunità più significative, mentre a Gerusalemme i gruppi cristiani erano sì consistenti, ma sempre in forte minoranza. E’ lì che si svolge in gran parte il ministero di Paolo, l’apostolo delle “genti”, e che cominciò anche la stesura dei vangeli in lingua greca, e già in parte nel modo di pensare greco.
Poi il cristianesimo si spostò ancora verso il nord Africa e verso Roma. A causa delle persecuzioni tardò l’esplosione del cristianesimo a Roma, ma fu grande nel nord Africa. Poi infine, si arrivò a Costantino, la fine delle persecuzioni e la proclamazione del cristianesimo come religione ufficiale dell’Impero con l’Editto di Milano del 313, che pongono le fondamenta per il cristianesimo occidentale, quello del Sacro Romano Impero prima, e del Medioevo poi.
Oggi la Turchia ed il nord Africa non sono più terre cristiane, è così lontano il tempo in cui lo furono che ci sembra normale così. Il cristianesimo cattolico si è radicato in Europa e sembra avere qui, attorno alla sede di Pietro, le fondamenta della sua fede. La Chiesa scrive in latino, pensa in latino. Ma il mondo è cambiato, e non poco.
Nonostante le profonde radici cristiane, nonostante le cattedrali, i santuari, gli ordini religiosi, l’Europa sembra rimpiangere una fede che non c’è più e si arrocca al cristianesimo solo in quanto baluardo di una cultura del benessere presa di mira dai poveri di tutto il mondo.
La Chiesa di oggi ricorda l’Israele di un tempo, che giocava in difesa, cercava di salvare il salvabile, non leggeva i segni dei tempi. E’ così ogni volta che si deve “difendere” la domenica, “difendere” la famiglia, “difendere” il crocifisso nelle aule, “difendere” il concordato… e non si “attacca”, non ci si concentra sulla propria missione, che è quella di annunciare Gesù.

E’ paradossale vedere come il cristianesimo si sviluppi in paesi come Brasile, Venezuela, Filippine, e ovunque si preoccupi in primo luogo di radicare un centralismo romano che crea non pochi problemi.
Matteo, da vero equilibrista, riesce a mettere insieme un testo profondamente radicato nella tradizione giudaica per stile, linguaggio, metodo, ma allo stesso tempo teso ad andare oltre i propri confini territoriali, capace di leggere i segni della presenza divina in personaggi misteriosi che vengono dal lontano Oriente.
Il vangelo di Matteo, e in questo caso particolare la figura dei Magi, ci dicono che la Chiesa oggi, come Israele allora, devono cambiare, devono lasciar fare allo Spirito, deve leggere i segnali che la storia manda, come segni dei tempi, come “stelle” che indicano la direzione, evitando di arroccarsi su una cultura, un modo di pensare la fede, una sede che decide tutto per tutti.

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