venerdì 8 luglio 2011

L'esserci inutile


Il metodo. Ho iniziato questo blog dicendo che nella chiesa non conta tanto cambiare "le cose" quanto il metodo. Si può fare tutto e il contrario di tutto, ed essere o non essere cristiani.
Il metodo del cristiano è la persona. Il prete di questa chiesa non può vedere le persone, se lo fa deve andare contro corrente, contro il suo stesso mandato. Alcuni ce la fanno, altri rinunciano all'abito, altri ancora, i più, rinunciano alla persona.
Quando diciamo "persona" capita che immaginiamo una determinata persona. Assennata, coerente, in cerca di Dio. E invece la persona, il più delle volte è quanto di più banale e stupido si possa incontrare. E' una bottiglia scolata, è falsità spudorata. E' puzza, volgarità, ignoranza, carne flaccida che rimanda la sua fine di qualche ora o qualche giorno. Davvero vale la pena vivere per questo? Davvero Dio ha assunto questa carne? Io amo le vette dello spirito, amo "sentire" emozioni non riducibili a parole. Amo confronti profondi, la musica che tocca l'anima, l'arte, il dono di quanto si ha di più caro... ma l'uomo, l'uomo banale, che non capisce, che non rischia, che non cambia, questo uomo faccio fatica ad amarlo. Bisogna odiare per capire l'amore. Bisogna disprezzare il prossimo, desiderare la sua fine, la sua malattia, sfortuna, disgrazia, per capire Cristo. Bisogna fare a botte prima di parlare di pace. Altrimenti facciamo prediche. L'anticristo si alimenta di prediche. Ne gode ampiamente. Predicare l'irraggiungibile è un modo come un altro per evitare ciò che è raggiungibile.
Il metodo della chiesa alternativa è la presenza, non la predica. L'esserci. L'esserci senza risultati, senza tornaconto, l'esserci inutile.

2 commenti:

Ausilia ha detto...

Ho letto cose interessanti in ciò che affermi. Ma qualche perplessità me la concederai: amare Cristo per me è vedere in Lui la rivelazione di Dio.
Dio! Chi lo ha mai visto? Il suo rivelarsi è sempre relativo al nostro essere nel limite, e perciò il gioco di trascendenza e di immanenza continua.
Un buon paradigma ce lo offre l'arte, la quale è linguaggio divino in mezzi umani. Cristo è quella persona che incarna in sé il divino e ci richiama alla fede in Lui perché la storia faccia il salto qualitativo da una rivelazione carismatica qualsiasi a ciò che è radicato nel nostro esserci: il divino. Che si protende nel tempo oltre il tempo, fino all'Avvento finale. Non dimentichiamo che l'Apocalisse finisce con l'invocazione: "Vieni Signore Gesù".
E' questo che non sappiamo fare: vivere l'esperienza del divino nella tensione escatologica. Non è vero che il sacro è stato definitivamente sconfitto; il velo del tempio si ricompone sempre, e dobbiamo saper accettare la comunione divina in noi, senza dimenticare che la viviamo sempre nella contingenza. Le nostre conquiste e tutto ciò per cui lottiamo, comprese le nostre emarginazioni, è nella precarietà e.... necessità momentanea. Ecco perché continuiamo a chiedere a Gesù: aiutaci a chiedere il Pane della vita ogni giorno, e non una volta per tutte. Ausilia

Mauro Borghesi ha detto...

Mi sembra che con parole diverse esprimiamo lo stesso concetto, Ausilia, e concordo con quello che scrivi, anche se appunto, il nostro linguaggio è molto diverso.
Al di là del linguaggio poi, osservo che tu parti dalla assoluta alterità di Dio per sottolineare che la si incontra nel limite della carne, io invece percorro il percorso inverso: guardo meravigliato (e a volte "schifato") la carne e da lì parto per pensare che in essa è contenuto il divino.
Mi accorgo che quando ho scritto questo post sono stato un pò veloce e istintivo, e forse vale la pena che approfondisca meglio alcune affermazioni.
Grazie!