mercoledì 8 dicembre 2010

Risurrezione

Negli ultimi 100 anni grazie ai progressi dell'esegesi biblica, - inevitabili se si pretende un approccio scientifico ai testi sacri -, siamo arrivati ad una consapevolezza piuttosto diffusa sui limiti di una lettura storica e letterale dei testi biblici. O meglio, i teologi ci sono arrivati; il Vaticano, con mille riserve, pure (vedi la Dei Verbum); la gente ancora no. Il passaggio "culturale", cioè far sì che un sapere diventi diffuso, è sempre il passaggio più delicato. A volte la sapienza popolare arriva prima dei vertici, altre volte, come in questo caso, accade il contrario, ma il passaggio della comunicazione non sempre è cercato, voluto, costruito.
Effettivamente siamo ancora abituati a leggere i vangeli in termini di vero o falso, realmente accaduto o frutto di fantasia. Perchè il positivismo, con il suo dogma secondo il quale è vero solo ciò che è visibile ed empiricamente dimostrabile, ha attecchito nel profondo anche in chi allo stesso tempo crede nei miracoli, nelle apparizioni, nelle statue miracolose. Ad esso si aggiunga il potere del mezzo televisivo che ci ha convinto del legame indissolubile tra immagine e realtà. Nel reality show dei tg nazionali abbiamo confuso la realtà con una sua, spesso discutibile, interpretazione.
La Bibbia - non ci sono più dubbi ormai - contiene un messaggio religioso, avvolto in un linguaggio d'altri tempi e d'altri luoghi, che non si rispetta se si legge con le categorie mentali occidentali, del giorno d'oggi.
Questo discorso può mandare in confusione i credenti più superficiali, che temo siano la maggior parte, ma probabilmente non sarebbe così in un confronto con preti e vescovi. Ciò che appare strano è quella sorte di pudore, di non volerne parlare da parte di quei pastori che pure alzano la voce con tanta disinvoltura su questioni legati alla morale sessuale e familiare. Quasi che la comprensione dei vangeli non fosse fondamentale per i credenti, un pò come ai tempi in cui ne era addirittura sconsigliata la lettura ad un profano.
Strana è anche un altra cosa. Anche per un lettore accorto e formato sembra che leggendo i vangeli alcune cose possano essere lette secondo l'ottica dei generi letterari e delle moderne obiezioni della critica esegetica, altre no. Ci sono interpretazioni lecite e altre no. I miracoli e gli esorcismi, ad esempio, vengono sempre più interpretati come "segni", così pure nessuno si mette a fare una questione di principio sui "morti che uscirono dalle tombe" alla morte di Gesù o le contraddizioni tra i vari racconti delle apparizioni del Risorto; per altre cose invece, quali l'annunciazione a Maria, la nascita verginale di Gesù, e soprattutto la Risurrezione, si ha l'impressione di camminare sulle uova. Più l'argomento si avvicina ad argomenti in cui il Magistero si è già espresso in modo definitivo e dogmatico, più è difficile prendere le distanze dalla lettera.
Provate a dire che la nascita senza seme maschile o la resurrezione sono immagini che appartengono ad un linguaggio della chiesa delle origini, il migliore che allora possedevano, per trasmettere la loro esperienza di cristiani: sarete tagliati fuori come eretici, come ex cattolici, corrotti nella propria fede per aver dato più fiducia a certi libri che al papa. Eppure, facendo la prova contraria, sarà altrettanto sorprendente osservare cosa succede se si chiede: ma cosa cambia a te, nel 2010, se Gesù è stato concepito miracolosamente o no? Se quel cadavere si è rialzato nel sepolcro per poi svanire nel "cielo", o no? Molte brave persone, padri e madri di famiglia, che vanno in chiesa, che rispettano la legge ed educano cristianamente i loro figli, d'istinto risponderanno: "nessuna". A questo proposito si rilegga l'articolo di Noyer "Bisogna credere alla Resurrezione?" su questo blog, riportato il 24 aprile 2010.
I vangeli parlano di cose vere, altrochè, ma non con un linguaggio storico - cronologico. E se questo vale per il battesimo nel fiume Giordano o per la Trasfigurazione, dove voci tuonanti squarciano dal cielo a sottolineare la straordinarietà dell'esperienza, non si capisce perchè la cosa non debba essere valida per l'inizio e la fine della vicenda terrena di Gesù. La domanda che spesso ci facciamo è "cosa c'è di vero e cosa di inventato?" Invece dovremmo partire da un altro punto di vista. Penso che dovremmo chiederci: "cosa è VERO?" Ogni linguaggio è inserito in un tempo e in una cultura specifica e si porta dietro inesorabilmente quegli occhiali. Occhiali che ce ne impediscono una visione pulita, certo, ma che allo stesso tempo garantiscono della veridicità della fonte. Andremmo a vedere "Guerre Stellari", o "Il Signore degli anelli" o "Avatar" se fossero solo favole inventate senza alcuna attinenza con la realtà "vera"? Perderemmo tempo, soldi e lacrime, se quelle storie non andassero a toccare alcune "corde" del nostro cuore reale? Anche qui, non mi si prenda alla lettera: non intendo equiparare i vangeli ad un bel film moderno, ma solo dire che a volte racconti inventati, potremmo dire "mitologici", dicono cose più vere dei libri di storia, perchè mentre questi elencano episodi, date, conquiste, quelle dicono cose ci sta a cuore, cosa ci commuove, ci spinge, ci anima, e tutto questo non è forse più "vero" delle conquiste di Giulio Cesare e Annibale?
Gli evangelisti raccontano in termini empirici un'esperienza che li ha sconvolti, li ha fatti rinascere, e che non sanno comunicare meglio di così. L'errore più grosso che possiamo fare è prendere la lettera, farne un dogma, e dimenticare l'esperienza. La fedeltà alla lettera ci allontana dalla sostanza, che in sè non è mai completamente raggiungibile come pretende di farci credere la lettera. La fedeltà alla lettera da una parte, o a ciò che nasconde dall'altra, implica conseguenze molto importanti: sulle verità dogmatiche, causa di divisioni, sul dialogo tra religioni, sul dialogo interno alla chiesa, su ciò che intendiamo per "essere cristiani". Prendo a esempio la festa di oggi, dell'Immacolata Concezione.
Si pensi all'impatto che ha questo dogma sulla morale sessuale, se lo si intende come fatto storico (Maria preservata dal peccato originale, quindi impossibilitata ad avere rapporti sessuali intesi ovviamente a priori come azioni peccaminose), oppure come esperienza interiore tutta da esplorare.
Si pensi alla stessa resurrezione. Mi chiedo: cosa oggi può interessare, cosa serve trattenere di quella "resurrezione"? "Credere" in essa significa pensare che per l'ennesima volta Dio ha infranto le leggi della natura che Lui stesso ha creato, dando un assenso di fede irrazionale al fatto che un cadavere si sia rianimato e poi sia salito in cielo (e ora dove sarebbe, se è in carne ed ossa?), oppure è una esperienza di rinascita interiore, di vita nuova quando tutto sembrava perduto, raccontato come poteva essere raccontato, e letto per secoli in senso letterale?
Io da qualche anno, da quando i libri che leggo sono quelli dettati dalle mie domande e non più da professori con la verità in tasca, sono più favorevole a questa seconda possibilità, e avverto tutta l'urgenza di cominciare a dire queste cose, tra i cattolici, senza timore di essere stato corrotto dal demonio.
Consiglio a chi ha voglia di approfondire la lettura di un testo di Andres Torres Queiruga, "Ripensare la Risurrezione", che su questo argomento mi ha letteralmente "preso", dalla prima all'ultima riga.

