sabato 11 giugno 2011

Io, ed il vangelo


Tra i colloqui più vivaci ed interessanti della mia vita, vi sono certamente quelli in cui l’argomento della discussione è stato proprio il vangelo. In credenti e non credenti, praticanti e non praticanti, vi è un interesse trasversale, un forte bisogno di capire e essere capiti senza sentirsi giudicati. Appena si supera l'imbarazzo - tabù sulla propria esperienza religiosa, emergono innumerevoli idee, versioni diverse, di cosa Gesù intendeva dire o fare. Ci si vergogna un po’ a parlare di Gesù, ma una volta superata la paura si scopre che ognuno ha già elaborato dentro di sé le sue idee, ci ha lavorato non senza fatica ed è arrivato alle sue conclusioni. Questi confronti mi hanno insegnato che prima di parlare di un singolo brano bisogna chiarire cosa è il vangelo, come noi lo intendiamo, cosa ci aspettiamo da esso.
Mi hanno insegnato però anche un’altra cosa: le cose più belle emergono non dall’esegesi, non da eccessi di erudizione, né da teologie sociali o psicologiche o chissà cos’altro ancora. Il meglio viene fuori quando le persone confrontano il vangelo con la propria vita, che è sempre diversa: da soggetto a soggetto, e da un periodo all’altro.

Alcune domande per cominciare
Preso in mano il testo sacro mi sono fatto alcune domande ancor prima di leggere la prima riga, ancor prima di sfogliare il testo.
Cos’è questo libro che tengo in mano? O meglio: cosa leggo quando leggo il vangelo? Un testo “dettato” da Dio? Un testo storico? Un testo mitico? Un testo integro, cioè mai rimaneggiato dopo la sua prima stesura? E’ importante farsi queste domande, perché che lo vogliamo o no siamo figli del nostro tempo e ci portiamo dentro una premesse e pregiudizi che operano indisturbati quanto meno li conosciamo. Una lettura ingenua e non informata può rivelarsi addirittura pericolosa.
Dice giustamente Alberto Maggi nel titolo di un suo libro: ”Come leggere il vangelo e non perdere la fede” (Cittadella Editrice), e così motiva la scelta di tale affermazione: “Quanti si avvicinano ai vangeli lamentano che spesso la lettura di questi testi non solo non suscita la fede, ma rischia di metterla in crisi; ciò non solo per l’evidente difficoltà di vivere un insegnamento che richiede maturità ed impegno, ma perché le formulazioni presenti in questi testi sono spesso una sfida al buon senso. (…) fin dalle prime righe si ha la sensazione di trovarsi alle prese con un libro di favole o di racconti mitologici. (…) Problemi che dipendono in parte dal fatto che il lettore si trova di fronte ad una traduzione di un testo trasmesso duemila anni fa in una lingua ormai defunta, e con immagini scaturite da una cultura orientale molto differente da quella occidentale.”
Perché io, oggi, leggo il vangelo? Cosa mi spinge? E’ forse un dovere religioso? E’ bisogno di pregare? Devo trovare in esso risposte ai miei problemi personali?

Tentare una risposta a queste domande è fondamentale. Non vi saranno risposte giuste o sbagliate. Ci saranno solo risposte. Non assumeremo un atteggiamento puerile o “miracolistico”. Si può essere in un momento di confusione e cercare chiarezze che rispondano ad hoc alla nostra situazione. Si può essere di fronte ad una sfida culturale, come ad esempio l’avvicinarsi di un conflitto, o questioni etiche, come quella della clonazione, l’eutanasia, l’aborto, l’inseminazione artificiale, il divorzio, la pena di morte… e ogni volta è forte la tentazione di andare a cercare nei vangeli situazioni analoghe per vedere cosa avrebbe risposto Gesù. Bene: non è questo il loro scopo, non è in questo senso che essi sono Parola di Dio, anzi è proprio così facendo che ai vangeli si può far dire tutto ed il contrario di tutto. Dal “perché” leggo i vangeli, dipende cosa ne verrà fuori. Per questo, bisogna lavorare molto su questo “perché”, affinché si purifichi fino ad arrivare a capire se nei vangeli cerchiamo “il vangelo” o qualcos’altro.
Occorre sapere che non si tratta di libri di psicologia, magari “sacra”, e non contengono di conseguenza risposte psicologiche, né sociologiche, né filosofiche. Non sono un trattato di politica, né un compendio di morale, o una favola per bambini. Non sono neppure libri di storia così come la intendiamo noi oggi. Il vangelo “non è” un sacco di cose! E’ piuttosto l’invito a credere ad un fatto, avere fede in una persona realmente esistita, ma di cui sappiamo ben pochi particolari. E’ solo questo, e se vi cercheremo “solo” questo, vi troveremo anche molto altro.


