martedì 6 maggio 2008

L’anima e il suo destino


Gentile prof. Vito Mancuso,
sono un Educatore Professionale e lavoro con disabili. Già questo potrebbe bastare per spiegare il mio interesse al discorso sull’anima, in quanto per me è costante il contatto con persone incapaci di capire, o capaci limitatamente e la cosa pone non poche domande di senso. Ma sono anche uno di quei preti che hanno lasciato la tonaca e libero da obblighi istituzionali continuo la mia personale ricerca della Verità con la massima onestà di fondo.
Innanzitutto grazie per il libro che ha scritto perché l’ho trovato molto stimolante in ogni punto. Siamo così abituati a discutere di cose frivole, al massimo, sull’ultima cosa che ha detto il papa, che non ci accorgiamo delle questioni di fondo, di come a volte certe affermazioni siano fragili e fondate sul nulla e allo stesso tempo fondamentali.
Ho pensato di scriverle queste riflessioni, visto che abitualmente scrivo di questi argomenti su internet e anche vista la sua disponibilità mettendo a disposizione l’email nel libro. E’ ovvio che da lei non mi aspetto niente, tanto più che ne è venuta fuori una lettera piuttosto lunga, e se anche solo leggerà queste pagine per me sarà un grande onore.
Siccome ho ricevuto dalla lettura del suo libro molti stimoli, talvolta contrastanti, ho cercato di mettere un po’ di ordine e preferisco procedere in questo modo: prima evidenzierò gli aspetti che mi sono piaciuti e dirò perché, poi passerò a quelli che a mio parere restano più problematici.

Spunti positivi

Fare teologia
Credo che la premessa al suo lavoro (come anche le pagine conclusive) vada a mettere il dito su una piaga decisiva per il paludamento della teologia cattolica. Di fatto oggi non si può dire niente e questo a lungo andare addormenta i cervelli, ferma la ricerca e la voglia di capire, allontana le menti migliori. Davvero la teologia è vissuta come un campo minato, con un sentiero obbligato da percorrere. Davvero tanti preferiscono dire che è bianco, a priori, ciò che per la Chiesa è bianco, tralasciando un po’ alla volta l’amore per la Verità. Chi non riesce a negare l’evidenza, inevitabilmente esce dalla Chiesa, o si guarda bene dall’entrarvi.
Capisco che la possibilità di dire eresie è grande se tutti cominciano a pensare, ma senza correre questo rischio il sogno di Benedetto XVI di sposare la fede con la ragione, sarà sempre meno realizzabile, e tra i sacerdoti verranno scelti coloro che non fanno domande, non ragionano sulle cose che accadono e in definitiva non colgono i segni dei tempi.
E’ paradossale ciò che ho visto nell’intervista che Giuliano Ferrara le ha fatto alla trasmissione Otto e Mezzo (1 ottobre 2007): un non credente che difende le posizioni del Magistero contro un credente che le mette in discussione. Ma cosa sta succedendo? Mi chiedo. Una fede che ragiona, che si confronta costruttivamente con i risultati della scienza è proprio ostacolata da tutti! Dalle autorità vaticane, ovvio, ma non di meno dai non credenti vicini alla Chiesa (vedi le domande di Ferrara) e anche da quei laici lontani dalla Chiesa (vedi le domande di Ritanna Armeni), preoccupati della possibilità di avere qualcosa in comune con i cattolici.
Da questo punto di vista il suo libro è entrato in casa mia come una ventata di aria fresca. Finalmente un cattolico che pensa - mi son detto - e al di là delle singole conclusioni a cui arrivi, questo è veramente necessario alla Chiesa di oggi.

