Il viaggio più affascinante, più
lungo, più bello e insidioso allo stesso tempo, non è quello che ci porta a
fare il giro della terra, e neppure, se fosse possibile, per pianeti, stelle e
galassie. Ogni luogo fisico nella sua unicità non potrebbe far altro che dirci
“tu rimani sempre tu, non sono io che ti cambio”. E' un altro il viaggio che
volenti o nolenti tutti stiamo compiendo, quello che dura una vita intera, è il
viaggio alla ricerca del proprio sé.
In questa pagina voglio
condividere questa consapevolezza, antica per certi versi, ma anche
sconvolgentemente nuova.
I pensieri creano la realtà
I nostri pensieri sono un atto
creativo. Non si tratta di uno slogan d’effetto, ma di un dato di fatto che
possiamo usare a nostro beneficio.
Magari fosse vero, mi sono detto
all'inizio. Penso ad un mondo senza guerre, senza problemi economici, senza
farabutti al governo, senza cataclismi... un mondo dove poter vivere
serenamente e a lungo. Lo penso, ma la realtà continua ad essere un
altra. La mia ragionevolezza, il mio saper stare con i piedi per terra mi porta
a sorridere di fronte ad affermazioni simili. Basta poco per giudicare come
fantasticheria il mio pensiero “sognante”. Il mio realismo, o pessimismo che
dir si voglia, è frutto di una logica ferrea, che se da una parte smaschera
tutti gli adulatori e falsi venditori di paradisi ultraterreni, dall'altra
lascia l'amarezza ed impotenza di fronte ad un mondo che sembra indifferente
alla nostra singola presenza, un mondo che piuttosto sembra andare per la sua
strada indipendentemente dal fatto che da qualche parte ci siamo individualmente
anche noi e che nel nostro piccolo cerchiamo magari, di fare qualcosa per
cambiarlo.
Alla fin fine, insomma, la sola
razionalità logica non porta a casa il risultato. Ipotizziamo allora che
davvero i nostri pensieri possano modificare la realtà. Attenzione, non in
senso “magico”, cioè penso ad un asino che vola e quello – tac- vola. Diciamo
piuttosto che tutto ciò che esiste è collegato, connesso in qualche modo a
tutto il resto, e ogni evento, per quanto piccolo e silenzioso, influisce sul
tutto, come anche viceversa.
In fondo se, ad esempio, la
logica (o la paura) ci porta a pensare che le guerre ci saranno sempre perché
sempre ci sono state, non facciamo altro che pensare ad un futuro di guerre,
nostro malgrado, e questo puntualmente si realizzerà. Non importa da dove sia
nato il nostro ragionamento, di fatto la convinzione di avere altre guerre
produrrà il suo risultato. A ben vedere i nostri pensieri attirano la realtà
che pensano e allo stesso tempo sono figli del nostro istinto di sopravvivenza,
il quale di fronte al pericolo agisce in base alla paura. Ma a lungo andare i
nostri pensieri sono anche ripetitivi, e si affidano alla paura anche quando il
pericolo è cessato, non si rendono conto del loro potere creativo e conseguentemente
non arrivano mai al livello più profondo di scelta dei pensieri a cui
dare priorità.
E' tardo pomeriggio e sto
tornando a casa, mentre guido penso spontaneamente a qualche difficile
situazione legata al lavoro e la giudico in un modo o nell'altro ritenendo di
essere pienamente libero e indipendente in questo mio “film” interiore. In
realtà non considero che potrei scegliere di pensare ad altro e seguo un
impulso prepotente che mi dice, “adesso pensi a questo, e vi pensi in questo
modo!”. Il pensiero, tornando a casa, mi sembra libero, credo di aver tutto il
diritto nel silenzio della mia auto di poter pensare a quello che voglio, senza
le inibizioni che hanno frenato le mie parole ed il mio comportamento fino ad
ora. In realtà non faccio caso al fatto che ciò che chiamo libertà è in realtà
un puro e semplice lasciare al caso e all'istinto il vagare dei miei pensieri. Lasciare
circolare emozioni negative in balia del caso non è mai un buon segno di
libertà. Non vi è libertà nella sofferenza, ma sempre la ripetizione di
esperienze negative pregresse. Chiamiamo libertà la scelta meno faticosa.