Vangelo e vangeli
Da quanto detto finora già emerge la necessità di distinguere tra vangelo e vangeli.
Per “vangelo” intendiamo il messaggio di Gesù, la “buona novella” detta al mondo dal Padre, mentre con “vangeli” si intendono i quattro opuscoli narranti la vita di Gesù, che la tradizione cattolica ha considerato dagli inizi come testi privilegiati, ispirati e canonici.
Questa distinzione è fondamentale, perché se da una parte noi abbiamo tra le mani i vangeli, non và mai dimenticato che l’obiettivo della nostra ricerca non sono loro, ma il vangelo che essi contengono.
Scriveva il Ratzinger di 50 anni fa “La Rivelazione indica una realtà di cui la Scrittura ci informa, ma che non è semplicemente la Scrittura stessa. (…) Non si può mettere in tasca la Rivelazione così come si può portare con sè un libro. Essa è una realtà vivente, che esige l’accoglienza di un uomo vivo come luogo della sua presenza”. (Rivelazione e Tradizione, Morcelliana. Ristampa di una conferenza tenuta nel 1963).
I vangeli, riprendendo proprio una parabola evangelica, sono come un campo nel quale è nascosto un tesoro prezioso (Mt. 13,44). Non si tratta di andare alla scoperta dell’io di Gesù, dei suoi sentimenti, delle parole che ha veramente detto, delle sue gioie e dei suoi dolori come tanti film e libri su “la vita di Gesù” hanno tentato di fare: non abbiamo gli strumenti per farlo e forse non li abbiamo proprio perché non è questo che dobbiamo fare. Si tratta invece di trovare ciò che è nascosto nel campo, il nucleo del Cristianesimo, e su questo ognuno deve fare il proprio cammino, passando dai vangeli al vangelo, dalle parole alla nostra personale esperienza di incontro con il Signore.
I vangeli sono quattro, e differenti l'uno dall'altro. Non sono quattro storie diverse, ma una stessa storia raccontata secondo quattro punti di vista. Non a caso la tradizione cattolica ce li ha tramandati come il vangelo “secondo” Matteo, “secondo” Marco, ecc… proprio per sottolineare già dal titolo che il vangelo in realtà è uno, ed è altrove, non può essere racchiuso in poche pagine di carta. Inevitabilmente chi ce ne parla comunica le cose viste secondo lui o al limite secondo la comunità che egli rappresenta.
Lo stesso Nuovo Testamento, nelle lettere paoline, ci mette in guardia dall’idolatria del “libro” che uccide lo Spirito che vi sta dietro.

Un lavoro di comunità
I vangeli a noi appaiono come testi completi, con un inizio, una fine ed un proprio senso logico interno; situati all’inizio del Nuovo Testamento seguendo un ordine ben preciso, intitolati con il nome dello stesso evangelista. Ebbene, questi testi non nascono con la sequenza interna che vediamo oggi - prima furono scritti i “finali” sulla morte e resurrezione, e poi tutto il resto - non sono inseriti nel Nuovo Testamento secondo un ordine cronologico o di importanza, e soprattutto ognuno di essi non è il frutto del lavoro di una singola persona.
L’evangelista è infatti il redattore finale di una serie di scritti, detti, tradizioni orali, ricordi pervenuti da sé e da altri. Mi piace pensare ad ogni evangelista davanti ad un tavolo pieno di pezzetti di papiro, con tante frasi, episodi che si sommano a quelli che tornano alla memoria dell’evangelista stesso. Un tavolo pieno di confusione, di spunti sparsi, senza un inizio ed una fine, e due occhi che guardano il tutto pensando: “ma con tutto questo cosa voglio dire?” Egli, il redattore, infatti, utilizza e assembla tutto questo materiale secondo un progetto, un’idea portante. Inoltre lega il suo nome all’opera, non tanto per dire che l’ha scritta per intero lui, ma per dare autorevolezza al testo, per dire “questo testo è la versione dei fatti approvata, rivista, vissuta, approvata da …Matteo, Marco, Luca, Giovanni, cioè persone che lo hanno visto, seguito, che risalgono proprio all'epoca dei fatti”.
Spesso quindi vediamo utilizzare brani uguali o molto simili, in vangeli che però mirano a trasmettere contenuti teologici differenti. Diventa chiaro allora che non si può estrapolare una frase senza sapere perché l’evangelista l’ha inserita in quel punto.