L’anima dal basso
Non avevo mai pensato alla possibilità di mettere Einstein di fronte al Catechismo della Chiesa Cattolica. Eppure avevo letto con interesse entrambi, ed entrambi parlano del destino della materia. Ma forse siamo così abituati a non saper conciliare fede e scienza, a tenerle, nel migliore dei casi, distanti tra loro, come se fosse pericoloso farle incontrare attorno ad un tavolo, che anche nella mia mente è scattato il tabù. Invece il suo libro mostra con chiarezza come la fede debba assolutamente fare i conti con il fatto, impensabile fino ad un secolo fa, che la materia e l’energia sono interscambiabili, l’una può trasformarsi nell’altra. Questa non è una cosetta da poco, ci dice qualcosa di sostanziale su come è fatto il mondo e un filosofo o un religioso non può evitare di farci i conti.
Ritengo molto interessante il suo approccio sull’anima come di una realtà che viene dal basso, e della materia come mater. E’ un approccio che cercavo da tanti anni e che non avevo ancora trovato. Una spiegazione non riduttiva, non esclusivamente biologica dell’uomo e neppure esclusivamente spirituale, ma che riesca a spiegare la sua diversità, il suo “di più” sul resto della natura, senza tirare in ballo l’intervento diretto di Dio. Mi ritrovo da una parte libri di teologia che ammoniscono la scienza per il rischio di Positivismo e di voler spiegare tutto, dall’altra libri di scienza che deridono gli approcci religiosi, relegandoli ad uno stadio primitivo dell’uomo che non sa, senza rendersi conto che oggi forse ci sono più credenti di quando c’era Napoleone o Garibaldi. Così a mio parere non si va da nessuna parte, mentre invece mi pare fecondo un approccio in cui a partire dal basso si intravede con la luce della ragione una tensione della vita ad un ordine e ad una complessità sempre maggiori, e l’uomo è un salto di livello in questa scala; un salto necessario, non casuale.
Il suo libro per la prima volta mi ha offerto gli argomenti per parlare di fede con chi non crede ed è ben motivato nel proprio ateismo o agnosticismo.
L’importanza dell’anima che viene dal basso emerge in tutta la sua evidenza nel capitolo sull’origine dell’anima. Non tanto perché mi turbi l’idea di avere un’anima separata dal corpo o preesistente come giustamente lei sottolinea, ma perché sento tutta l’urgenza di eliminare il Dio tappabuchi di cui parlava Bonhoeffer. Se Dio interviene ogni giorno direttamente per mandare tante anime in tanti nuovi corpicini, allora perché non credere anche a tutti gli altri interventi diretti che ci mantengono ad un livello infantile di fede: miracoli, madonne che appaiono, morti che non si consumano, e se si consumano vengono fatti in mille pezzi perché ognuno possa averne con sé “un po’”. Io non posso credere in questo Dio, perché il suo intervento rende continuamente inutile il mio.
Ciò nondimeno mi crea qualche problema anche il Dio di Bonhoeffer, quello cioè del cristiano nel mondo, che non attende interventi diretti, ma si impegna in prima persona, responsabilmente. Il problema che mi pongo è: quale tipo di rapporto possiamo avere con Dio, in questo caso? Ha senso pregarlo, chiedergli di starci vicino, di accompagnarci nelle scelte? Non lo abbiamo allontanato un po’ troppo? Non è forse diventato come il “Motore Immobile” di Aristotele, che sta all’origine dell’Universo e poi, per così dire, se ne frega di quanto vi accade dentro? Tu come ti poni?
Io personalmente vivo la presenza di Dio in un modo che non saprei ben spiegare. Ogni giorno so che non posso chiedergli di evitarmi incidenti stradali, perché dipenderanno da come io guido; non posso consultare il vangelo come un oroscopo, insomma… ma allo stesso tempo avverto che Lui è lì, vicino a me, non seduto al mio posto, ma accanto a me, a condividere tutto quello che faccio. E’ una strana sensazione: è come pedalare in tandem con Dio stesso, verrebbe naturale pensare che ti dà una bella spinta un socio così, ed invece fa fare tutto a me, Lui non fa niente, tranne forse incoraggiarmi continuamente.