3 commenti:

b ha detto...

caro mauro, grazie.......secondo quanto leggo nel libro "l'adorazione" di jean luc nancy, che sto traducendo,e che ad un certo punto riguarda il tema che tu tratti, si può intendere come "resurrezione", il "bascolamento" della vita di un uomo, quando essa, da una "posizione orizzontale", magari da un incontro con cristo, assume una postura verticale, si rialza, "anastasis", uno "stare in piedi"(bonhoeffer), responsabibile, rispondendo all'appello a vivere da "desto" (da risorto?).
ancora grazie.
robi.

Mauro Borghesi ha detto...

Bello, grazie per il contributo. Leggevo anche le critiche di questa impostazione (ad es. Massimo Borghesi, su 30Giorni) in cui si sottolinea come con questa interpretazione non "storica" in senso stretto si rischi di ricadere in una nuova forma di gnosticismo, una filosofia per eletti, astorica. Credo che anche questa posizione sia da rispettare, e però mi piacerebbe che la risurrezione accendesse un dibattito più ampio, visto che di pareri contrari ce ne sono parecchi e che si tratta di una questione cruciale.

Evergreen ha detto...

Lucido e completo post che corrobora anche le mie personali convinzioni sul tema.
Sono infatti persuaso che - senza togliere nulla all'altissimo e sempre attuale messaggio dei testi sacri - il linguaggio dei vangeli non è da intendersi in senso letterale, almeno lì dove il racconto sfida le leggi della natura e quelle della logica. In questi casi deve prevalere l'interpretazione in senso allegorico-simbolico e non la cosiddetta fede cieca. Anche perché l'allegoria, il simbolo, i miti, lungi dall'essere considerati come oniriche e fallaci rappresentazioni del mondo, valgono spesso molto più di un fedele e freddo resoconto storico il quale - per sua stessa natura - non è capace di trasmettere messaggi profondi e lascia del tutto indifferenti contemporanei e posteri.
Con il buon Renan credo che "quaggiù non vi è null'altro che simbolo e sogno".
E infatti non possiamo fare a meno dei simboli visto che essi hanno avuto e contuinuano ad avere un'attrattiva così forte sulla mente e sul cuore dell'uomo che per essi si sono ingaggiate e si ingaggiano le più aspre battaglie.