Siccome diamo per scontato che il pensiero non influisca sulla realtà e rimanga
silente al nostro interno, lo lasciamo scorrere dove vuole, come vuole,
associando ad ogni pensiero le emozioni che il nostro inconscio impone.
I pensieri in questo modo
diventano il luogo dello sfogo, in cui lamentarci per tutto quello di cui non
ci siamo potuti lamentare prima, e così pure sono il luogo del pianto, del
giudizio, del mandare qualcuno a quel paese. Così facendo rafforziamo alcuni
nostri determinati atteggiamenti fondati su questi ragionamenti che domani, al
ripresentarsi delle medesime persone e contesti arriveranno a destinazione
anche senza rendercene minimamente conto, contribuendo a riconfermare e
consolidare la realtà deludente del giorno prima. I pensieri infatti ci
predispongono ad aspettarci una certa realtà, nel bene o nel male, e questa
realtà, alimentata da paura o amore, rifiuto o accoglienza, giudizio o ascolto,
tenderà con il tempo a realizzarsi.
Se questo è vero significa che
abbiamo un grande potere in noi. Significa che il nostro pensiero è potente e
che può cambiare le cose. E non solo in peggio.
Cambiare noi prima di cambiare
il mondo
Vi è un errore che è possibile
fare a questo punto. Calcolare cioè a tavolino il cambiamento della realtà. Io
comincio ad amare, ad accogliere e ad ascoltare così le cose cambieranno
in meglio. Non si può amare, accogliere o ascoltare veramente se lo si fa con
un doppio fine, fosse anche quello encomiabile di cambiare in meglio il mondo.
Non posso amare una persona per cambiare il mondo: la amo per sé stessa, e
gratuitamente, senza aspettative. A ben vedere ancor più del pensiero è
l’emozione ad esso associata, che cambia il mondo. Se amo per cambiare
l’umanità, il mio più profondo pensiero è “io sono il salvatore del mondo”, non
è l’amore. Tenderò a realizzare non l’amore, ma il mio senso di onnipotenza,
scontrandomi con altri onnipotenti come me.
L'amore, l'accoglienza e
l'ascolto veri presuppongono disinteresse e purezza assoluta. Dunque il
meccanismo che porta al cambiamento va rovesciato. Lo descriverei in questo
modo: io sto bene, sperimento pace interiore, mi sento amato integralmente e a
prescindere dagli errori del passato, e per questo mi diventa spontaneo, senza
sforzi di volontà, amare, accogliere ed ascoltare. Di certo questo mio modo di
rapportarmi produrrà dei cambiamenti, ma non so quali e soprattutto non me
ne importa. Perchè ciò che conta sta all'inizio, nella premessa: io sto
bene.
Più sono neutro, più sono qui e
non altrove, e più succederà qualcosa di grande ed imprevedibile.
Ma come si fa a stare bene qui ed
ora? Soprattutto, come si fa a farsi andare bene una realtà di traffico, urla,
minacce, incertezze, che è sotto gli occhi di tutti, è un dato di fatto, e
sarebbe stupido fingere di non vedere?
Nella mia esperienza a questo
punto entra in gioco la dimensione spirituale. Ogni bambino impara ad amare se
incontra amore, non ci sono alternative. Ma chi ama l'adulto? L'adulto, per
quel che ho sperimentato, può trovare una fonte d'amore interminabile solo
dentro di sé. Nella propria interiorità vi è un luogo silenzioso ed accogliente
dove solo noi possiamo andare, e se riusciamo a fare questo, spostando tutto
ciò che la nostra storia ha messo in mezzo tra noi e quella porta, troviamo
amore. Possiamo chiamarla Energia, Dio, Spirito, come vogliamo, ciò che importa
è che ogni uomo può sperimentare di essere amato semplicemente guardandosi
dentro. Può sembrare semplicistico o spiritualistico, perché qui le parole si
fermano, la logica depone le armi e conta solo l'esperienza. Molti dicono di
aver fatto questa esperienza, ma sono molti di più quelli che non l’hanno
ancora fatta.