Sorella morte
La sua descrizione della morte come di un fatto naturale non cattivo e non frutto del peccato di qualche lontano antenato mi è molto piaciuta e la condivido in pieno. Mi torna in mente San Francesco che nel suo Cantico delle Creature la chiama “sorella”.
Io da prete ho sempre sostenuto, non senza imbarazzo, perché mi rendevo conto di dire qualcosa che andava contro la dottrina cattolica, il concetto evidente che la morte c’era anche prima dell’uomo (pag. 192). C’era per i dinosauri, per esempio, che anzi sono stati sterminati completamente da qualche cataclisma naturale, e loro, per quanto selvaggi, non erano certo peccatori. E che non mi si venga a dire che morirono in vista del nostro peccato… La morte quindi è dolorosa, è misteriosa, ma non è frutto del peccato. Fa parte di un progetto interno al cosmo dove tutto deve nascere e deve morire, perchè la nostra limitatezza permette la presenza di altri e passi in avanti nella complessità della materia. La morte ci mantiene esseri limitati, è una regola chiara, indiscutibile, impreziosisce il poco tempo che abbiamo a disposizione e rimescola le carte degli atomi per il mondo di domani.
Il libro illustra bene come il senso del limite sia una cosa positiva, per nulla frutto del peccato. Il mio limite mi dice ogni giorno che io non sono Dio, e non posso arrivare dappertutto.
Le vorrei segnalare un film che mi ha fatto capire questa cosa: “La leggenda del pianista sull’oceano” di Giuseppe Tornatore (1998). Alla fine, quando il protagonista (l’attore è Tim Roth) spiega perché non vuole scendere dalla nave in demolizione descrive proprio il suo disagio di fronte ad un mondo che non ha limiti, e paragonandolo ad un pianoforte dice:
Tu pensa un pianoforte: i tasti iniziano, i tasti finiscono. Tu lo sai che sono 88 e su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti loro; tu sei infinito e dentro quegli 88 tasti la musica che puoi fare è infinita. Questo a me piace ed in questo posso vivere. Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti (New York, ndr), milioni e miliardi di tasti che non finiscono mai – perché questa è la verità, che non finiscono mai – quella tastiera è infinita. Ma se quella tastiera è infinita allora su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Sei seduto sul seggiolino sbagliato, quello è il pianoforte su cui suona Dio.

La Resurrezione di Gesù
Devo dire che ho molto apprezzato il paragrafo sulla resurrezione di Gesù. Peccato che gli ha dedicato così poco spazio, perché essendo un fondamento della fede, per non dire “il” fondamento, a mio parere meriterebbe un maggiore attenzione. Non molto tempo fa, mi pare proprio nei giorni di Pasqua, c’è stato un tv un certo dibattito sulla resurrezione, e mi ha colpito quanti problemi essa crei a livello razionale negli stessi cristiani. Io stesso incontro persone che fanno un cammino di fede serio e però sulla resurrezione dicono beatamente “non ci credo” o qualcosa di molto simile. E se mi azzardo a dire “allora non sei cristiano” si arrabbiano un bel po’.
Io credo che la domanda centrale, che taglia la testa al toro, sia quella che fa lei: “dove si trova ora il risorto”? Effettivamente è questa la questione che mi mette in crisi, più che la rianimazione del cadavere nel sepolcro. L’ascensione “in cielo” è certamente un’immagine allegorica e però su questo nessuno si esprime, quasi ci fosse la paura di andare a scoperchiare una pentola che non si deve assolutamente aprire. Detto questo io spero che qualche teologo cattolico raccolga al più presto la sfida di Bultmann (Nuovo Testamento e Mitologia, Queriniana), il quale parla di resurrezione come di evento escatologico, non perché la ragione debba spiegare tutto, ma perché i dogmi di fede, come dice lei, facciano almeno i conti con quel poco che sappiamo della materia (o dell’energia). Ho letto qualcosa di simile in “Gesù di Nazaret” di Ortensio da Spinetoli, ed ora nel suo libro, ma spero che la discussione non sia finita qui.
Detto questo mi trovo un po’ più in difficoltà là dove ritiene questa resurrezione come qualcosa di non fondamentale. Essa a mio parere è il cardine del Cristianesimo ed è un dato di fede (pg 311-312). Non so dove sia il corpo di Gesù ora, e di certo è difficile sostenere che la sua carne, insieme a quella della Madonna, sussistano in una realtà fuori dal tempo e dallo spazio, ma qualcosa in quel sepolcro è successo, qualcosa che non succede negli altri sepolcri, su questo non possiamo fare sconti, pena il rendere mitologico tutto l’evento cristiano.
Lei in tv, all’Infedele di Gad Lerner, ha sostenuto che se una telecamera avesse potuto registrare quello che è successo al corpo di Gesù dopo la sua sepoltura, non ci avrebbe mostrato nulla di eclatante. Non so, su questo rimango perplesso. D’accordo sul fatto che Dio non può infondere direttamente un’anima ogni volta che una donna rimane incinta, ma almeno in questo caso un intervento diretto ci deve essere stato. Un intervento, un evento straordinario: in questo sta la nostra fede. Poi come sia avvenuto, in che senso quel corpo è risorto, dove sia andato a finire, io questo non lo so e spero che voi teologi mi aiutiate a capire.