Parola di Dio e di uomini
Non dobbiamo dimenticare neppure che quella che chiamiamo “Parola di Dio” porta in sé paradossalmente, tracce di errori e lacune molto umane.
Dice Valerio Mannucci “… se il lettore è credente e accosta la Bibbia come Parola di Dio, essa gli apparirà tanto umana da patirne inizialmente scandalo. Imperfezioni, lacune, limiti scientifici ed anche religiosi di alcuni testi; carattere sconcertante di una storiografia così lontana dalle odierne esigenze critiche; estraneità di tanti tratti che appaiono folcloristici e leggendari; livello morale notevolmente arretrato di certi gesti o costumi; inesattezze cronologiche o topografiche; divergenze nella trasmissione delle stesse parole di Gesù, ecc… non si incontra la Parola di Dio se non toccando e attraversando tutto lo spessore della parola umana” (Bibbia come Parola di Dio, Queriniana 1986, pag.81)
Molti testi sono passati dall’originale forma ebraica o aramaica al greco, lingue tra loro molto diverse e non sempre capaci di tradurre l’una i concetti dell’altra. Libri scritti a mano, ricopiati più volte nel corso dei primi secoli per supplire all’inevitabile usura alla quale sono andate incontro le copie originali.
Vi è poi il problema della distanza culturale, per cui non è sufficiente tradurre bene quei testi, ma anche capire il loro senso senza fermarsi al significato letterale, “traducendo” per così dire concetti per noi distanti ed insignificanti, in termini che rimandano alla nostra esperienza quotidiana.
La chiesa ha camminato tanto nell’interpretazione dei suoi testi fondanti. Si è passati dall’idea di un Dio che “detta” le sue parole agli autori sacri, a quella del “suggerimento”. Quando è nato il metodo scientifico applicato ai testi storici la Chiesa inizialmente ha opposto resistenza, poi si è aperta all’esegesi scientifica con l’Enciclica Divino affilante Spiritu di Pio XII, arrivando addirittura a raccomandarla nei seminari. Infine il Concilio Vaticano II nella costituzione Dei Verbum riprendendo la svolta operata negli anni ‘40, ne ha rimarcato la centralità e la necessità dello studio con le migliori tecniche d’indagine moderne.
Certo l'impressione è che il cammino fatto dalla teologia ufficiale non corrisponda affatto a quello del popolo, che è affascinato dalla "lettera" e dal miracolo e che finora penso non si sia nemmeno tentato di catechizzare.

I vangeli mostrano e nascondono. Mostrano, perché quasi tutto ciò che sappiamo su Gesù è al loro interno. Nascondono, perché sono tante le cose che non dicono, quelle che sottovalutano o enfatizzano a seconda della loro specifica preoccupazione. Giovanni conclude il suo vangelo proprio con queste parole: “Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere” (Giovanni 21,25). E Bultmann afferma con tutto il mio consenso "La Parola di Dio è nascosta nella Scrittura, così come è nascosta ogni altra operazione di Dio" (cfr. Nuovo Testamento e mitologia, Queriniana, 2005).
Tutto ciò non ci scandalizza, perché fa parte di una logica coerente dello Spirito di Dio, il quale usa strumenti limitati, deteriorabili, non necessariamente i migliori, per comunicare Sé stesso all’umanità. E’ la logica dell’incarnazione, in fondo, ed è la stessa logica che rende sensata l’appartenenza alla chiesa cattolica a distanza di 2000 anni dall’evento Gesù.
Per tutti questi motivi comprendiamo che per un cattolico i vangeli vanno necessariamente letti nella Chiesa (Dei Verbum 10): e questo non è un limite, ma una ricchezza se per “Chiesa” si intende, come fa il Concilio Vaticano II, l’intero popolo di Dio (Lumen Gentium 8). Nessuno può pretendere di imporre la propria lettura personale, il significato dei testi và cercato insieme. “Insieme” significa che neppure i pastori potranno fare a meno dell’interpretazione dei fedeli, e gli uni e gli altri non rinunceranno ai commenti della Tradizione ed alle indicazioni del Magistero, e anche questo lo faranno lasciando aperte le porte a nuove interpretazioni, a nuovi significati, senza mai cadere nella presunzione di essere giunti ad un punto culmine, definitivo.