L'esperienza della chiesa primitiva è questa.
Alcuni uomini, incuranti delle conseguenze a cui sarebbero andati incontro,
prima di soffermarsi in calcoli e progetti a lungo termine, esplodono in un
grido irrazionale che annuncia l'amore di Dio per l'umanità.
Il mio percorso arriva alla fede in Dio, non mi
è possibile sentire diversamente, ma so che tante persone arrivano alla pace
interiore anche senza una fede esplicita. Non voglio più che questo sia un
problema tra me e le persone che incontro. Sono fermamente convinto che
quello che conta, anche per Dio stesso, sia il risultato e non il modo al quale
vi arriviamo. Dio non ha bisogno di noi, né del nostro assenso razionale alla
sua esistenza: siamo noi eventualmente, ad avere bisogno di Lui.
I pensieri cambiano la realtà a partire dalla
più importante: noi stessi, come ci sentiamo, come ci percepiamo e ci
giudichiamo. E' chiaro che per sperimentare questo potere occorre da qualche
parte “provare”. Devo trovare un campo della mia vita in cui le cose non vanno
esattamente come vorrei e sentirmi in grado di pensare ad una alternativa come
una cosa possibile. Va bene anche una cosa piccola, purchè facciamo
l'esperienza. Pensiamo a quel cambiamento, lo facciamo continuativamente,
rompendo l'altro pensiero, quello che fino ad ora ci ha imposto di lasciare
quella cosa così, “tanto non c'è niente da fare”, “tanto cosa vuoi che cambi”,
“tanto non è importante”, “tanto ho altre cose più importanti da fare” … e
altre scuse del genere.
Ad esempio, io anni fa avevo una piccola stanza
che con il tempo era diventata uno sgabuzzo dove infilare caoticamente tutto
ciò che non sapevo dove mettere o che non avevo il coraggio di buttare. Questa
stanza con il tempo si era riempita, era diventato difficile accedervi e non
sapevo più neanche cosa quei cassetti contenessero. Certo se uno ha spazio non è un grosso
problema tenere una stanzetta chiusa ed inutilizzata, ma la cosa in realtà
cominciava a pesarmi, non mi piaceva. Mi sono accorto che era solo la mia testa
a proibirmi di gestire diversamente quello spazio, nessun altro me lo imponeva
dall'esterno. Io ero la causa del mio malessere nei confronti di quella
confusione. Quel mobile non si butta, quell'anfora me l'hanno regalata, quel materasso
può sempre servire... ogni oggetto aveva il suo lasciapassare, ma in un attimo
tutti i lasciapassare sono scaduti! Ho chiamato un mercatino dell'usato e si
sono portati via tutto. Già che c'ero ho dato loro anche libri, sedie, quadri e
altro che affollava altre stanze. Mi sono ritrovato con una casa meno caotica
ed una stanza sgombra, mi sono sentito soddisfatto, ho aperto quella finestra e
ho respirato insieme alla stanza a pieni polmoni. Ho percepito il mio potere di
cambiare le mie cose, soprattutto il potere di liberarmi da tante catene del
passato che sopravvivevano nel mio cervello e immediatamente ho cominciato a
pensare a come utilizzare in modo più creativo ed intelligente quella stanza.
Se questo è possibile nel piccolo, cosa succede
se facciamo la stessa “pulizia” o chiarezza negli affetti, nel lavoro, nelle
amicizie, nel legame con i parenti, con la casa, con la città in cui viviamo? E
se non facciamo niente di tutto questo e all'interno però continuiamo a
lamentarci, a sentirci vittime, sfortunati, ingiustamente colpiti, non stiamo
in realtà colpevolmente alimentando e costruendo il nostro io infelice di
domani?