L’inferno
Riguardo il discorso sull’inferno e sulla possibilità che esso sia o vuoto o temporaneo dico solo una cosa. A livello logico il tuo ragionamento è convincente, ma capisco la preoccupazione della Chiesa nella sua riluttanza a fare una affermazione simile, anche qualora fosse vera. E’ chiaro che se si dovesse diffondere l’idea che non vi è una punizione esemplare per i malvagi, perché essere buoni? Perché essere onesti, amanti del bene, perseguire la via stretta e faticosa, fare sacrifici, quando tanto alla fine sappiamo che Dio nella sua misericordia infinità ci accoglierà tutti quanti? Certo, il bene va fatto per sé stesso, è esso stesso il centuplo su questa terra, ma vallo a spiegare! Fa molto più effetto la minaccia della punizione, che l’invito a godere del bene fatto.
La Chiesa a mio parere ha una grande esperienza nel contatto con le folle. Sa distinguere tra quello che potrebbe dire e quello che a suo giudizio “non è il caso” di dire. Per fare un esempio, la venerazione delle reliquie è un atto pagano bello e buono. Ma opporvisi a muso duro a suo tempo sarebbe stato rischioso per la Chiesa, che preferì “cristianizzare”, per quanto possibile, una pratica così radicata nel popolo, pur di non entrare in una rischiosa rotta di collisione. Così a mio parere vanno viste le concessioni sulle tante apparizioni mariane, non volute intenzionalmente dalla Chiesa, ma accolte perché in fin dei conti portano buonissimi frutti in termini di partecipazione popolare. Così a mio parere sulla questione dell’Inferno essa ha preferito mantenere la linea dura, non tanto perché sia la più corretta da un punto di vista logico, quanto perché a lungo andare risulta la più conveniente.
Per quanto riguarda la questione in sé, secondo me il discorso non va fatto tanto sulla durata o sulla possibilità di andare all’inferno. La vera questione è quella che lei affronta in un altro punto (pg. 145) e cioè che Inferno e Paradiso iniziano qua. Non possiamo fare affidamento sull’al di là. Non possiamo fare calcoli o previsioni. E’ qui che ci giochiamo tutto e ce lo giochiamo con le nostre mani. Troppo spesso parlare di Paradiso è stato un modo per farci accettare l’Inferno nel quale viviamo senza tentare di cambiarlo, e parlare di Inferno è stato un modo per trattenere nella Chiesa le persone usando la minaccia e la paura. Parlare troppo di cosa Dio ci sta preparando per l’al di là è un modo clericale di non affrontare i problemi dell’al di qua. E’ per esempio quello che mi pare dica la Teologia della Liberazione ed io credo davvero che la realtà così come è, adesso e qui, è ben più importante e decisiva di quella realtà eterna che ci immaginiamo come Paradiso o come Inferno.


Aspetti problematici

Mi rendo conto che in questa esposizione tocco molti punti caldi senza l’adeguata competenza per farlo. Questo probabilmente mi porta talvolta a ripetermi, ma d’altra parte gli argomenti sono tutti collegati tra loro e ogni riflessione ha conseguenze sulla riflessione successiva. Nei confronti del suo libro ho provato sentimenti ambivalenti, trovandolo geniale a volte e non convincente altre. Spero di riuscire a fare una esposizione chiara e serena di ciò che voglio dire.