Uno strano libro di storia
Come vanno letti i vangeli? Che “genere” di lettura ci presentano? E ancor prima: cosa è un genere letterario?
Per genere letterario intendiamo un modo di scrivere che risponde a certe regole e in virtù di tali regole accomuna testi diversi tra loro. Le poesie, ad esempio, rispondono a certe regole e vengono paragonate o accomunate ad altre poesie, non certo a romanzi o a testi storici. Allo stesso tempo non si può cercare in una poesia quello che essa non vuole dare, ad esempio date, nomi di luoghi, riferimenti precisi. Anche i diari personali, i testi delle canzoni, gli SMS, sono generi letterari, e rispondono a regole condivise, tacite, le quali permettono ai destinatari di comprendere il senso del messaggio senza bisogno di tante spiegazioni. Le spiegazioni diventano invece necessarie quando ci si avvicina ad un genere letterario come quello degli evangelisti, che oltre ad essere lontano di venti secoli da noi, è anche unico: non ha cioè simili né prima, né dopo la loro pubblicazione.
Col passare degli anni i testimoni oculari di Gesù scompaiono e l’annuncio ai lontani richiede una formulazione nuova, capace di cogliere le domande dei popoli greci e latini. Da qui nasce con Marco il primo vangelo, al quale poi seguono gli altri. Il vangelo si preoccupa di narrare tutta la vita di Gesù, perché i suoi destinatari non l’hanno conosciuto e vogliono sapere cosa ha fatto, come si è comportato in situazioni critiche, cosa ha detto. “Il vangelo, venendo in contatto con i pagani e diffondendosi, si trova nella necessità, che và ogni giorno crescendo, di stringere stretti legami con la persona di Gesù. E’ per questo motivo che la predicazione ai Gentili riduce gli argomenti scritturistici per insistere maggiormente sugli aspetti di carattere cronologico e geografico che permettono di ambientare Gesù di Nazaret.” (Renè Latourelle, A Gesù attraverso i vangeli, Cittadella Editrice 1982, pg. 125).
I vangeli dunque, pur muovendosi dentro una cornice storica, risentono del bisogno di fare qualcosa che non sia semplicemente un racconto storico, ma degli annunci specifici, per un destinatario particolare, diverso per ognuno dei quatto evangelisti. Fermarsi alla lettera, al “vero o falso” di ogni singolo versetto sarebbe un lavoro infinito e sterile, perché la verità che essi dicono sta nel messaggio complessivo che ne esce. Nella misura in cui lo sapremo riconoscere impareremo pure a dare la giusta importanza alle singole affermazioni per intravedere all’orizzonte sempre più chiaramente il dipanarsi della Buona Novella.
Lo stesso Concilio ha recepito questo doppio piano di significati: “Per ricavare l’intenzione degli agiografi, si deve tener conto, tra l’altro, anche dei generi letterari. La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa nei testi in vario modo storici, o profetici, o poetici, o con altri modi di dire. E’ necessario inoltre che l’interprete ricerchi il senso che l’agiografo intese di esprimere ed espresse in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso.” (Dei Verbum 12).
E non basta. Oltre al genere letterario, alle circostanze, alla cultura, c'è un altro elemento importante che si interpone tra noi e il fatto narrato: la persona che scrive. Essa ha il suo punto di vista, le sue priorità, la sua visione delle cose. Dice Bultmann a tale proposito "L'immagine, apparentemente oggettiva, di un avvenimento storico, reca sempre l'impronta dell'individualità di chi osserva, poichè anche quest'ultimo è un soggetto storico e non può pertanto mai essere neutrale, al di fuori della storia" (Nuovo Testamento e Mitologia, Queriniana, 2005).
I vangeli, che ci piaccia o no, sono un intreccio di tutti questi elementi. Sono il libro più venduto al mondo, ma non per questo di facile "scomposizione". Essi passano per mille disavventure: vengono tramandati a pezzi, oralmente; vengono interpretati e scritti in modo diverso che si tratti di rivolgersi ai cristiani di Roma, o di Atene, o di Gerusalemme. Il racconto orale poi, difficilmente rispetta la verità storica intesa in senso moderno come cronaca degli avvenimenti: solitamente succede che i fatti più eclatanti vengono “trasformati”, mitizzati, come dice Bultmann, senza volerlo: ciò non significa che nelle nostre mani arrivino documenti falsificati, ma solo che nel cercare la verità dovremo tenere conto di tutto questo.
Studi moderni di antropologia ci hanno svelato che “L’avvenimento storico, in sé stesso, qualsiasi ne sia l’importanza, non è trattenuto nella memoria popolare ed il suo ricordo infiamma l’immaginazione poetica soltanto nella misura in cui questo avvenimento storico si avvicina di più ad un modello mitico.” (Mircea Eliade, Il mito dell’eterno ritorno, Borla). La vicenda di Gesù di Nazareth non fa eccezione. Ed è tenendo conto di tutto questo che ci possiamo avventurare, tramite i vangeli, nella affascinante ricerca del “vangelo”.

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