Morire per rinascere
Quella stanza, con tutto ciò che gelosamente
conservava, è dovuta morire per poter rinascere. Ora è diventata per me uno
spazio per incontrare le persone e costruirmi un nuovo lavoro. Tante cose che
prima la riempivano e mi supplicavano facendo appello ai miei sensi di colpa, -
“non liberarti di noi!” - ora non ci sono più e non le ricordo neanche più.
Sono uscite dalla stanza e sono uscite da me. E' come se una parte di me se ne
fosse andata con i suoi ricordi e le sue nostalgie. E' come se quella parte
fosse morta. Ma è morta per portare nuova vita. Abbiamo un idea sbagliata della
morte. Ci spaventa come punto finale, mentre è la condizione indispensabile per
ogni rinascita e svolta importante. La morte non è la fine di tutto, è un
passaggio per lasciar andare il passato e preparare la strada a qualcosa di
nuovo. Siamo attaccati alla vita come il marinaio alla nave che lentamente
affonda. Stiamo aggrappati alla nave, alle cose del passato, come se questo
attaccamento ci potesse aiutare a restare vivi un minuto in più. E invece
magari, lasciando andare quella nave al suo destino, con le mani libere,
potremmo nuotare verso la salvezza.
Io sono responsabile
Per creare la realtà che desidera, il nostro
pensiero si focalizza senza distrazioni sull'oggetto del desiderio, sceglie
responsabilmente a quali pensieri dare spazio, è insomma consapevole di quanto
gli accade e di come sta funzionando. La responsabilità e la consapevolezza
sono strettamente interconnesse, l'una suscita l'altra, e senza l'una è
difficile che l'altra sia presente.
Ripeto: quella di cui sto parlando non è magia.
La magia disimpegna, delega, deresponsabilizza, è l'ammissione della propria
impotenza di fronte a mutamenti che sono esclusivamente un capriccio di forze
occulte. Invece quello di cui parlo richiede un impegno verso sé stessi e verso
ciò che si desidera, che non ha precedenti.
Quando comprendiamo la capacità del nostro
pensiero di cambiare la realtà, non possiamo non percepire anche tutta la
responsabilità che questo potere comporta. Diventa tutto chiaro: giudicare ed
incolpare fattori esterni è stato il modo più semplice per NON cambiare le cose,
NON creare nulla che venga dal nostro cuore, e DARE POTERE a quei fattori
esterni. Al contrario, se io posso cambiare le cose, io sono responsabile del
fatto che esse cambino o meno.
Se ad esempio, mi piace fare sport e per un
periodo non lo faccio, è ingannevole cercare scuse quali “ho avuto
l'influenza”, “il tempo è stato brutto”, “ho avuto da fare”... no, io ho scelto
di non farlo, o di fermarmi per un periodo, questa è la realtà. Non c'è nulla
di male nel riconoscere la realtà, come anche nel fare una pausa “sportiva” se
fisicamente stiamo accusando un po’ di stanchezza, invece il problema c'è
quando la mia priorità è scaricare ogni responsabilità di quanto mi succede. La
nostra mente sembra più preoccupata di assolvere sé stessa che dal fare i conti
con la realtà.
Penso che gran parte dell'educazione che
riceviamo porti con sé il messaggio che non siamo responsabili. Ci lamentiamo,
ma pensiamo che il mondo è così come è perché chi ci ha preceduto l'ha fatto
così, e noi non c'eravamo. I politici sono corrotti e ne fanno sotto i nostri
occhi di tutti i colori, … ce ne lamentiamo, ma li lasciamo fare perché siamo
irresponsabili e la nostra consapevolezza sociale finisce alla ringhiera del
nostro giardino. Domani le cose andranno avanti come lo sono sempre andate,
qualunque cosa io faccia nella vita. L'importante è pensare a sé stessi nel
senso di guadagnare, divertirsi, non soffrire.