Fede e ragione
Innanzi tutto c’è un problema non risolto che è il difficile rapporto tra scienza e fede.
Lei rivendica il diritto di pensare come credente, ed in questo sposa pienamente la tesi del papa a Ratisbona, nella famosa prolusione del 12 settembre 2006 (ma in realtà è un concetto che il pontefice ripete continuamente). Io invece vedo nell’approccio filosofico e teologico del papa un bisogno di riappropriarsi della ragione in sé, cosa che mi preoccupa alquanto, perché poi di fatto riconosce una opinione come “ragionevole” quando questa porta a confermare la fede cattolica, e “razionalismo” quando se ne allontana. Sembra dire: noi che abbiamo fede, siamo i soli ed unici “ragionevoli”. La fede è il modo più ragionevole di affrontare la realtà.
Non sono d’accordo su questo, e immagino che non sarà d’accordo anche lei, ma il mio dissenso è ancor più radicale. La ragione fa a pugni con la fede, ed è giusto così (oltretutto mi pare l’idea guida di Karl Barth, uno degli autori a cui lei fa riferimento). La mia ragione non potrà mai comprendere la resurrezione, o l’incarnazione, - come invece provate a fare lei e il papa - che resterà da un punto di vista razionale sempre una assurdità, come resta assurdo, in sé, il gesto di inginocchiarsi di fronte ad un pezzettino di pane azzimo. Io ritengo che la fede che cerca di capire è una cosa buona. La fede che pensa di capire tutto però, è una contraddizione in termini. Siamo limitati, ho detto qualche riga sopra, bene allora anche la nostra ragione è limitata: facciamocene, appunto, una ragione! E’ chiaro che oltre un certo punto la ragione non può andare, e oltre un certo punto la fede non può scendere, altrimenti non è più fede, ma evidenza. Io avverto, dietro il suo approccio teso a voler spiegare tutto con la forza della ragione ed il supporto della scienza, la fine della fede. Mi va bene appellarsi alla coscienza laica, affrontare temi “spirituali” con le armi della ragione, ma senza la pretesa di arrivare a sistemare anche Dio, i santi, e gli universi paralleli. Possiamo dire qualcosa di Dio e della vita oltre la morte, ma non più di tanto. E la fede vale ed affascina proprio in quanto fede, cioè salto nel buio. Come quando ci si sposa: ci sono dei motivi ragionevoli per credere che quel rapporto durerà, ma non si ha la certezza al 100%, per quella occorre chiudere gli occhi e dire con un po’ di incoscienza: mi butto, mi fido!

Il Principio Ordinatore
La soluzione che lei propone al problema del male prodotto dalla natura è data dal Principio Ordinatore. Una sapienza che modifica in continuazione la natura spinta da una sempre maggiore complessità e verso la discontinuità successiva. Il Principio Ordinatore, o la Sapienza biblica, per intenderci, è impersonale, come la natura. Non è quindi Dio che interviene in continuazione nella natura per dare le sue direttive, ma questo Principio, questa spinta posta da Dio all’inizio della Creazione. Un Principio che può fare errori, originare cataclismi o difetti genetici, perché sempre orientato alla ricerca di nuove strade per esprimersi. In questo modo lei sostiene che quando nasce un bambino handicappato, o uno tsunami fa un disastro, non è Dio che l’ha voluto.
A me però sembra che il problema l’abbia solo spostato. D’accordo con lei che non può essere Dio che interviene direttamente in continuazione nell’utero di ogni donna o nel sottosuolo dei vulcani, però è Lui che ha creato questo Principio “Ordinatore”. Bell’ordine, mi verrebbe da dire! Se l’uomo è davvero il vertice della creazione, un occhio di riguardo non guasterebbe, no?
E’ un Dio un po’ alla Pilato, che vuole tenere tutto in mano, ma che quando c’è qualche problema se ne lava le mani. In questa costruzione secondo me, c’è qualcosa che non va: non che io sappia proporre una soluzione migliore, certo, però la mia mente si ribella “spontaneamente” all’idea che Dio avrebbe messo a capo della mia squadra di lavoro un capo spietato e senza cuore. O Lui stesso è così, oppure questa teoria non regge.

