giovedì 15 settembre 2011

Il paradiso da evitare


Ci sono messe che tranquillizzano le coscienze, e per la solo partecipazione calmano la paura che abbiamo verso un Dio che nel profondo crediamo cieco, spietato e vendicativo.
C'è un paradiso che è la morte del cristianesimo. Perchè distoglie dall'al di qua per concentrare tutte le nostre aspettative di gioia e di piena realizzazione in un fantastico al di là. Gesù ha promesso a chi lo segue il centuplo su questa terra, e poi anche la vita eterna. Mentre però della vita eterna non possiamo dire niente perchè nessuno è tornato mai dai morti per raccontarcene, sul centuplo qualche riflessione la si può fare.
Il centuplo altro non è che il modo per trasformare in un arricchimento personale quello che all'apparenza è un dono al prossimo e una rimessa per sè. Il centuplo è un godimento esagerato per atti semplici e apparentemente insignificanti, come dare da bere agli assetati, o andare a trovare i carcerati. Si può fare del bene per dovere, e non serve a niente. Lo si può fare per andare in paradiso, e non serve a niente. Lo si può fare godendone, quasi che nel farlo sia più quello che si riceve di quello che si da. E questo serve, riempie la vita mia e di conseguenza anche degli altri.
Certamente Gesù parla anche di un al di là. Anzi lui pretende di farci conoscere il Padre. Ma l'originalità del suo messaggio non sta tanto nella spiegazione di come sono organizzate le cose dopo la vita. Quello che annuncia stravolge questa vita, non l'altra. Già qui è possibile partecipare di quella logica di dono che Lui ci dice essere la logica di Dio. L'amore, fino ad arrivare al dono di sè e alla perdita della propria vita fisica, ripaga una zona dell'animo umano che altrimenti nessun denaro, nessun potere, nessun piacere terreno può minimamente acquietare. E' la zona dello spirito, del bisogno di senso, che ogni uomo si porta dentro.
Vivere da risorti significa vivere questa vita, non l'altra, da rinati, come persone la cui felicità non dipende da questo mondo, come persone che non temono la morte e risvegliano vita e voglia di vivere ovunque vadano.
Vivere da credenti non significa dare un assenso intellettuale di fede in qualcosa che non si vede. Immaginarsi una bella trinità, una madonna, un paradiso, un inferno e "crederci". No, troppo comodo credere così. Così san credere tutti. Ci fa sentire a posto con "quello lassù", e una volta sistemato lui possiamo tornare alla nostra mediocrità. Se credere si riduce a questo, bene fanno quelli che non credono affatto.
Credere è un moto dello spirito. E' buttarsi in questa vita senza aver tutto chiaro, senza fare troppi calcoli e senza soffrire troppo per questa incertezza. Tutto questo perchè si percepisce la fiducia che Lui ha in noi. "Lui" è vivo in mezzo a noi nel senso che qualcosa di suo, di Gesù, è rimasto nonostante ad un certo punto se ne sia andato. Questo intendono i discepoli quando lo proclamano risorto. Questo "qualcosa", se ha la capacità di infiammare le mie azioni, di dirigere le mie scelte, di far si che mi spenda in una certa direzione non dettata dall'egoismo, è a ben pensarci più importante di una risurrezione del suo corpo, che in fondo, fin chè non saremo in quel fantomatico al di là, lascia il mio al suo destino.
Lo so, sto diventando un pochino eretico, ma preferisco essere sincero con me stesso, che continuare a sottoscrivere un "credo" solo per paura di quanto mi potrebbe capitare dopo la morte.