Anche da un punto di vista religioso, a ben
pensarci, ci viene insegnata una fede che ben si sposa con questo senso di
totale impotenza e disimpegno sociale. Fidati, ti dicono, fatti condurre dal
Signore. E però questo Signore poi parla solo con libri e liturgie di mille
anni fa, e non centra nulla con quanto grida il mio corpo ed il mio cuore di
oggi. Se fidarsi significa affidarsi, lasciarsi condurre, non pretendere di
avere tutto chiaro e sicuro in partenza, accettare il rischio, la possibilità
di cadere, di sbagliare... è un conto; ma se invece significa spegnere mente,
cuore ed istinto perché qualche Ente divino ne sa più di me... mi chiedo perchè
mi abbia dato certe facoltà se poi me le doveva togliere.
Essere responsabili insomma non è solo una sfida
personale, contro la mia abitudine a lamentarmi e a trovare colpevoli esterni
per ogni cosa che non va; è anche una vera sfida culturale e spirituale, che
mette in discussione il messaggio profondo che a casa, a scuola e in chiesa si
trasmette alle nuove generazioni, le quali necessitano di libertà di movimento
e senso di responsabilità più che di fede nelle convinzioni di chi li ha
preceduti.
Livello di consapevolezza
Determinare responsabilmente il
proprio pensiero e la propria vita porta con sé l'abilità di diventare presenti
a sè stessi. Cioè essere qui ed ora.
Tutti pensiamo di essere qui ed
ora, non sembra così difficile. E invece se ci facciamo attenzione siamo spesso
con la testa da un altra parte, a rivivere un altro momento.
Essere presenti implica un
aumento della capacità di “sentirsi” senza dare a nient'altro il potere di
distrarci da questo. Io qui e ora mi ascolto nel senso che sono presente a
quanto succede nel mio corpo, a quanto sta accadendo di fatto ora, attorno a
me, e alle emozioni che sto vivendo.
Essere consapevoli del proprio
corpo significa educarsi ad un ascolto nuovo. Sentire e accogliere i segnali
del nostro corpo, sentire dove si posiziona l'ansia, la rabbia, l'amarezza e
cosa succede in quelle stesse zone,
quando un'emozione arriva o se ne va. L'ascolto poi porta a fare qualcosa per
lui, ed a rispondere ai suoi segnali. Sentire
il proprio corpo significa anche godere della sua salute.
La consapevolezza ha a che
fare con il nostro rapporto con il tempo. Senza di essa siamo nel passato o
nel futuro. Nelle emozioni radicate in qualche episodio passato, che filtrano e
leggono in una determinata prospettiva anche il presente; oppure nelle emozioni
che proiettiamo sul futuro, con le preoccupazioni e le incertezze che esso
porta con sè distraendoci dal presente. La consapevolezza ci fa godere del
presente, ci rende creativi verso esso, convoglia la nostra attenzione sul cosa
posso fare qui e ora.
La consapevolezza ha a che
fare con l'ascolto delle nostre emozioni. E' sul piano delle emozioni che
ci giochiamo la qualità della vita, ed essere sintonizzati con esse è la
scommessa decisiva. Dedichiamo tante energie al nostro portamento,
all'abbigliamento, alla linea, alle parole che usiamo e pure alla mimica, alle
espressioni facciali e ai messaggi non verbali. Ma in realtà la cosa più
importante, alla quale dovremmo dare le prime e più fresche energie, è
l'osservazione di come ci sentiamo. Ogni volta che incontriamo una persona o
una situazione, o ci accade qualcosa... dedicare qualche istante per dare un
nome all'emozione che sta emergendo in noi. Sapere cosa mi sta succedendo mi
permette di guardare con un certo distacco a quello che provo. Mi permette di
non essere in balia di quello che provo, di non temerlo, di non confondere tra
me e quello che provo. Io non sono la mia emozione. La sento, la assaporo
tutta, ma io non sono lei. Quello che provo non è sbagliato, non devo
giudicarlo, condannarlo o lodarlo: devo solo sapere che in questo momento c'è.