Il Bene
Il Principio Ordinatore mi crea anche un altro problema. Abbiamo detto che la natura tende ad un ordine sempre crescente e questo ordine tende al bene. Nel libro più volte si insiste sul fatto che il fine della materia–energia è l’ordine, l’anima volta al bene.
“Il volere del Padre è sempre e solo il medesimo, è il bene in quanto relazione ordinata… adeguazione della volontà alla struttura oggettiva dell’essere… adeguazione del soggetto alla logica oggettiva dell’essere. … Il bene di una pianta è la luce e l’acqua… non devo inventare nulla, devo capire e obbedire”. Affermazioni di questo genere ce ne sono ad esempio a pagina 180. Mentre apprezzo il superamento manicheo dell’eterna lotta tra Bene e Male, come tanta filmografia e pericolosi cartoni animati giapponesi continuano a propinarci, non capisco come si possa ancora sostenere una visione così “oggettiva” del Bene, molto Scolastica.
M chiedo: cosa è Bene? Cosa risponde lei, quando si è obbligati a fare scelte che sono bene o male a seconda del punto di vista da cui le si guarda?
E’ bene mantenere in vita Piergiorgio Welby? Per chi è bene?
E’ bene mettere al mondo una creatura con due teste, o senza cervello?
Ma potremmo scendere in questioni più alla portata di tutti.
E’ bene esportare la democrazia?
E’ bene concludere una guerra mondiale con l’esplosione di una bomba atomica?
E’ bene scoprire l’America?
E’ bene a livello planetario essere sempre più numerosi come specie umana e limitare sempre più, per ovvia questione di spazi, la varietà della vita animale e vegetale sulla terra?
E’ bene, oggi come oggi, avere rapporti sessuali non protetti?
L’intervento dell’uomo troppo spesso non tende forse a correggere il comportamento della natura?
E’ bene correggere la natura?
E se non lo facciamo è bene rinunciare alle cellule staminali, alla lettura del genoma umano, alla cura del cancro?
Io penso che su cosa è “bene” sarebbe necessario aprire un dialogo ampio e laico, perché ho l’impressione che intendiamo molte cose diverse tra loro, a volte decisamente in conflitto.
Penso spesso ai dinosauri: la loro scomparsa improvvisa e traumatica non è certo stata un bene dal loro punto di vista, magari potevano evolvere e trasformarsi in animali più evoluti, ma in questo modo non saremmo di certo comparsi noi. La loro vita sarebbe stata il nostro male. E la nostra vita, il nostro bene, ha richiesto come premessa necessariamente il loro male.
Forse la realtà è un po’ più complessa e meno certezze su cosa è il Bene Oggettivo porterebbero meno guerre di religione o ideologiche.

Quinta discontinuità
Lei parla di un progressivo viaggio della materia verso l’ordine cosmico, che si ritrova un po’ nel suo DNA. Trovo affascinante il discorso sulle “discontinuità” (pag. 111). Salti di qualità nell’evoluzione del cosmo verso una complessità, un ordine degli atomi capaci ad un certo punto di produrre qualcosa di ontologicamente diverso, qualcosa che prima non c’era. Così accade al momento del Big Bang, poi al sorgere della vita cellulare, poi un terzo passaggio con la nascita dell’intelligenza, ed infine ciò che ci rende maggiormente umani: il nostro senso etico e spirituale. In questa prospettiva ci sentiamo all’interno di un progetto scritto nella natura che doveva portare a noi.
L’universo antropico non è condiviso da molti scienziati, ma è certo meglio della prospettiva del caso, che porta a far a meno di Dio, e quella del creazionismo, che lo rende troppo invadente. Però mi lascia alcune perplessità. Non pensa sia presuntuoso ritenerci l’ultimo livello di ordine dell’Energia del cosmo? Non potremmo anche noi, con la nostra spiritualità, le nostre emozioni e quanto di più nobile ci caratterizza, essere solo all’inizio di ciò che l’Energia, o la Materia in movimento possono fare? Per lei la “quinta discontinuità” sarà l’ultima, il Paradiso. Ma come si fa a dirlo? Il Paradiso potrebbe essere la centesima discontinuità, non la quinta.

Salvezza o Redenzione
Nel capitolo sulla salvezza dell’anima comincio a perderla. Ho trovato molto interessante la distinzione tra salvezza e redenzione. Non riesco però a condividere le conclusioni a cui lei arriva. Per lei, se non sbaglio, la redenzione rispecchia l’immagine di un Dio che fa per l’uomo, che interviene nella storia tradendo le leggi della fisica. Io invece credo che proprio nell’idea di redenzione stia la bellezza del Cristianesimo e che essa non porti ad un disimpegno del cristiano, ma anzi al suo esatto contrario. E credo che anche Bonhoeffer intendesse la “Grazia a caro prezzo” (Sequela, Queriniana) in questo modo. E’ in virtù del riscatto che Dio ha operato su di noi tramite Gesù Cristo che noi possiamo risollevarci, e tale riscatto è come dice lei, unilaterale, immeritato e gratuito.
Il Peccato Originale mi ha sempre lasciato perplesso, perché così come è formulato sembra dire che tutti nasciamo come mele bacate, e questo sinceramente fa un po’ a pugni con l’idea del Dio Creatore che quando fece l’uomo vide che “era cosa molto buona” (Gen. 1,31).
Però anche le sue conclusioni mi lasciano perplesso. Un conto è rivedere tale dottrina in consonanza con le conoscenze biologiche attuali, altra questione è negarla di sanapianta. Io le ripeto, credo che l’uomo abbia bisogno di redenzione, e che le sue buone azioni, i suoi eventuali meriti, vengano solo dopo tale atto salvifico, come frutto.
Noi amiamo perché Egli ci ha amato per primo” (1Giovanni 4,19). Questa cosa secondo me sta a fondamento della verità cristiana, e senza di essa io non mi ritengo più cristiano. Anche perché in questo modo l’uomo non è affatto una “marionetta” senza libertà (pg. 164), ma vive reagendo ad un dono inaspettato e gratuito. In questo modo inoltre non c’è bisogno di scomodare quella “simbiosi” capace di trascinare l’anima di un handicappato grave da una discontinuità all’altra; cosa, mi consenta, alquanto cervellotica e poco convincente. Ho conosciuto handicappati che almeno apparentemente non sono cambiati di una virgola dopo anni di buon accudimento e di progetti educativi mirati ad hoc. Persone che si ritrovano menomate nella coscienza di sé stessi, private di ciò che secondo noi le fa “umane”, senza alcun miglioramento visibile neppure con tutta la simbiosi del mondo. Con quelli che facciamo? Non è forse più corretto dire che Dio li ha redenti esattamente come ha redento me, ma che lo capiranno solo nell’al di là? Ed il rapporto tra loro e me, che ho avuto dalla natura molto di più in termini di salute, intelligenza, possibilità… non è una parabola, un sacramento, vorrei dire, del rapporto tra Cristo e me?
Io concordo sul fatto che la dottrina sul Peccato Originale vada rivista, perché nei termini attuali “è un’offesa alla creazione” (pg. 167), ma allo stesso tempo vorrei salvare il fatto che l’uomo ha bisogno di redenzione. Se vogliamo non subito, non alla nascita: ma prima o poi tutti sperimentano la propria insufficienza, il bisogno di un amore, un riscatto sicuri, definitivi e trascendenti. E quella di parlare del “peccato del mondo” al posto del peccato originale mi sembra solo un escamotage, un modo per spostare il problema senza risolverlo. Lei stesso dice, lasciandomi con qualche punto interrogativo, che il mondo non è male in sé, ma è comunque prigioniero… (pag. 171).

Conclusione
La mia impressione generale è che con il suo libro lei abbia volato molto alto. Con questa Chiesa voi teologi siete sempre nel mirino e sarebbe già molto azzardato mettere in discussione anche un solo punto non strettamente dogmatico. Lei ha messo in discussione praticamente tutto, hai inteso “rifondare” la fede, e questo anche agli occhi di molti cattolici la squalifica, la mette fuori gioco all’istante. E’ un peccato, perché dice cose molto interessanti, scrive in modo semplice di argomenti difficili e mostra contraddizioni e tabù razionali con la lucidità ed il rispetto di un teologo che ama ciò che studia e la Chiesa che lo ha generato alla fede. Chiaro che finchè certe cose le dice solo Odifreddi non andiamo da nessuna parte. Ci vuole gente come lei. Ma senza mettere troppa carne al fuoco, e senza la pretesa di rovesciare tutto.
In generale approvo le sue critiche alla dogmatica vigente perché porta motivazioni razionali, fondate sulle conoscenze scientifiche più recenti, che spesso mi convincono. La seguo meno nella fase propositiva, quando spiega come sarà il Paradiso, o la funzione del Principio Ordinatore o come Dio sarà tutto in tutti.
Con questo le rinnovo però tutta la mia riconoscenza e ammirazione, per gli stimoli che ci offre e per il coraggio di scrivere un libro simile. Ci fossero più tentativi di questo genere, forse i cattolici rifletterebbero un po’ di più sulle parole del Credo, e magari anche sullo spessore della loro vita cristiana.

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