Lo vedo e lo accetto. Ne sono consapevole e ne sono responsabile. Se mi piace
scelgo di dargli spazio, se non mi piace non cerco colpevoli e non spengo tutto
fuggendo via. Cerco la causa di quella sofferenza e metto a fuoco i passi per
non tornare in futuro a provare quell'emozione.
Le emozioni sono altamente
contagiose, e si diffondono velocemente tanto più se chi le riceve non le sa
riconoscere e non ha scudi protettivi. E' fuori da ogni dubbio che lasciata a
sé stessa la critica produce critica, il giudizio produce giudizio, l'odio
produce odio, l'amarezza produce amarezza. Sta a me essere connesso e presente
a me stesso quando questi meccanismi si attivano e scegliere in tutta
responsabilità se stare al gioco o no.
Benedizione continua
L'altro non è un pericolo, anche
quando si comporta male. Possiamo sempre scegliere quali sentimenti provare per
lui, consapevoli del fatto che il nostro pensiero crea la realtà stessa che
benedice o maledice. Non è importante sapere cosa rispondere o cosa non dire,
in situazioni critiche, ma guardare bene in faccia all'emozione che si fa largo
in noi. Se potessimo trasformare tutti i colpi, le maledizioni, le parolacce che
mandiamo ogni giorno alla gente in benedizioni, la nostra vita sarebbe la
stessa? Io ci sto provando e devo dire che la vita non è la stessa. Pensavo che
qualche “vaffa” mi aiutasse a scaricare e non facesse male a nessuno, poi ho
scoperto che la benedizione mi fa sentire meglio e smorza anche gli
atteggiamenti ostili degli altri. Non è facile, le ricadute sono tante, ma il
principio è saldo e se ogni giorno riesco
a rimetterlo al centro, a fuoco, la benedizione diventerà il mio modo
naturale di rapportarmi con il prossimo. Benedire e ringraziare sono
atteggiamenti di fondo che con il tempo modellano il carattere. E non solo il
mio.
La certezza del cambiamento
Di certo, non vi è ombra di
dubbio, una persona responsabile e consapevole, che benedice e ringrazia in
ogni situazione, cambierà la realtà che la circonda. Non per una sorta di
evangelizzazione dottrinale, ma perché la sua stessa presenza risveglierà in
altri la voglia di provare a seguirne i passi. Cambieranno le frequentazioni e
le amicizie. Persone nuove si avvicineranno, altri si allontaneranno.
Il cambiamento non è
semplicemente probabile o augurabile, è certo. Quando ancora non è avvenuto, la
persona “presente” lo avverte perché viene da dentro e non dipende
dall'esterno. Quando si è ben centrati si può aver fiducia nell'evoluzione
degli avvenimenti senza conoscerli anticipatamente. Il cambiamento è certo.
Quello che determina gli avvenimenti appare a questo punto perfino meno
prioritario, ma comunque viene avvertito come si avverte l'arrivo del
temporale, o del mattino. E' lì, dietro l'angolo, ineludibile, non mancherà di
arrivare.
Prima, quando le emozioni erano
in balia degli eventi, il cambiamento di quegli stessi avvenimenti - non di sé
- era avvertito come urgente e necessario, e tardava a verificarsi nonostante
sforzi e preghiere. Ora, che non è più necessario, perché il vero cambiamento è
avvenuto in sé, arriverà anche quello degli eventi. Nel modo più inaspettato,
magari, ma arriverà.
Vi è una profonda differenza tra
lo sperare che le cose cambino e l'esserne certi. La speranza presuppone sempre
il timore, ci lascia nell'ansia, la quale genera ansia. La certezza viene
dall'aver compreso perché fino ad ora nulla è cambiato, né poteva cambiare. Ma
ora, cambiato io, cambiata la mia relazione con l'esterno, anche l'esterno
cambierà.